Queer è il titolo del nuovo film dell’acclamato regista Luca Guadagnino, presentato in anteprima all’81esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e atteso in sala nei prossimi mesi.
Tratto dall’omonimo romanzo dell’autore W. Borroughs, Queer segue la storia di William Lee (D. Craig), un fiero omosessuale messicano degli anni ‘40-‘50 che conduce una vita fatta di alcol, droghe e sesso. La sua monotona esistenza subirà dei cambiamenti dopo l’incontro con il giovane Eugene Allerton (D. Starkey). Tra i due si creeranno strane dinamiche di dipendenza erotica, ma non solo: la loro attrazione e i loro attriti diverranno terreno fertile per un racconto sulla percezione e costruzione del sé.
Il nuovo film di Luca Guadagnino ha delle premesse potenzialmente coinvolgenti. Eppure, questo non è bastato per mettere d’accordo il pubblico che ha avuto la fortuna di vedere Queer in anteprima. O si è amato, o si è odiato: non sono state ammesse vie di mezzo…
Queer è in parte un film omoerotico, ma non solo…
William, il protagonista, non fa altro che inebriarsi per compensare la sua vuota esistenza. Nei primi momenti filmici, sembra infatti che la narrazione voglia parlarci del suo percorso di redenzione. O più probabilmente, trattandosi di Guadagnino, della sua discesa agli inferi. Ma Queer si allontana presto dal suo essere semplicemente la storia di un uomo che tenta la via dell’innamoramento per “guarire” e/o il racconto di un ormai consapevole omosessuale che accompagna un giovane nel suo percorso di conoscenza della sua omo o bisessualità. Queer tenta goffamente, tra un esperimento registico e l’altro, di andare oltre tutto ciò e trascinarci nelle vie del perturbante.
Il suo incontro con il ben più giovane Allerton, che appare più inarrivabile rispetto ad altre giovani prede di William, ha poche connotazioni romantiche. Infatti, capiamo immediatamente che egli diventerà la nuova ossessione e dipendenza del protagonista: Allerton è una preda sfuggente (talvolta, si potrebbe quasi dubitare della sua omosessualità) e per questo, fa gola.
William e Allerton non esplodono di amore e tenerezza: le scene di sesso tra i due sono brevi e poco sensuali, quasi volgari. Guadagnino ha scelto di rappresentare la versione animalesca del sesso, quella che nelle rappresentazioni narrative si tende ad evitare. Non c’è niente di eccitante nei preliminari tra i due, bensì solo un pesante (e voluto) disgusto. Siamo ben lontani dalla tenerezza di Chiamami col tuo nome…
La medesima logica di desiderio accompagna il protagonista di Queer nel suo viaggio alla ricerca di una pianta indigena che permetterebbe di praticare la telepatia. Ma William è un inetto, e il suo vagabondare nel giardino dell’Eden si conclude inevitabilmente con il mordere una mela che è ancor più marcia di lui.
… ma tutto questo, non è bastato
Nonostante il potenziale, Queer non raggiunge l’obiettivo. Se infatti all’inizio il film sembra seguire una via ben precisa, poco dopo invece si perde col protagonista. La narrazione è estremamente complessa e l’onirismo (a tratti lynchiano) scavalca la costruzione di senso del prodotto filmico.
Non c’è la medesima cura registica di Challengers, né la ricchezza semantica di Bones and All o di Suspiria. Ma una cosa è certa: non lascia affatto indifferenti e quel senso di straniamento che si prova dopo due ore e un quarto di visione, è comunque un punto a favore.
Queer è una confusa e difficile esperienza di visione cui espressione odi et amo può riassumere perfettamente.