Un’autrice italiana, regista, sceneggiatrice e scrittrice che ama soffermarsi sulle profondità umane e mostrare i personaggi femminili complessi, a tutto tondo e contradditori, come ognuno di noi. Non, quindi, personaggi in funzione di altri maschili. È Francesca Comencini, un’autrice che ha respirato Cinema a casa sin dalla tenera età e che, dopo qualche tempo, il padre Luigi Comencini, maestro della commedia all’italiana (Pane, amore e fantasia, Tutti a casa, Lo scopone scientifico, Le avventure di Pinocchio e molti altri) chiedeva a lei e alla sorella Eleonora, in seguito regista e direttrice di produzione, di andare al cinema durante le prime dei suoi film, per riportare a casa le emozioni della sala. Oltre che di Eleonora, Francesca Comencini è sorella di Paola, scenografa e costumista, e Cristina, regista e sceneggiatrice.
Francesca Comencini, negli anni, scrive due romanzi, Famiglie e Amori che non sanno stare al mondo, e abbraccia il panorama cinematografico con i suoi documentari (tra i tanti, In Fabbrica), i film di finzione, come Mi piace lavorare (Mobbing), A casa nostra, Lo spazio bianco, Un giorno speciale e Amori che non sanno stare al mondo (tratto dal suo omonimo romanzo), e le serie tv, Gomorra, Luna nera e Django. È infatti la direttrice artistica, e una dei registi, di Django, la prima serie tv che omaggia il film di Sergio Corbucci (Il grande silenzio, Pari e dispari).
La Comencini è anche il Presidente dei 100autori, a oggi l’associazione di categoria maggiormente rappresentativa a livello nazionale. L’autrice e i 100autori lavorano, insieme a Writers Guild Italia, ANAC, AIDAC e con il sostegno di SIAE, per ottenere il primo Contratto collettivo nazionale di registe e registi, di sceneggiatrici e sceneggiatori, così da dare un presente e un futuro al Cinema.

Francesca Comencini conosce bene la Mostra del Cinema di Venezia, nel 1982 vinse il Premio De Sica con la sua opera prima, Pianoforte, dove racconta la storia di una giovane coppia di tossicodipendenti che cerca di disintossicarsi. Quest’anno è tornata all’81° Mostra in Selezione Ufficiale, Fuori Concorso, con l’opera Il tempo che ci vuole, scritta e diretta dall’autrice, con protagonisti Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano: un film autobiografico, come indica la stessa Comencini:
“Questo film è il racconto molto personale di momenti con mio padre emersi dai ricordi e rimasti vividi e intatti nella mia mente. Un racconto personale che credo però trovi la giusta distanza nel fatto che in mezzo al padre e alla figlia c’è sempre il cinema come passione, scelta di vita, modo di stare al mondo. Intorno gli anni delle stragi, delle rivoluzioni sociali e della comparsa delle droghe che stravolsero la vita di una intera generazione”
I film della Comencini: il lavoro, le relazioni e il personaggio femminile raccontato da una donna
Mi piace lavorare (Mobbing): la tematica del lavoro
Anna è una donna separata, madre di una bambina, Morgana, e figlia dell’anziano padre malato. Anna, tra sacrifici e rinunce, si divide tra lavoro, visite alla casa di riposo e lo stare in casa con la figlia. Di giorno lavora in ufficio come segretaria capocontabile, una professione che svolge con passione e dedizione. L’azienda dove lavora Anna, per una fusione societaria, viene assorbita da una multinazionale: da questo momento Anna verrà gradualmente maltrattata, come lavoratrice e come persona, dai nuovi datori e colleghi di lavoro, fino al punto di avere calpestata la dignità.
Il film della Comencini, precursore di Palazzina Laf di Michele Riondino, mostra un mondo orrorifico che in Italia esiste ogni giorno. Quella del lavoro è una tematica a cui l’autrice presta particolare attenzione, anche tramite il mezzo del documentario con In Fabbrica, un omaggio al lavoro e ai volti dei professionisti, ai gesti e alla loro professionalità. Mi piace lavorare (Mobbing) è un racconto che riesce a togliere il fiato allo spettatore così come alla protagonista (Nicoletta Braschi): un’opera pregevole da riscoprire.
A casa nostra: quando i soldi generano azione e reazione
Ugo è un banchiere di Milano che organizza un’operazione illegale con l’aiuto di un politico, e Rita, il capitano della Guardia di Finanza, indaga su di lui. Ugo ha una relazione clandestina con un’aspirante modella, Elodie, che lo tradisce con Gerry, un impiegato sposato. Quando Ugo lo scopre, costringe Gerry a fare da prestanome per i suoi affari e riesce a portarlo dentro il suo mondo. Ugo vorrebbe dare alla moglie sterile un figlio, così cerca di appropriarsi del nascituro di una prostituta: sarà proprio l’omicidio della donna a far rimettere Rita sulla strada di Ugo.
Il lungometraggio, presentato al Festival Internazionale di Roma nel 2006, rivela una Milano avvolta da un’atmosfera grigia, dove tutto ruota attorno ai soldi e ai segreti. Un luogo privo di speranza, in cui la regista porta alla luce l’essere umano, in tutta la sua complessità, grazie anche alle significative interpretazioni di Luca Zingaretti e Valeria Golino.

Lo spazio bianco: lo sguardo sensibile della regista
Il film, tratto dal romanzo omonimo di Valeria Parrella, abbraccia la figura di Maria, una 40enne dinamica e libera che insegna in una scuola serale. Al sesto mese di gravidanza Maria partorisce una figlia che, come le dice il medico, potrebbe morire subito, sopravvivere con gravi handicap oppure stare bene. La donna vive una lunghissima attesa: sente la necessità di colmare il vuoto tra il tempo di una comune gravidanza e il tempo della propria. Scopre in questo modo di non sapere aspettare: legge e si isola, ma le sue certezze e la sua identità vanno in crisi.
Uno dei film più rappresentativi della filmografia di Francesca Comencini, in Concorso alla Mostra di Venezia del 2009, dove si aggiudica, tra i vari premi, il Premio Pasinetti per il miglior film e la miglior attrice protagonista, Margherita Buy. Un’opera che fa assaporare da ogni angolazione l’incertezza della vita: la Comencini mostra la storia di Maria con grande sensibilità e con una forza che arriva da un’attesa che sembra non finire mai.
Un giorno speciale: l’incontro di due giovani vite
Gina è una ragazza attraente della periferia romana che sogna di diventare un’attrice. La madre la convince a incontrare un onorevole, un uomo che potrebbe aiutarla a entrare nel mondo dello spettacolo. Gina si prepara: si veste elegante, indossa gioielli e tacchi. La attende una lussuosa auto blu: l’autista è Marco, un suo coetaneo al primo giorno di lavoro. I due sono diretti a Roma centro, ma gli impegni dell’onorevole li costringono a trascorrere la giornata insieme: in attesa dell’incontro, Gina e Marco hanno il tempo di conoscersi e di provare un’attrazione reciproca.
Presentata alla Mostra di Venezia del 2012, tratta dal romanzo di Claudio Bigagli Il cielo con un dito, la commedia della Comencini è un’opera con un tono più frizzante e leggero rispetto alle precedenti. Ma sotto questa base, sin dal primo incontro tra i due protagonisti, si può sempre incontrare la penna e l’occhio della regista: sopra tutto ciò che accade a Gina e Marco c’è un grande potere politico a cui, in Italia, ai giovani e, soprattutto, alle giovani viene chiesto, se non imposto, di sottostare.
Amori che non sanno stare al mondo: la complessità delle relazioni
Claudia e Flavio sono due persone, due insegnanti universitari, che si sono amate molto e con passione. Ma la loro relazione è finita e per lei non è semplice dirgli addio: lei non vuole dimenticare, mentre lui cerca di andare oltre e, un giorno, si innamora di Giorgia e dei suoi trent’anni. Nello stesso periodo Claudia incontra un’altra giovane, Nina, una ragazza che aveva già conosciuto in università. Ma una relazione non è composta solo da scoperte e attrazioni: dietro c’è sempre molto altro.
Tratto dal romanzo omonimo della stessa Comencini e presentato al 35° Torino Film Festival, il film è una commedia sentimentale e ironica che racconta una storia d’amore che non sa stare al mondo. Una particolare attenzione è rivolta alle donne, ai personaggi femminili a tutto tondo e al loro modo di affrontare la fine e l’inizio di una storia d’amore. 
Le serie: Gomorra, Luna nera e Django
Gomorra: il crime che ha entusiasmato il mondo
La serie, ispirata all’omonimo romanzo di Roberto Saviano, narra le vicende dei clan camorristici delle varie zone di Napoli, concentrandosi su Secondigliano. Dopo Romanzo Criminale, diretto da Stefano Sollima, il crime continua la sua ascesa nel mondo delle serie tv italiane e diventa la serie di riferimento del nostro paese nel mondo.
Francesca Comencini, chiamata da Stefano Sollima, è stata una dei registi delle serie: una sfida colta con grande entusiasmo dalla Comencini, che ha adorato in precedenza Romanzo Criminale e che l’ha portata a fronteggiarsi con un genere lontano da quelli già sperimentati: un crime che ha fatto la storia anche grazie alle interpretazioni delle attrici e degli attori e che ha elevato il napoletano a lingua madre della serie.
Luna nera: una serie significativa per l’Italia
XVII secolo. Ade, un’adolescente levatrice scopre di fare parte di una famiglia di streghe, mentre Sante, il padre di Pietro, il ragazzo di cui si innamora, accusa lei e sua nonna di stregoneria. Ada impara a conoscere i suoi poteri e abbraccia la sua nuova famiglia, composta dalle altre compagne streghe. Nel frattempo, riesce a tenersi in contatto con Pietro, ma quando l’uomo che comanda su Sante decide di entrare in azione, Ada e la congrega di streghe si ritrovano in serio pericolo.
Una serie, Luna nera, essenziale per il panorama italiano: adattamento della trilogia di romanzi Le città perdute di Tiziana Triana, ideata da Francesca Manieri, Laura Paolucci e dalla stessa scrittrice dei romanzi, la sceneggiatura è stata scritta dalla Manieri, dalla Paolucci e da Vanessa Picciarelli. La regia è stata affidata, oltre che a Francesca Comencini, che dirige i primi due episodi, a Susanna Nicchiarelli e a Paola Randi, con un cast composto da molte attrici. In Italia c’è ancora moltissimo da fare: i numeri degli autori uomini che lavorano nel mondo audiovisivo è nettamente maggiore rispetto a quello delle donne. Ma Luna nera porta avanti questa missione di cambiamento italiano.
Come la stessa Francesca Comencini ha affermato in un’intervista per Sky:
“Secondo me, la cosa più importante che c’è nel nostro tempo è che il mondo venga raccontato da più voci, non solo da quella maschile. Bisogna che le donne inizino a raccontare a tutti il loro punto di vista sulla vita, sull’amore, sull’erotismo, sulla violenza. E questa cosa farà cambiare il mondo. Penso che essere una donna sia stata una grande fortuna per me e lo è, ancora di più adesso, per le ragazze che vogliono fare questo lavoro. Perché tutto è stato già raccontato, ma niente dal nostro punto di vista è stato raccontato. Bisogna lavorare il triplo ed essere forti: bisogna pensare che è una grande fortuna essere una regista donna”

Django: tra sentimenti e potere
Fine del 1800, Texas. Django, un uomo solitario che ha affrontato ogni sofferenza nella sua vita, arriva a New Babylon, una città fondata sul fondo di un cratere da John Ellis, un uomo nero che ha combattuto per la parità dei diritti. New Babylon è un luogo dove gli emarginati sono i benvenuti, a prescindere dalle loro origini. Una cittadina utopica, quella creata da John, che si scontra con Elmdale, la città rivale guidata dalla Signora, Elizabeth, una donna tanto potente quanto crudele. Django cerca gli uomini che hanno assassinato la sua famiglia, ma scopre che sua figlia Sara, l’unica sopravvissuta, è viva e sta per sposare John a New Babylon.
Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, entrambi sceneggiatori di Gomorra, sono i creatori di Django e raccontano una storia corale: una storia che passa attraverso lo sguardo di Francesca Comencini che, oltre che a dirigere i primi episodi, è la direttrice artistica della serie. La Comencini raccoglie la sceneggiatura e mette in scena un immaginario western originale, dove, come richiesto dal genere, sono presenti l’action, i cavalli e i proiettili. Ma viene mostrato un mondo dove domina la crisi del patriarcato e della virilità maschile. Una serie che presenta, in modo non intenzionale ma con naturalezza e sincerità narrativa, due protagoniste femminili, autonome dai personaggi maschili, Elizabeth e Sara: due donne che, in un western, si sfidano e combattono con i loro popoli per i propri ideali.
Francesca Comencini: una regista che fa bene al cinema italiano
Francesca Comencini è una regista, sceneggiatrice e scrittrice poliedrica, con una cifra stilistica ben riconoscibile: un’autrice che rende i personaggi molto liberi, anche quando l’opera è direttamente riconducibile a un genere preciso. Ciò che immediatamente identifica un’opera della Comencini da un’altra è la capacità di riuscire a mostrare la profondità dell’animo e del corpo umano, sia maschile che femminile, con una vicinanza ai personaggi femminili e alla loro complessità che in Italia si fatica a incontrare.
La capacità di dedicarsi a documentari, a serie tv e a lungometraggi innovativi (innovativi perché i progetti e i personaggi lo richiedono e non per una forzatura autoriale) è un pregio considerevole. Così come è significativo il portare alla luce determinate tematiche di cui si parla poco, come il lavoro e la qualità di esso, che determina la persona, il diritto alla vita, oltre che la sopravvivenza e la possibilità di crearsi una famiglia.
Francesca Comencini è un’autrice di grande valore per le opere che dirige e che scrive. Ma è molto più di questo: è una regista che ci tiene a comunicare, con una particolare attenzione alle aspiranti registe, la bellezza, le difficoltà e il bisogno di fare oggi questo mestiere. Una regista che dedica se stessa anche a rendere l’Italia un luogo dove poter continuare, o iniziare, a fare cinema, per dare vita a un presente e a un futuro migliore per le autrici e gli autori della Settima arte: una professionista, e una persona, che sta facendo molto per il cinema di questo paese e che per questo bisogna ricordarsi di ringraziare.