Biennale del Cinema di Venezia

‘Se posso permettermi’, l’uomo senza qualità di Bellocchio

Marco Bellocchio costruisce un ironico ritratto d’intellettuale alla deriva

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Se posso permettermi – Capitolo II rivede protagonista Fausto e la sua vita da spettatore dell’esistenza altrui e propria, tre anni dopo il Capitolo I. Un cortometraggio di 30 minuti che conferma lo straordinario, febbrile lavoro di questa tarda stagione bellocchiana, fatta di film (Rapito, 2023), serie televisive (Esterno notte, 2022), sceneggiature per colleghi (La vita accanto, 2024, Marco Tullio Giordana), attività da produttore (Campo di battaglia, 2024, Gianni Amelio e lo stesso film di Giordana), per limitarci agli ultimi due anni.

La Biennale di Venezia

Come il precedente Capitolo, Se posso permettermi inizia nel cimitero di Bobbio, dove uno stralunato Rocco Papaleo recita l’Amleto di William Shakespeare, il principe danese indeciso sull’agire, sull’essere o non essere. Così è il protagonista Fausto, un intellettuale alla deriva, pieno di debiti, quasi sempre chiuso in una casa stracolma di libri, in ogni dove, «che nessuno vuole». Una persona che si definisce «non nata per lavorare» e che mai ha lavorato in vita sua.

A Fausto e alla sua casa in tanti offrono una via d’uscita, in una carrellata di strepitosi personaggi (e attori) che sono una galleria del pensiero e del costume italico. C’è la cameriera (Barbara Ronchi) che ambiva a ereditare la casa per i suoi servigi e lì si sente la padrona. C’è il capitano dei carabinieri (Pier Giorgio Bellocchio) che gli offre in sposa la giovane figlia incinta di chissà chi. Poi un insinuante, mellifluo parroco (meravigliosamente interpretato da Fabrizio Gifuni) che sottolinea il «sacrilegio» da Fausto compiuto di aver venduto la cappella di famiglia a dei musulmani. Come tutti, anche il religioso ha una prospettiva da offrirgli: un lavoro da sagrestano (anche se Fausto non è credente) e, nel tempo (la Chiesa vede sempre lontano), trasformare la casa in un pensionato per preti. Nella sua dimora fa capolino pure il suadente e visionario imprenditore Filippo Timi, che vuole trasformare la casa in un’attrazione museale infestata dai fantasmi di famiglia. Per ultimi, una banda di ladri capitanata da Edoardo Leo, che moralizza sull’inettitudine sociale di Fausto, perché, a suo dire, almeno lui «lavora», invece, il nostro protagonista, no. Quindi, lo apostrofa come «un parassita. Un pessimo esempio di persona onesta, ma senza dignità».

Se posso permettermi – Capitolo II è un geniale breve film sull’intellettuale e la sua impasse, tutto giocato sull’ironia dell’inutilità di un ruolo, che è splendidamente incarnato dal personaggio di Fausto Russo Alesi, inscalfibile nella sua inerzia oblomoviana, anzi amletica, come ci suggerisce lo stesso Bellocchio all’inizio di questa paradossale storia. L’umorismo nero del regista, mai tanto divertente come qui, trova il suo luogo di fantasmi, il correlativo oggettivo di una vita segnata dal confronto con la famiglia, nella propria casa di Bobbio, dove il regista ha girato molti film, a cominciare dal suo debutto I pugni in tasca (1965).

Se posso permettermi – Capitolo II è frutto del lavoro che, instancabilmente e generosamente, Marco Bellocchio ogni anno compie con gli studenti del corso di formazione Fare Cinema (anno 2023), a cui si aggiungono gli eccellenti ospiti attori e l’ottimo Fabio Massimo Capogrosso, autore delle incalzanti e stranianti musiche di questa piccola pietra preziosa.

Marco Bellocchio

 

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