Settimana internazionale della Critica

‘Things that my best friend lost’: corpi liberi nel corto di Marta Innocenti

Un documentario fortemente politico

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Presentato in anteprima alla Settimana Internazionale della Critica, Things that my best friend lost è un cortometraggio documentario sulla Generazione Y alla ricerca di un contatto con l’altro sempre più lontano. Regia e soggetto sono di Marta Innocenti, già autrice dei documentari Piazzale Europa, La trasferta e L’assedio, quest’ultimo nella selezione di Marche Du Film del Festival di Cannes.

Con Things that my best friend lost, Marta Innocenti realizza un documentario fortemente politico partendo dalla propria dimensione personale. Quella che all’inizio sembra un’operazione semplice di assemblaggio di materiale audio e video, rivela diversi e complessi strati di lettura. In primo luogo perché il tema trattato da Innocenti – l’inasprimento delle misure anti-rave da parte di questo governo- semplice non è. In secondo luogo per il punto di vista scelto.

La regista raccoglie una selezione di messaggi vocali mandati a lei dal suo migliore amico deejay, Andrea, che la invita a partecipare ad alcune feste organizzate in posti occupati, cercando di superare le sue remore. Per tutta la lunghezza del cortometraggio, Andrea continua a sollecitare Marta a partecipare a una festa che non ci sarà mai perché, come ci raccontano i fotogrammi finali, chiunque organizzi eventi del genere è ora punibile con la reclusione dai tre fino ai sei anni e con una multa che può andare dai 1.000 ai 10.000 euro. 

Punti di vista che non sono il nostro

Nell’intermediazione di Marta, a cui sono diretti i vocali, è presente una chiave di lettura fondamentale per rileggere una norma così discussa. È facile disinteressarsi al destino di qualcosa che non cattura la nostra diretta partecipazione, che non ci piace o non ci coinvolge. Diventa ancora più semplice quando la sua illegalità innalza il nostro disinteresse a superiorità morale; ma uno sguardo giusto, empatico, dovrebbe riuscire ad abbracciare anche quei divertimenti che non coinvolgono in prima persona. Nel termine nel titolo lost, perso, c’è una sofferenza che dovrebbe risuonare nelle orecchie di tutti, a prescindere dai discorsi sulla legalità. 

L’importanza di quello che perdono gli altri, che non dovrebbe essere minore dell’importanza di quello – dei diritti- che perdo io. Una grande lezione di civiltà, a prescindere dalla singolarità del caso.

L’estetica grounge e a bassa risoluzione dei rave

Stabilire un piano di empatia è il primo passo per poter smettere di demonizzare l’altro. Abbattere quella narrativa di appiattimento che trasforma chi partecipa o organizza queste feste nell’ennesimo nemico a cui contrapporci. È così in quei rave che sono stati raccontati come luoghi di degrado e corruzione, la mdp di Innocenti scova il bello dell’incontro tra persone diverse che si incontrano e si scontrano in un ambiente in cui la musica, l’alcool e le droghe sono un tramite per abbattere le inibizioni, per raggiungere la libertà. 

Il montaggio delle immagini ricompone le feste in flash. Ricordi non consequenziali che emergono a commento della testimonianza audio, come le memorie della festa della sera prima. In un tempo astratto e dilatato in cui il beat della musica elettronica nega la struttura musicale pop dell’inizio-centro-fine, i corpi si esprimono senza bisogno di fare nulla di eclatante. Nella foschia ricreata da una fotografia sgranata, nostalgica nel suo essere a bassa risoluzione, le persone sembrano più libere.

 

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