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Biennale del Cinema di Venezia

‘Perfumed with Mint’, a Venezia 81 una ghost story in fumo di hashish

Alla Settimana Internazionale della Critica l'egiziano Hamdy presenta una tormentata paranoia generazionale. Ma il risultato è fumoso

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All’inizio è profumo di menta, poi sarà odore di hashish. Non che Perfumed with Mint di Muhammed Hamdy sia un film in odorama; ma, esile com’è il filo della storia, fosca com’è l’atmosfera rabbuiata della fotografia, vale la pena aggrapparsi all’olfatto. All’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, il film del regista egiziano, in concorso alla Settimana Internazionale della Critica, più che una narrazione appare infatti come un lungo umore notturno, fluido come la carrellata laterale che in apertura trascorre sulle piante di menta. Anche quando, dopo il prologo botanico, entrano in scena i protagonisti, l’aria resta quella di un sogno – o incubo – opaco.

Balaa, medico trentenne dal cuore spezzato per un’amante perduta, corre in soccorso di Mahdy, vecchio amico al quale comincia a germogliare la menta dal corpo (sic! Che è pure l’acronimo di Settimana Internazionale della Critica). Comincia, più che una fuga, una blanda peregrinazione tra case vuote, rovine, muraglie infestate e soprattutto memorie, spesso bivaccando a fumare l’hashish generosamente fornito dall’amico Houssain. S’incontrano ex compagni, già mutati in menta, ora estranei. Affiorano lacerti di storie, ma è la narrazione stessa a restare sconosciuta, affogata in un simbolismo scuro e pesante come la notte più fonda.

Una clip da Perfumed with Mint

Perfumed with Mint è prodotto da Farès Ladjimi (Supernova Films). Le vendite internazionali sono a cura di Reason8 Films.

Io sono vivo, voi siete morti

Di cosa parla Perfumed with Mint? Ammesso, peraltro, che un film debba parlare di qualcosa. Certo, intanto, è un’opera di fantasmi ed evocazioni, come si arguisce dai riferimenti alle persone scomparse, dai cenni alle prigioni, dai silenzi che sembrano diventare veglie funebri e dalle battute ripetute che mutano in litanie. Un tour di desaparecidos ed ectoplasmi. Qualche anima vagante manifesta anche più apertamente la propria natura eterea:

171 proiettili mi hanno svuotato i polmoni di tutta l’aria, ed ho sanguinato sotto un albero.

Dichiarando schiettamente che Perfumed with Mint è una ghost story, il regista aggiunge anche che la menta che sbuca dai corpi sarebbe una manifestazione fisica di una paranoia generazionale.

Il fantasma non è un’apparizione spettrale che si muove attraverso i muri; piuttosto, può essere delicato come una foglia di menta in un mondo misterioso che permette alle emozioni strazianti di risorgere e di esporre le loro ferite.

C’è dunque una connessione di assenze, in cui i vivi diventano quasi medium per i sussurri dei morti. Che non sembrano morti qualsiasi: sono forse sacrificati, anime in pena.

Eravamo quattro amici al bazar

Non è detto che si voglia, a forza, evocare un fantasma: lo si può anche voler semplicemente esorcizzare. Che le morti siano, forse, politiche, violente, ad ogni modo tormentate, è lasciato intendere dai cenni alle prigioni, dal dolore dei parenti, dall’aria braccata dei vivi. Chi resta, non disdegnerebbe dimenticare – e qui l’hashish, per diventare comfortably numb, dolcemente insensibili:

Fumalo, Mahdy. Ai ricordi non piace l’hashish.

C’era una volta in Egitto? Nessun riferimento concreto a fatti reali viene sviluppato. L’hashish immerge in una nebbia plumbea, come l’oppio delle fumerie di C’era una volta in America. Perfumed with Mint si smaterializza in uno scenario onirico, ricordanza più che ricordo.

Profumo di apocalissi

Muhammed Hamdy – registriamo, senza insinuazioni, che è l’anagramma di Mahdy – mostra talentuosamente l’estrazione di direttore della fotografia (con cui ha girato e coprodotto nel 2013 The Square, candidato all’Oscar). Il montaggio fluido, che spesso rimanda lo stacco e si adagia sulla camera fissa, incede in ombre lunghe e caravaggesche. Una surrealtà alla Kaurismaki, curiosamente tragica come certi pittori tenebristi del Settecento veneziano, pervade alcuni frame composti con maniacale e congelata audacia di luci e forme.

Due uomini sulla soglia di una porta

Perfumed with Mint, Mahdi (a sinistra) e Balaal (a destra) nelle loro esplorazioni che diventano introspezioni

Sul piano visivo, dunque, Perfumed with Mint sembrerebbe slittare su di un piano atemporale, allucinato, universale. Tira aria di apocalissi, di quelle che rigenerano (in genere dette rivoluzioni). Fioccano allusioni bibliche sull’Arca di Noé, speranze in un “fischio” salvifico che riunirà tutti i fratelli in fuga, mentre i dialoghi sembrano presentarsi come vaticini.

Dolcemente insensibili

Perfumed with Mint, da buon film che profuma di autorialità, è dunque un film visionario. Resta tuttavia il dubbio che la visione di Hamdy resti personale ed ermetica, fin troppo per assurgere a quel racconto universale, o almeno generazionale, che dietro la coltre del simbolismo aspirava naturalmente a divenire. La sensazione è piuttosto quella di aver aspirato un hashish cinematografico che stordisce, di esserne rimasti intontiti: “numb”, fino all’insensibilità. Può dipendere, beninteso, dalle sensibilità individuali di ogni spettatore. Per chi scrive, il sospetto di aver inalato bellezza autoriale va a braccetto con quello di un’eccessiva fumosità.

Perfumed with Mint

  • Anno: 2024
  • Durata: 111'
  • Genere: Drammatico, fantastico, sperimentale
  • Nazionalita: Egitto, Francia, Tunisia, Qatar
  • Regia: Muhammed Hamdy

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