Grazie a Movies Inspired, è in sala una pellicola preziosa. Restaurata in 4K, l’opera prima di un indiscusso maestro del cinema: provocatorio, disturbante, intenso, fortemente poetico nel proprio, singolarissimo modo, intellettualmente mai pago nella ricerca di quel vuoto oscuro, dell’orrore che lo spirito umano riesce ad incarnare.
L’elemento del crimine (1984), Grand Prix tecnico al 37º Festival di Cannes, è in versione integrale, nella sua splendida e claustrofobica purezza. Una bolla di coscienza, la cattiva coscienza dell’Europa. Primo lungometraggio per Lars von Trier e primo capitolo della sua trilogia europea a cui si aggiungono: Epidemic (1987) – in uscita l’8 agosto – ed Europa (1991) – il 15 agosto-.
Europa: centro di infezione
L’assioma che muove L’elemento del crimine è il concetto di virus che si introduce e infetta l’ambiente che abita. L’ambiente foriero di quell’humus che nutre, alimenta e propaga l’infezione. L’infezione nella morale umana.
L’ispettore Fisher (Michael Elphick) è al Cairo, in avvio di ipnosi. Deve ricostruire la sua missione in Europa, a cui era tornato dopo 13 anni di assenza, per occuparsi di un caso di omicidi di piccole venditrici di biglietti del lotto: bambine strangolate e fatte a pezzi. La prima, inevitabile tappa, è dal suo mentore, il professor Osborne (Esmond Knight). Osborne è l’autore de L’elemento del crimine, una sorta di guida speculare che ricalca la caccia all’assassino in una, di fatto, completa immedesimazione con le sue gesta. L’assassino è un certo Harry Grey. Fisher ripercorre le tappe ambientali dell’ultimo omicidio, incontrando nel suo rewind Kim (Me Me Lay), giovane prostituta stranamente attaccata a lui… Riuscirà Fisher a fermarsi in tempo e a non divenire lui stesso un assassino?
Noir decadente e preveggente
Per stessa ammissione di Lars von Trier, L’elemento del crimine è il suo tentativo di realizzare un noir moderno a colori. Il regista danese dipinge magistralmente un’Europa dematerializzata in un’ocra seppia, circondata dal buio, dall’acqua, battuta da una pioggia incessante, invasa dalla natura. Un universo (sociale, economico, morale) che sta sempre più sprofondando, in decomposizione. Immerso dentro un presente che è già il futuro del ‘vecchio continente’.
Volutamente sfilacciata narrativamente, l’opera prima di von Trier pianta i semi sia visivi che narrativi del suo cinema. Qui più marcato nelle influenze di atmosfera (su tutte il Ridley Scott di Blade Runner), aperto a sperimentazioni prospettiche efficacissime, accentuate da una fotografia eccezionale che celebra la metafisica della materia, delle forme. Le macchine da presa sono mobili, attraversano gli ambienti sospesi, oscuri, tra verticalizzazioni, sovrapposizioni. La scenografia aggiunge un ulteriore livello di approfondimento, di fascinazione: sembra di attraversare un vero e proprio universo parallelo nel quale ogni presenza sia fisica che materica, lascia il segno.
Una visione preziosa, L’elemento del crimine, tanto grata all’occhio, ricca di stimoli psicologici. Non manchiamola, al cinema, insieme alle altre due pellicole vontreriane pronte a stupirci e a lasciare il segno.