In concorso per il Pardo d’oro alla 77esima edizione del Locarno Film Festival, La Mort viendra (Death Will Come) è una coproduzione tedesca con la regia di Christoph Hochhäusler, critico noto per interviste a cineasti illustri e autore di lungometraggi presentati tra Cannes e Berlino, tra cui il penultimo Bis ans Ende der Nacht(Orso d’argento per la migliore interpretazione da non protagonista).
La Mort viendra dipana in un intrigo criminale un mondo sommerso di malavita e tradimenti, di boss distinti e intoccabili e killer a pagamento: un algido nucleo implacabile di affari e spietatezza dove la morte e il destino flirtano inevitabilmente in una bolla atemporale in contiguità tra quotidianità e illegalità. Nel cast Sophie Verbeeck, Louis-Do de Lencquesaing, Marc Limpach, Mourade Zeguendi.
La tragedia classica nella modernità
Francia, ai giorni nostri. Charles Mahr, gangster potentissimo, ingaggia Tez, una giovane donna che uccide per denaro. Il suo incarico è scoprire per conto di Mahr chi ha assassinato un suo corriere. Nel corso degli eventi Tez però si renderà conto di essere una mera pedina e una potenziale vittima di una trama criminale dove la verità non è mai quella che sembra e dove urge che assuma anche il ruolo di vendicatrice.
In un film dove il plot conta meno dell’atmosfera e dove l’intrigo thrilling conta meno dei personaggi, Christoph Hochhäusler, come un burattinaio dalla cinepresa ben salda, manovra i meccanismi di genere con sicura padronanza ma senza intenti immersivi o filologici, come se La Mort viendra volesse esaminare le tematiche esistenziali proprie del gangster movie più che imporsi come opera di intrattenimento o di riscrittura delle leggi che presiedono a un fortunato e non sempre rivisitato filone.
Non casualmente lo stesso regista, a commento del suo lavoro, cita testualmente il sommo esponente europeo del polarJean-Pierre Melville (Frank Costello faccia d’angelo, I senza nome) per avvalorare l’intento di appropriarsi con occhio analitico e contemplativo della materia più rappresentativa del genere: la fatalità della concatenazione delle forze del male, la caduta irreversibile del potere più sanguinoso nelle mani di un fato beffardo, le ombre delle apparenze che celano realtà accecanti:
mi affascina come i film di gangster parlino senza filtri di morte e destino al di là del realismo del cinema contemporaneo. Quale “moderna forma della tragedia” (J.-P. Melville), questo genere offre, giocosamente, l’ “estrema unzione”.
Uno sbiadito epitaffio
La Mort viendra (dove la morte con l’iniziale maiuscola è allegoria e ancella simbiotica dell’ananke greca), pur nella sua inesorabilità narrativa fin dal titolo, non si appropria tuttavia dei toni statuari dell’epopea tragica, non imbastisce un racconto per metafore per affrescare recenti solitudini sociali, non adotta un piglio antropologico che spazi tra la psicologia dei criminali.
In un film che non vanta originalità stilistiche e che preferisce procedere su binari rodati di classicità di racconto e nitida leggibilità, si staglia piuttosto la solitudine esistenziale della malavita più facoltosa che non ha nulla di melanconico, la cristallizzazione di un sottobosco asettico e violento che è tattile, intriso di banale quotidianità e astratto insieme, la messa a fuoco di un microcosmo invisibile che appare contiguo al nostro reale e insieme indifferente e atemporale, ripiegato nei suoi interessi di accumulo capitalistico e sopraffazione umana.
La Mort viendra diventa quindi, come nel manifesto di intenti del regista, il canto del cigno di un genere di cui si cerca di sparpagliare le carte per suggellare il freddo crepuscolo degli antieroi. Scevro tuttavia di una carica riflessiva sul cinema stesso, di un ampio sguardo sociologico e di una rifinitura più prospettica dei personaggi, il film non riesce a vantare audacia formale e complessità espressiva, scivolando anche sull’elemento di maggior richiamo visivo: la figura femminile, la killer su commissione interpretata da Sophie Verbeeck, una Nikita dall’umanità pensante, che si approva senza memoria futura.