Uscito in Italia il 28 agosto, The Crow – Il corvo è un reboot dell’omonimo film del 1994, tratto dalla serie a fumetti di James O’Barr. L’opera è diretta da Rupert Miles Sanders, autore di Biancaneve e il cacciatore, del 2012, e dell’adattamento live action di Ghost in the Shell, del 2017. La distribuzione italiana, invece, è a carico di Eagle Pictures. All’interno del cast, Bill Skarsgård, che interpreta il protagonista Danny Huston, Josette Simon e la cantautrice e ballerina FKA twigs.
Il film si è rivelato fin da subito un grande insuccesso, sia dal punto di vista del pubblico che da quello della critica specializzata.
The crow – Il corvo Sinossi
Eric, un giovane con un’infanzia difficile, incontra in un centro di riabilitazione la musicista Shelly, in fuga da Vincent Roeg, un potente criminale con poteri sovrannaturali a causa di un patto con il diavolo. Quando gli scagnozzi di Roeg scoprono dove si trova la ragazza, lei decide di fuggire, aiutata da Eric, con il quale inizierà una profonda storia d’amore. I loro inseguitori, tuttavia, riusciranno ad interrompere brutalmente la loro indilliaca convivenza, trovandoli ed uccidendoli. Lo spirito di Eric tuttavia si ferma in un limbo tra la vita e la morte. Da qui gli sarà data la possibilità di rinascere come un essere immortale, il cui unico scopo sarà quello di vendicarsi per portare indietro Shelly.
The crow – Il corvo Le problematiche principali
The Crow – Il corvo sembra non funzionare su più fronti, sia dal punto di vista tecnico che da quello narrativo. Le scelte fotografiche e registiche sono essenziali e accademiche e non riescono in alcun modo ad elevare ciò che viene mostrato in scena. In particolare, durante le numerosissime sequenze d’azione, l’eccessiva ricerca di spettacolarità non fa altro che spezzare il ritmo, andando a minare idee di messa in scena in alcuni casi anche interessanti.
Le problematiche principali sono da ricercarsi, tuttavia, nella scrittura. Il primo atto, per esempio, all’interno del quale viene illustrata la storia d’amore tra Eric e Shelly, non riesce a comunicare l’importanza del legame tra i due in quanto procede attraverso una serie di situazioni fin troppo banali e prive di alcuna profondità emotiva. La loro fuga si configura più che altro come un idillio destinato a spezzarsi che, se viene interpretato come una mera rappresentazione ideale, risulta troppo esteso e se, al contrario, lo si considera come un vero e proprio studio dell’evoluzione di un rapporto, risulta fin troppo abbozzato. Tutto ciò, insieme all’estrema bidimensionalità del protagonista, contribuisce a far venir meno tutta la rabbia di quest’ultimo e, soprattutto, l’urgenza di salvare Shelly.
Il secondo e il terzo atto risultano sicuramente più riusciti dal punto di vista della messa in scena, presentando, in alcuni casi, dinamiche anche parecchio creative, come la scena a ritmo di musica nel teatro. Ancora una volta, però, il film fallisce a livello di ritmo in quanto, da qui in poi, il susseguirsi di scene d’azione con un procedere decisamente simile, genera una forte ripetitività. Queste saranno inframezzate, in alcuni casi, dall’introduzione di personaggi secondari i quali, tuttavia, risultano a tratti abbozzati e fini a loro stessi, come la madre di Shelly e i vecchi amici di quest’ultima e del protagonista.
Crisi di identità di un reboot poco necessario
È il confronto tra il nuovo capitolo e l’originale Il corvo (non di certo un capolavoro, ma sicuramente un film ben riuscito) che rende evidente la natura di molti problemi di questa operazione commerciale. Risulta necessario specificare, innanzitutto, che The Crow – Il corvo, non è in alcun modo considerabile un remake a causa delle eccessive variazioni al soggetto e all’atmosfera in generale. Si configura, più che altro, come un reboot della serie, unica scelta possibile per non ricadere in una mera operazione nostalgia, a causa di quanto il film originale risultava radicato nella cultura del 1994. Risulta quindi possibile distinguere tra due tipi di variazioni nei confronti del cult anni ’90 (e del fumetto, a cui il primo film è stato parecchio fedele), quelle per rendere il film più accessibile e vendibile e quelle per adattarlo a mode e tendenze della società odierna.
Semplificazioni ed occasioni sprecate
Alcuni esempi della prima tipologia sono dati dall’eccessivo spazio allo sviluppo della storia d’amore tra i due protagonisti che, come già accennato, risulta poco efficace. In particolare se confrontato con la scelta nell’opera originale, ovvero quella di mostrare fin da subito la loro morte ed evidenziarne il legame attraverso i ricordi e le riflessioni di Eric. Un’altra aggiunta alla sceneggiatura poco riuscita è il tentativo di contestualizzare i poteri del Corvo, legandolo ad una dimensione ultraterrena, con tanto di una sorta di mentore sovrannaturale decisamente poco caratterizzato e riuscito.
Differente è anche il villain il quale, in questo reboot, possiede un’abilità sovrannaturale che ha potenziale, in particolare per la sua coerenza con l’universo narrativo dell’opera originale: la capacità di indurre al suicidio le sue vittime. Tale potere, però, non verrà in alcun modo esplorato e sfruttato, costruendo un personaggio bidimensionale e mai veramente minaccioso.
Tutte queste modifiche vanno a minare il pretesto narrativo alla base della sceneggiatura dell’opera originale. Mostrare la vita precedente alla rinascita di Eric solo nel momento dell’efferato omicidio e caratterizzare il rapporto amoroso con Shelly, quindi, solo nei momenti di riflessione malinconica, porta a mettere in evidenza la grave perdita che ha subito il protagonista, giustificandone quindi la vendetta. Il fatto che i villain non abbiamo poteri comparabili a quelli di Eric li rende estremamente in svantaggio, portando quindi alla luce la forte contraddizione del suo personaggio: un dolore che lo porta a trasformarsi in un carnefice a tratti più efferato dei suoi aguzzini, e quindi con una moralità compromessa.
Tutto ciò è completamente assente in questo reboot, rendendo il suo protagonista decisamente anonimo e caratterizzato solo da una generica rabbia. Prova a risolvere il problema l’introduzione di una nuova dinamica: il fatto che, con la sua vendetta, Eric può riportare in vita Shelly, dandogli quindi una motivazione forte. Questo elemento, tuttavia, contribuisce solo a un ulteriore semplificazione del personaggio e, più gravemente, alla perdita dell’efficace tematica dell’inutilità della vendetta.
Ringiovanire un franchise
L’introduzione di modifiche che provano a rendere l’opera più adatta alla contemporaneità risulta essenziale per non renderla una mera operazione nostalgia. L’originale, infatti, risulta estremamente radicato alla sottocultura dark e gotica degli anni ’90, con un aggiunta di richiami al grunge che contribuivano a rimarcare il film come classico proprio della sua generazione di riferimento. The Crow – Il corvo, sembra, a prima vista, cercare di fare lo stesso, spostando l’attenzione dalla generazione X alla generazione Z. Ed ecco quindi che, in quest’ottica, il tanto criticato aspetto di Eric nel reboot diventa coerente e funzionale. Come il Corvo del 1994 poteva essere scambiato per il membro di un gruppo darkwave o industrial (entrambi generi che all’epoca erano riusciti ad entrare nel mainstream), allo stesso modo, quello del 2024, può essere più facilmente ricondotto a un artista contemporaneo.
Il problema, tuttavia, è che l’opera di Sanders, non riesce in alcun modo a staccarsi completamente dall’immaginario del film di Alex Proyas (e del fumetto), portando a un misto tra nuovo e vecchio che, semplicemente, non funziona. La colonna sonora è un esempio evidente di ciò. Il film del 1994 presentava una serie di brani strettamente correlati all’immaginario di riferimento da parte di artisti di rilevanza per l’epoca quali i The Cure, gli Stone Temple Pilots, i Rage Against The Machine e i Nine Inch Nails. Il reboot, invece, non riesce a proporre brani originali coerenti al suo protagonista. Il risultato è una colonna sonora dimenticabile, se non per quei brani che richiamano al passato (come quelli dei Joy Division e di Gary Numan) che quindi, ancora una volta, risultano fuori posto.
Il risultato è un film che sembra non riuscire a decidere il suo target di riferimento e che, quindi, cercando di accontentare tutti, finisce per non piacere a nessuno.
Il paradosso del remake hollywoodiano contemporaneo
Dato ciò che è stato evidenziato in precedenza, risulta quindi spontaneo chiedersi: “Sarebbe mai stato possibile riproporre Il Corvo nel 2024 con successo?” La forma classica del remake hollywoodiano, quella che cerca di allargare il target di riferimento alludendo al nuovo e strizzando l’occhio al passato ha già fallito in precedenza e si è rivelata particolarmente inadatta per questo film, il quale, per sua natura, è così radicato alla cultura che lo ha generato. Allo stesso modo però, riproporre l’opera senza rinnovarla non sarebbe stata di certo una scelta sostenibile in una società ormai così radicalmente cambiata, che l’avrebbe forse percepita come una banale operazione nostalgia. Ecco quindi che distaccarsi dal passato e rinnovare il franchise sembra diventare la via migliore per cercare di dar vita a un opera che possa, contemporaneamente, riuscire ad avere un incasso adeguato e il valore artistico sperato.
Conclusione
Tutto ciò rivela il paradosso che si trova alla base di questo tipo di remake (o reboot): “Se per rendere contemporanea un’opera del passato risulta necessario distaccarsi da essa, perchè allora si dovrebbe, in primo luogo, cercare di riproporla?”. Il Corvo è un film già perfettamente collocato nell’immaginario comune, è un cult con personaggi e atmosfere ben definite e relative a un determinato periodo storico.
È forse arrivato il momento di lasciar andare i grandi film e franchise del passato e continuare a ricordarli (oltre che riguardarli) per quello che sono stati dando spazio alle nuove idee, che di certo non mancano, ma che sono fin troppo spesso relegate all’underground. Infatti, non sono di certo il trucco gotico, la giacca in pelle nera e la presenza di un iconico volatile gli unici ingredienti per un’antieroe che si rispetti, e forse, i tempi sono maturi per lasciar spazio a una serie di nuovi personaggi, che sappiano distinguersi ma che non dimentichino tutte quelle strade che hanno portato i grandi del passato a comunicare così efficacemente con il loro pubblico.
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