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Locarno Film Festival

Irène Jacob premiata a Locarno e ‘Film rosso’ restaurato

Il Locarno Film Festival omaggia Irène Jacob con un riconoscimento importante alla carriera e con la proiezione di un classico contemporaneo di cui fu la protagonista

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Tra le personalità di cinema illustri premiate alla 77esima edizione del Locarno Film Festival (il premio Oscar Alfonso Cuarón, la produttrice Stacey Sher, il premio Oscar Jane Campion), la kermesse annovera anche la presenza sempre luminosa di Irène Jacob, insignita il 9 agosto del Leopard Club Award in Piazza Grande, riconoscimento che valorizza i grandi protagonisti del cinema internazionale, già consegnato in passato a Faye Dunaway, Mia Farrow, Stefania Sandrelli, Adrien Brody, Hilary Swank.

Irène Jacob è uno dei volti del cinema internazionale d’autore dagli anni Ottanta fino ad oggi, prossima a presentare con Amos Gitai un nuovo film alla Mostra di Venezia 2024, Why War, e vanta uno stretto legame con la Svizzera, dove è cresciuta prima di trasferirsi a Parigi (che le ha dato i natali) e in cui si svolge il film che l’ha consacrata alla storia del cinema, Tre colori – Film rosso (1994) di Krzysztof Kieślowski.

La pellicola, che si impose immediatamente come summa formale e filosofica del cineasta polacco e che appassionò il mondo fin dalla sua anteprima a Cannes 1994 (in cui, con sbigottimento generale, non vinse alcun premio), è stata presentata qui a Locarno in un restauro in 4K/HDR ed è stata introdotta da un’emozionata e nostalgica Irène Jacob.

Le molteplici vite di un divismo gentile

Nata a Parigi nel 1966 ma cresciuta a Ginevra, Irène Jacob è stata ed è interprete elegante e sensibile, accolta nel corso di una carriera artistica versatile (è anche cantante, musicista e scrittrice) nell’olimpo del cinema d’autore internazionale. Ha recitato infatti per Louis Malle (Arrivederci ragazzi), per Krzysztof Kieślowski (La doppia vita di Veronica, oltre che nel già citato Tre colori – Film rosso), Michelangelo Antonioni e Wim Wenders (Al di là delle nuvole), Theo Angelopoulos (La polvere del tempo), Claude Lelouch (Paliamo delle mie donne).

Attrice dotata di un fascino magnetico radioso, di una fotogenia che addolcisce l’immagine filmica con il suo volto limpido e armonioso, illuminato da un magico alone di grazia e affabilità, con queste parole di motivazione del direttore artistico del Festival, Giona A. Nazzaro,  è stata onorata con il Leopard Club Award:

Irène Jacob è una delle presenze più misteriose e sublimi del cinema. Ogni sua apparizione manifesta la precisione inafferrabile di una presenza che si cala nelle immagini dei film per diventare segno cinematografico. La sua capacità di offrirsi allo sguardo dei registi per poi entrare nel personaggio e farsene carico è il segno di un’arte raffinata e saggiamente istintuale.

Una donna che vive e si adopera per il cinema e per l’arte (tanto da essere nominata presidente dell’Institut Lumière di Lione, succedendo a Bertrand Tavernier) e che in un’intervista concessa al Locarno Film Festival ha rievocato, tra le varie tappe della sua carriera, il ruolo della modella Valentine in Film rosso, il personaggio con cui immancabilmente meglio la identifica l’immaginario collettivo, una figura femminile di fraterna generosità e bellezza interiore che ha fatto breccia nei cuori dei cinefili. Così ha dichiarato l’attrice:

è meraviglioso vedere come questi film abbiano attraversato le frontiere e il tempo e siano ancora attuali. Quando giro il mondo per lavoro – che sia cinema o teatro, che sia Città del Messico, Rio de Janeiro o Tokyo – mi viene spesso chiesto di presentare La doppia vita di VeronicaTre colori – Film rosso di Kieślowski; lavorare con lui su questi due film ha mi ha lasciato un’impronta profonda, forse proprio per la sensibilità straordinaria con cui sapeva illustrare il mistero degli esseri umani e quello della vita stessa.

Tre colori – Film rosso, la fratellanza mai caduca

Come si presenta al pubblico oggi Tre colori – Film rosso, l’ultimo e il più compiuto film di una trilogia dedicata (dopo Film blu e Film bianco), com’è noto ai più, al tricolore della bandiera francese e agli ideali della Rivoluzione francese, libertà, uguaglianza e fratellanza? Proclamato già come un capolavoro dalla più autorevole critica internazionale nel 1994, visto ora in sala in veste restaurata, a distanza di trent’anni dalla sua uscita, il film di Kieślowski ha resistito alla prova del tempo, senza che qualsivoglia pratica di storicizzazione possa scalfire il suo imperituro e ammaliante dialogo su Dio e sulla responsabilità individuale, sugli incastri del caso e sulla mano invisibile del destino, sull’amicizia e sull’amore. Perché Kieślowski ha saputo ritrarre con i due protagonisti così agli antipodi la più improbabile, pura e toccante amicizia amorosa della storia del cinema.

Nel restauro in 4K rifulge ancora meglio la tavolozza cromatica virata verso un rosso caldo e autunnale che ammanta l’evoluzione della conoscenza tra Valentine, giovane e altruista studentessa e modella, e l’anziano Joseph Kern (Jean-Louis Trintignant), disincantato e asociale giudice in pensione dall’animo ferito da tempo. Un fil rouge, appunto, tra i due, annodato da un incidente fortuito dove è rimasto lievemente ferito il cane di lui, che Valentine riporta al suo padrone, recluso nella sua villa nella periferia di Ginevra e intento a intercettare illegalmente le conversazioni telefoniche dei vicini.

La maestria che soffia umanità

Senso di colpa e pietà, fratellanza e perdono, legge e necessità, clausura e apertura al mondo scorrono, si intersecano e si intensificano nei confronti diretti tra i due, acquisiscono verità di rara naturalezza e intensità nei primi piani di Trintignant e Jacob, nei loro sguardi reciproci in un gioco individuale dove a vincere saranno entrambi, forse per una provvidenziale manovra del fato o forse per l’intervento di un’entità tutta terrena, ma sempre nella luce carezzevole di un amore mai nato quarant’anni prima, che ora li lega entrambi, nella fede laica delle potenzialità infinite che la vita può schiudere. Perché, per il regista polacco prematuramente scomparso, l’amore è prima di tutto com-passione verso l’altro.

La fotografia che nel suo manifesto visivo purpureo dirige un’orchestrazione estetica quietamente maestosa e conciliante; il montaggio ineccepibile che era per Kieślowski lo scalpello filmico per eccellenza, qui in grado di costruire traiettorie di sguardi, geometrie compositive, simbolismi che sublimano le biforcazioni interpretative; i movimenti di macchina da presa, che con iridescente fluidità animano gli oggetti con sensibilità spiccatamente polacca, accentuano le metafore metacinematografiche, donano materialità all’istanza narrante che è poi quella di un regista-demiurgo (Kern/Kieślowski stesso).

Ancora, il bilanciamento drammaturgico che con poesia e persino tenue ironia tesse parallelismi, rimandi, intrecci, rime esterne (con Film blu e Film bianco). Infine, tra gli altri innegabili meriti, la visione del mondo di Kieślowski, così laica e trascendentale allo stesso tempo, imbevuta di principi morali che sono poi la condizione imprescindibile per poter stare a mondo. Dove una stretta di mano o uno scambio di sguardi, parafrasando le parole dello psicoanalista Massimo Recalcati, sono gli squarci nel muro dell’individualità, per aprirsi alla relazione con l’altro, nella vertigine emozionante degli incontri possibili e talvolta salvifici che tendono una mano anche alla nostra confusa e assurda esistenza.

 

Tre colori - Film rosso

  • Anno: 1994
  • Durata: 99'
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Francia, Svizzera, Polonia
  • Regia: Krzysztof Kieślowski

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