Atteso come uno degli eventi più importanti dell’undicesima edizione del Florence Korea Film Fest, Confession of murder è stato presentato in anteprima nazionale alla presenza del regista Jeon Byeong-Gil.
Dopo 15 anni le forze dell’ordine non sono ancora riuscite a svelare l’identità del serial killer responsabile della morte di dieci donne. Il giorno in cui il reato finisce in prescrizione, con la definitiva archiviazione del caso, uno dei parenti delle vittime si toglie la vita gettandosi da un palazzo sotto gli occhi del detective Choi, che si è occupato del caso ed è arrivato ad un passo dal catturare il maniaco che è riuscito a sottrarsi all’arresto ferendolo in volto e lasciandogli una cicatrice su una guancia. A distanza di due anni un uomo, Lee Du-seok, pubblica un romanzo dove si autoaccusa degli omicidi. Il libro diviene ben presto un grande best seller ed il suo autore viene acclamato dalla folla come una star anche a causa dell’ossessiva e morbosa attenzione riservatagli dai media. Choi però non è affatto convinto che Lee possa essere il vero serial killer e lo sfida ad un confronto televisivo dove a sorpresa si fa avanti un altro uomo che in diretta telefonica rivendica la paternità degli omicidi.
Negli ultimi dieci anni abbiamo potuto ammirare diversi thriller coreani di altissimo livello, come Memories of murder, The Chaser e I saw the devil per citarne solo alcuni, che hanno contribuito in maniera fondamentale al successo a livello internazionale del cinema sudcoreano ritenuto ormai tra i più importanti al mondo nella produzione di film di questo genere.
Confession of murder, uscito in patria lo scorso novembre con grande successo, è da considerarsi il primo lungometraggio di Jeon Byeong-Gil, qui anche sceneggiatore, dopo l’interessante Action Boys, documentario incentrato sulla vita di alcuni studenti alla scuola per stuntmen, tra cui lo stesso regista che non ha una tradizionale formazione accademica ma si è avvicinato al cinema diventando uno stuntman professionista.
Fin dalla sequenza iniziale, con un inseguimento notturno sotto la pioggia incessante che richiama alla mente Seven di David Fincher, si nota subito la bravura del giovane regista nel girare le scene d’azione caratterizzate da riprese nervose e spesso volutamente traballanti che restituiscono al meglio sul grande schermo la concitata e convulsa caccia all’uomo condita da combattimenti corpo a corpo che esaltano l’operato degli stuntmen. Evidente, da questo incipit assai promettente, la volontà del regista di stupire lo spettatore e di far alzare almeno un sopracciglio al cinefilo più avvezzo a riprese di questo tipo. La progressione narrativa mette a fuoco diversi elementi, dalla feroce critica ai media e alla società contemporanea alla condanna nei confronti di un assurdo e carente sistema giudiziario che in Corea prevede la prescrizione anche per i crimini più efferati, innestandoli in un thriller d’azione che riserva non pochi colpi di scena.
Meno crudo ed estremo della maggior parte dei thriller realizzati in Corea negli ultimi anni, il film spinge costantemente sul pedale dell’acceleratore riuscendo ad imprimere un ritmo elevatissimo alla narrazione.
Jeon Byeong-Gil si dimostra ancora un po’ acerbo nel maneggiare e gestire le numerose tematiche affrontate che finiscono col mettere troppa carne al fuoco facendo perdere compattezza e solidità al suo film. La visione risulta comunque decisamente piacevole per gli amanti del genere che avranno di che divertirsi, specie nell’incredibile sequenza dell’inseguimento autostradale dove il regista dimostra tutta la sua maestria nel dirigere le scene d’azione portate all’estremo con evidenti intenti parossistici. Impossibile annoiarsi con un film di questo tipo che si rilancia continuamente e intrattiene per due ore filate senza cedimenti di tensione, pur avendo qualche piccolo difetto in fase di scrittura ed un’eccessiva mole contenutistica al suo interno che lo rendono decisamente interessante e insolito nella sua imperfezione.