Bogancloch di Ben Rivers, presentato al Locarno Film Festival nella sezione Concorso Internazionale arriva in Italia grazie al Festival dei Popoli di Firenze.
Prodotto dalla Urth Productions e dallo stesso Ben Rivers, che si è occupato anche del montaggio, della fotografia e del suono, Bogancloch è uno spaccato sulla decadenza. Decadenza umana e delle tradizioni, sempre più messe a lato dalla globalizzazione. Decadenza del vuoto, dell’attesa, e della vita, prima tranquilla, e ora sempre da riempire ad ogni costo.
Nel cast Jake Williams
Bogancloch è la casa di Jake Williams, sperduta in una vasta foresta delle Highlands scozzesi. Il film ritrae la sua vita lungo il filo delle stagioni e le persone che, di tanto in tanto, entrano nella sua esistenza altrimenti solitaria e tratteggia una vita che si sta trasformando sottilmente in un mondo che sta cambiando in modo radicale.
Solitudine, attesa e pace
A metà tra un documentario e un film non narrativo, Bogancloch concretamente non racconta. Bogancloch mostra, si sofferma lungamente, attende lo scorrere della vita. Jake Williams vive, mentre tutto intorno no. Anzi. L’attesa e il silenzio sono la vita di questi luoghi a noi presentati. E così esattamente come i luoghi, vive Jake. Da solo, in attesa, e in pace.
Importante premessa di questa docu-pellicola, è che si tratta per l’appunto di un documentario, anche se non completamente. Ben Rivers qui infatti decide, nuovamente, di mostrare la vita di questo Jake Williams, reale eremita nella foresta di Clashindarroch, nella Scozia rurale. E il ruolo di Bogancloch è mostrare e seguire Williams, sia attraverso la sua routine quotidiana che attraverso gli scenari rappresentati.
Il prequel di Bogancloch
Bogancloch è, a tutti gli effetti, un vero e proprio sequel di Two Years at Sea, altra pellicola di Ben Rivers che già nel 2011 aveva mostrato la vita di Jake in Scozia. Il regista qui sceglie nuovamente di mettere al centro non solo una persona, ma il suo modo di essere, di vivere, di agire. E conseguentemente, come vivono e agiscono tutti i luoghi attorno a lui.
Lo stesso Rivers ha così spiegato la scelta di concentrarsi nuovamente sulla vita e sulla figura di Williams.
Ho realizzato uno dei miei primi corti e il mio primo lungometraggio con Jake Williams. Mi piace ritrovare una persona, osservare come ripetiamo gesti e ossessioni, ma anche notare come questi cambiano perché il mondo cambia.
– Ben Rivers
Bianco come il rumore, nero come l’anima
Bogancloch ci mostra uno spaccato di una vita che non c’è più perché soppiantato dall’energia, dalla rapidità che il nostro stile di vita impone. I suoni, le luci, i colori e gli stimoli sono tutti attorno a noi, e in un mondo a cui tutte queste cose non appartengono, quello di Jake Williams e che non vediamo mai. Per questo la scelta di realizzare il film in bianco e nero è perfetta.
Non è l’opposto, è semplicemente qualcosa di diverso. Un modo diverso di vedere la vita e di viverla. Se pensiamo che Jake viva senza suoni, Rivers ci mostra la musica e il canto, i rumori bianchi e i cinguettii, i bisogni di Jake, i luoghi bianchi ricoperti di neve, e la sua anima solitaria, nera, perché non c’è nessuno a guardarla.
Un film silenziosamente malinconico
Bogancloch porta in scena anche una importante quantità di malinconia, grazie soprattutto alle lunghe inquadrature di attesa. La malinconia qui però non è intrinseca nella vita di Jake. La malinconia è nostra, dello spettatore, nel vedere il film. Il vuoto che ci viene reso, magari con inquadrature di un paio di minuti e che rimangono fisse, a mostrare un edificio o Jake seduto in un bosco, in realtà scompare quando siamo noi, con i nostri pensieri, a riempirlo.
I silenzi si riempiono non a schermo, ma nella nostra mente, con malinconia, insieme ad altre emozioni. La gioia quando vediamo Jake cantare, e anche la nastalgia, che prende lo spettatore nei minuti finali, che si distendono su una lunga inquadratura dall’alto, con un drone che si allontana passo costante e ci segnala che stiamo per dire addio a Jake.
Ci dà il tempo di salutarlo, lentamente. Mentre noi ci allontaniamo lui è lì, fisso, fermo, e quando siamo soli e non lo riconosciamo più nel totale dell’inquadratura, percepiamo già la sua assenza. Una vera e propria nostalgia che si riflette sullo schermo. Jake lo abbiamo salutato, e nel frattempo, ci manca già.