Durante la 81esima Mostra del Cinema di Venezia, il maestro dell’horror giapponese Kiyoshi Kurosawa presenta Fuori Competizione il suo terzo film dell’anno: Cloud (2024).
Poco prima della proiezione alla Biennale, Kurosawa aveva presentato al pubblico di San Sebastián Serpent’s Path. Cloud arriverà nelle sale giapponesi a Settembre 2024.
Di cosa parla Cloud
Ryosuke Yoshii, interpretato da Masaki Suda, lavora in una piccola fabbrica ma arrotonda rivendendo prodotti online, come borse e modellini di personaggi anime da collezione. Con lo pseudonimo di Ratel compra di tutto a basso prezzo, per poi rivenderlo al doppio. Stanco della vita da impiegato, rifiuta una promozione al lavoro e preferisce mollare tutto grazie ai guadagni extra da rivenditore. Si trasferisce così con la compagna, Akiko (Kotone Furukawa), in un paesino sperduto per dedicarsi totalmente al mondo del reselling. Questo gli dovrebbe consentire di rimanere al sicuro, data la natura losca del suo nuovo lavoro full-time.
Prima di trasferirsi, riceve una proposta da Muraoka (Masataka Kubota), un ex compagno di scuola che l’aveva introdotto nel mondo del reselling. Ma Yoshii evita di collaborare nuovamente con lui per un motivo specifico: non si fida di nessuno. L’unico pensiero del protagonista è il guadagno. Con l’aiuto di Sano (Daiken Okudaira), un giovane del posto assunto come aiutante, i piani di rivendita sembrano andare a gonfie vele, almeno finché non iniziano a verificarsi intorno a lui continui incidenti inquietanti.
Yoshii cerca di scoprire chi o cosa si cela dietro questi eventi misteriosi; la ricerca si trasforma ben presto in un episodio paranoico. Chi vuole fargli del male? Il suo ex datore di lavoro? I suoi colleghi di malaffare? Prende slancio una spirale negativa che coinvolge sempre più persone, fino a trasformarsi in una folla di nemici. Il loro obiettivo è Yoshii, la cui illusione di condurre un’esistenza tranquilla viene rapidamente fatta a pezzi.
Una parabola sul legame tra comunità e guadagno
Noto per i suoi film psicologici che spesso si concentrano su narrazioni ambigue, Kurosawa ha sempre utilizzato i generi horror e thriller come mezzi di analisi antropologica. Il regista si è spesso interessato in particolare ai turbamenti interiori dei personaggi e alla ricerca di significati e legami. Lo stesso accade anche in Cloud, dove Kurosawa si interroga sul rapporto tra denaro e relazioni umane.
In questa storia, nessun personaggio si fida dell’altro. Ognuno pensa a sé stesso e al proprio guadagno, ma questo attaccamento morboso al materialismo rischia di trasformarsi in una distruzione collettiva. Fanno da sfondo i vicoli più tristi di Tokyo e le abitazioni disperse in una natura ricca ma asfissiante. Kurosawa, da sempre interessato al coinvolgimento di elementi critici ambientali, preferisce riprese in spazi aperti in decadenza, edifici abbandonati, e in luoghi pieni di pestilenze ed entropia. Anche qui la natura funge da elemento narrativo, o meglio da simbolo dell’animo umano oramai sporco ed egoista fino al midollo.
Cloud rappresenta una corsa contro il tempo. L’uomo è da solo contro il mondo e sé stesso. Si ha l’impressione di dover correre il più velocemente possibile per la mancanza di tempo a disposizione, ma allo stesso tempo il ritmo del film è lento, forse troppo. Sia nei legami più intimi che in quelli esclusivamente lavorativi, ognuno è in competizione con l’altro. A ciò si aggiunge un’atmosfera ansiogena e paranoica, in cui c’è sempre il rischio di essere traditi o usati per gli scopi altrui.
Cloud: un progetto interessante ma debole
I film di Kurosawa occupano una posizione particolare nella cultura cinematografica giapponese e internazionale, in quanto capaci di mantenere una natura originale, data dalla loro astrazione esoterica e intellettuale. Allo stesso tempo, si integrano perfettamente tra i prodotti di massa. In particolare negli ultimi anni, dati i progetti più recenti del regista, si ha l’impressione che l’elemento commerciale sia quello più significativo e influente nella creazione di una storia.
Inoltre, lo sviluppo dei personaggi di Cloud appare più fiacco rispetto a film cult come Pulse (1997) o Cure (2001). L’aspetto fotografico sembra avere la meglio su tutto il resto, ma il ritmo narrativo non è abbastanza coinvolgente. I plot twist si captano facilmente e quella di Suda sembra l’unica performance degna di nota. Cloud appare come il tentativo di un racconto nuovo e contemporaneo, come il mondo del dropshipping e del reselling. Anche l’elemento più interessante, che il regista aveva presentato come quello più influente per la storia, ovvero il mondo di Internet, sembra trattato superficialmente.
La domanda del film appare chiara: cosa c’è oltre il guadagno? I rapporti umani oramai si limitano solo al tornaconto personale? Eppure, non vengono usati i giusti mezzi narrativi per indurci a una riflessione personale sull’argomento. Cloud ha tutte le carte in regole a livello estetico e musicale per essere un lavoro in pieno stile Kurosawa, ma manca dell’analisi antropologica che lo contraddistingue nel panorama cinematografico.