Presentato fuori concorso alla 77esima edizione del Locarno Film Festival, Cartas Telepáticas (Telepathic Letters) del regista portoghese Edgar Pêra (1960) si prenota fin dagli esordi della kermesse come uno dei prodotti più obliqui e originali, nel suo essere così fuori dall’ordinario, difficilmente catalogabile, straniante, criptico: un’esperienza più sensoriale che intellettuale, pur nella sua tessitura di fitta letterarietà.
Una corrispondenza epistolare immaginaria tra il poeta portoghese Fernando Pessoa (1888-1935), voce imprescindibile della lirica del Novecento, e lo scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft (1890-1937), tra i maggiori maestri della letteratura del soprannaturale e horror.
L’adozione dell’intelligenza artificiale generatrice di immagini fluide e suoni distorti a cura del regista non solo ci inoltra nella vertigine di un impossibile che diventa plasmabile e percepibile, ma si aggira anche oltre i confini della sperimentazione linguistica approdando a un immaginario errante e sfarzosamente irreale, che trae linfa vitale dai grovigli fagocitanti dell’inconscio, dalla sintassi frantumata e brutale del sogno, da suggestioni e ascendenze della letteratura gotica e del cinema horror.
La forma mentis del genio
Cartas Telepáticas. Lettere telepatiche. Pressoché contemporanei, i due scrittori in questo film d’avanguardia breve e incisivo dialogano a distanza per via epistolare (o forse per connessione telepatica), in un carteggio ultrasensoriale che attinge dai testi autentici sia di Pessoa che di Lovecraft e che sviscera la loro poetica risuonante di oscura bellezza, attinente al sogno, alle idee, a correnti ancestrali, alla frantumazione dell’io, alla morte. Uno stile sentenzioso, aforistico, talvolta lapidario e talvolta romantico, che innesca affinità elettive e slittamenti culturali, che rimbomba in sonorità metalliche, rese alienanti dall’uso dell’intelligenza artificiale.
Come nel manifesto di intenti di Edgar Pêra, Cartas Telepáticas “esplora i legami invisibili tra i punti di vista unici di questi due autori”, intrecciando voci e sensibilità culturali che si pongono oltre a vite anagraficamente parallele.
Maschere nude e giochi dell’occulto
Da una parte Pessoa, il poeta rappresentativo di Lisbona, trasferitosi in Sudafrica con la famiglia, di ritorno poi nella città natale, dove per la sua perfetta padronanza dell’inglese diventò corrispondente commerciale per l’estero, ma pubblicò anche poesie, collaborò con riviste letterarie. L’autore noto per l’uso pirandelliano in alcuni suoi scritti di eteronimi o autori immaginari: Alberto Caeiro, Álvaro de Campos, Ricardo Reis o l’alter ego Bernardo Soares. Penna raffinata del modernismo e della sperimentazione più poliedrica sia in versi che in prosa (Il libro dell’inquietudine). Secondo il celebre critico e accademico Harold Bloom,
la sua fantastica inventiva supera qualsiasi creazione di Borges.
Dall’altra il meno istituzionalizzato Lovecraft (ma molto influente per più generazioni di artisti, tra letteratura, cinema e musica), assurto a padre tutelare da maestri dell’horror come Stephen King e Dario Argento, ma anche ispiratore di importanti autori come Cocteau e Borges, demiurgo di universi fantastici, soprannaturali, lividi, ermetici, tanto da sconfinare in una mitologia delle tenebre a sé stante.
Un figlio derelitto dell’America più ordinaria e psicotica (il padre, rappresentante industriale, fu internato in manicomio), traumatizzato da un’infanzia difficile che rafforzò i suoi disturbi mentali, navigando tra variegati interessi come l’astronomia e l’opera di Edgar Allan Poe, in un’esistenza segnata da una vita interiore complicata, da contraddizioni ideologiche e posizioni politiche controverse. Si erse con la sua narrativa in prosa come cantore originalissimo dei misteri angosciosi e dirompenti dell’inconscio, alfiere della potenza immaginifica più angosciante e anticonformista, nonché come precursore della fantascienza statunitense.
Il sonno della ragione genera mostri
Cartas Telepáticas crea a sua volta il suo universo filmico solipsistico, caleidoscopico e artefatto, regnato dalle menti dei due autori, le cui fluviali parole (estrapolate dalle loro opere) generano i mostri dell’inconscio, le metamorfosi surreali dell’incubo, le ombre traumatiche del Novecento, le schegge del rimosso. Se l’intelligenza artificiale dona le fattezze, le movenze, la voce ai protagonisti, certi automatismi propri dell’immagine tecnologica conferiscono ai due un’artificiosità, appunto, inquietante; se il mezzo digitale permette all’inventiva di Edgar Pêra di dispiegare questa fantasmagoria inedita e perturbante che scaturisce dalle personalità letterarie prese in esame, ancora una volta l’innaturalità astratta del mezzo digitale accentua il senso dell’enigma arzigogolato e dell’ipnotico più sfuggente.
E in questo pot-pourri ondivago, incontenibile e intrinsecamente onirico Edgar Pêra si avvicina alle due icone letterarie novecentesche e alla loro mentalità creative ricorrendo al surrealismo fotografico, ai freaks, a figure aliene, a corridoi e labirinti, alla optical art, a distorsioni psicanalitiche, gatti neri, disparate soluzioni fotografiche in bianco e nero o a colori, maschere vuote, scenari lunari. Come in un cupo luna park dell’assurdo e sotto l’ascendenza centrifuga di Dalì, Magritte, Buñuel, Lynch, Dario Argento, di pellicole come Carnevale di anime, Godzilla e molto altro, oltre a Pessoa e a Lovecraft stessi.
Una deriva in diramazioni continue
Cartas Telepáticas sembra andare oltre alla sua finalità programmatica di dare un’intelaiatura visiva alla fucina di idee dei due autori, di carpire l’essenza tentacolare del loro genio con un intreccio di mondi, connessioni, contaminazioni, immersioni in un altrove interiore magmatico, incasellabile. In questo accumulo di delirio estetico e indubbia audacia sperimentale (che promette nel finale un continuo), vige imperituro durante la visione il sospetto di un esercizio di stile troppo a briglia sciolta, di un’incursione avanguardistica che si avvale dei due scrittori per dar sfoggio alle potenzialità tecniche dell’IA ancora da sondare e dipanare. Un piccolo film anticonvenzionale da vedere (ma forse non da rivedere). Un’opera di abbandono sensoriale da fruire a occhi semichiusi. Perché, come spiega Lovecraft,
le idee sono sensazioni a un’unica dimensione.