The Dutchman è un film indipendente italiano prodotto nel 2019 con il titolo nostrano Oro e piombo, ora approdato anche sul mercato internazionale grazie al distributore V Channel di Mario Niccolò Messina.
Girato con un budget talmente irrisorio che non basterebbe nemmeno a coprire i costi di catering di una produzione canonica, il regista Emiliano Ferrara riesce a confezionare uno spaghetti western pieno di amore e rispetto per il genere di appartenenza.
Al tempo della sua uscita il film venne apprezzato moltissimo negli ambienti del cinema indipendente e di genere, arrivando anche a vincere premi quali Miglior Opera Prima al Terra di Siena Film Festival e Miglior lungometraggio all’Almeria Western Film Festival.
Nelle ultime settimane, grazie alla distribuzione sulle piattaforme V Channel, su cui ha ereditato il titolo internazionale The Dutchman, ha superato il milione di spettatori in meno di due settimane, incontrando una nuova ondata di notorietà che lo sta facendo riscoprire in tutto il mondo.
Trama
Scritto dal regista Emiliano Ferrara insieme ai due attori Yassmin Pucci e Tiziano Carnevale, il film prende ispirazione dalla vera storia di Jacob Waltz, detto l’Olandese, e della sua miniera fantasma.
È il 1881 quando Claire Peralta, una donna dal passato misterioso e ambiguo quanto il suo cognome, torna in Arizona alla ricerca della miniera un tempo appartenuta alla sua famiglia. Seguendo le indicazioni di una vecchia mappa e aiutata da un manipolo di improbabili avventurieri, la donna intraprende un lungo viaggio che la porterà a incrociare i sanguinari Apache, cacciatori di tesori, pistoleri leggendari e signorotti del crimine.
La trama di The Dutchman si presenta fin da subito come la più classica del genere. Pur non mancando di colpi di scena o di elementi caratteristici, è evidente come l’intenzione del racconto sia quella di far rivivere un determinato tipo di cinema, ricalcandone gli stilemi allo scopo di esaltarne la mitologia.
Il mondo in cui si muovono Claire e i suoi compagni è strabordante di leggende, personaggi e segreti. Una ricchezza che raccoglie a piene mani dalle più famose pellicole del genere, a volte passando dal tributo all’easter egg vero e proprio.
Sarà facile riconoscere nella maggior parte dei personaggi o delle dinamiche qualcosa di già visto o di rimaneggiato dal passato, ma questo più che come difetto va riconosciuta come l’anima stessa del prodotto.
The Dutchman vuole essere un compendio su pellicola di tutto ciò che è stato lo Spaghetti Western, un lavoro che ha come scopo ultimo quello di omaggiarlo e riportarlo in vita, non di reinventarlo o riammodernarlo.
Molte ambizioni ma poche risorse
Nonostante la natura derivativa del film, la scrittura di The Dutchman non rinuncia ad avere ambizioni piuttosto importanti.
La storia si presenta come un racconto corale, piena di personaggi e linee narrative che si separano e si intersecano di continuo, in una narrazione che fa del movimento incessante il fulcro del proprio ritmo. Ferrara e i suoi sceneggiatori non si fanno mancare nulla e non si trattengono, portando in scena numerose storie secondarie che si intrecciano l’una intorno all’altra fino alla risoluzione finale.
Purtroppo questa grande ambizione finisce a volte per dover fare i conti con le risicate risorse a disposizione della produzione, arrivando in alcuni momenti ad accentuarne i limiti. Alcune storie secondarie in particolare risultano un po’ trascurate rispetto alle altre, con personaggi che, pur con tanto potenziale, non riescono a esprimersi quanto vorrebbero.
La sensazione è che parte di quel che voleva essere raccontato sia stato sacrificato a causa dell’inevitabile compromesso richiesto dalla natura indipendente del progetto, andando a depotenziare personaggi che con uno screen time maggiore avrebbero potuto imprimersi di più nella memoria dello spettatore.
Nonostante questo e altre piccole ingenuità di scrittura che ogni tanto rompono l’immedesimazione, la sceneggiatura riesce comunque a regalare a ogni appassionato di spaghetti western un senso di familiarità che difficilmente lo lascerà insoddisfatto.
L’eredità e l’amore degli spaghetti western
Emiliano Ferrara ha le idee molto chiare nella realizzazione del suo film: The Dutchman è una lettera d’amore agli spaghetti western. Il prodotto di un fan che è cresciuto con i film di Leone, Corbucci, Sollima e tutti gli altri grandi registi del periodo e che ora vuole riportarli in vita.
Questo è probabilmente il motivo per cui la pellicola riesce a funzionare così bene nonostante tutti i limiti del caso: dietro la macchina da presa c’è un regista che è anche il primo spettatore del suo stesso film.
Emiliano Ferrara si fa rappresentante di tutta quella schiera di appassionati rimasti orfani di un genere che in Italia, e non solo, è rimasto nel cuore di tantissimi, pur non ricevendo più l’attenzione che meriterebbe.
A questo scopo si è circondato di personalità leggendarie dell’industria come il maestro d’armi Ottaviano Dell’Acqua (Stuntman in Keoma di Enzo Castellari), il doppiatore Stefano De Sando (voce di Robert De Niro), il consulente storico Marco Fanciulli (rinomato collaboratore di Giuliano Gemma) e tanti altri.
Insomma, le mancanze di budget vengono decisamente compensate dalla professionalità e dall’esperienza di maestranze di altissimo livello, raccolte tutte intorno alla visione di un progetto che è tenuto quasi interamente in piedi dalla genuina passione di un gruppo di sognatori che ama alla follia quel che sta facendo.
Le facce perfette per un mondo imperfetto
Una delle peculiarità che hanno fatto la fortuna degli Spaghetti Western sono sempre state le facce. Attori in grado, non solo di interpretare i propri personaggi, ma anche di incarnarli con le proprie caratteristiche fisiche messe al servizio della narrazione.
Gli occhi di ghiaccio di Franco Nero, la stazza e il volto burbero di Bud Spencer, la “bruttezza” di Eli Wallach e via dicendo… se vuoi rendere il personaggio di uno Spaghetti Western memorabile non ti basta un attore, ti serve anche una faccia.
The Dutchman ha la fortuna di poter contare su una serie di attori non solo talentuosi, ma anche coerenti con il mondo in cui devono immergersi. Un vero e proprio squadrone di facce che sembrano uscite proprio dal vecchio Far West.
Come abbiamo già accennato parlando della sceneggiatura, la maggior parte dei personaggi riflette un determinato archetipo del genere western, un po’ come se stesse interpretando la maschera di un personaggio mitologico. In questo, ognuno degli attori risulta efficace, potendo essere riconosciuto nel suo ruolo fin dalla prima occhiata.
Yassmin Pucci e Tiziano Carnevale poi riescono a portare tanto di loro nei personaggi che interpretano, probabilmente aiutati dal fatto di aver preso parte anche alla scrittura. I loro sono probabilmente gli unici personaggi che escono dagli schemi classici del genere, andando oltre il loro archetipi e arricchendosi di tanti dettagli dati dall’ottima recitazione dei due attori.
Carnevale in particolar modo stupisce per la sua capacità di risultare un bambinone nel corpo di un adulto e per la sua mimica. È davvero difficile non provare un moto di tenerezza davanti alle sue ingenuità e fragilità. Il suo sguardo innocente e inconsapevole in certi casi ruba la scena, funzionando così bene che le sue scene potrebbero tranquillamente essere guardate mute senza perdere coerenza narrativa.
Ritrovare il Western in Italia
Quando si parla di cinema indipendente una delle sfide più grandi che un cineasta si trova ad affrontare è quasi sempre quella delle scenografie. Se poi il film in questione è di genere, magari anche di uno dove l’ambientazione è a tutti gli effetti protagonista assoluta, come nel Western, allora ecco che le cose si fanno decisamente più complicate.
Nel caso di The Dutchman il nome dietro al mezzo miracolo è ancora una volta quello di Tiziano Carnevale. L’attore, stuntman e produttore del film, ha ricostruito gran parte delle scenografie facendo fruttare al meglio ogni centesimo dell’esiguo budget a sua disposizione, dando vita ad alcuni esterni particolarmente convincenti (anche grazie a stratagemmi vecchia scuola come l’utilizzo di miniature e simili).
Le strade del paese in cui sono ambientate alcune delle scene più importanti del film risultano estremamente convincenti, quasi da film ad alto budget. Mentre tutta la parte ambientata tra le colline selvagge riesce a essere ancora più forte e suggestiva.
In tal senso la scelta di girare gli ambienti naturali tra i Calanchi della Basilicata si rivela vincente. Le peculiari colline lucane si prestano meravigliosamente alla narrazione del film, facendo percepire i personaggi in un mondo davvero selvaggio e incontaminato.
Purtroppo, rispetto alle location esterne, alcune di quelle interne funzionano meno, in particolare i saloon. Forse anche a causa del contrasto con la ricchezza degli esterni, quando ci si sposta al chiuso in certi casi la sensazione di risparmio e ristrettezza diventa un po’ soffocante, ricordandoci che quel che stiamo guardando è un prodotto a basso budget.
Un piccolo dispiacere con cui non è difficile scendere a compromessi, specialmente in virtù di tutto il resto, ma che comunque si presenta come unica nota stonata di un’estetica altrimenti sorprendente in rapporto alla natura del progetto.
Musiche che ricordano un tempo passato
Quando si parla di Spaghetti Western, la colonna sonora è sempre stata la co-protagonista. Era così ai tempi di Sergio Leone e lo è tutt’oggi, e questo Emiliano Ferrara dimostra di saperlo bene.
Le musiche composte e suonate dal gruppo Dollaro d’onore si rifanno ancora una volta agli stilemi del passato, andando persino a riprenderne alcuni elementi ormai iconici come l’utilizzo del fischio reso celebre da Morricone e Leone.
Scegliendo appositamente di non rivoluzionare lo stile musicale delle origini, ma anche dimostrando di conoscerlo a fondo, le musiche di The Dutchman riescono ad affermare una propria personalità oscillando tra il dolce, il malinconico e l’incalzante.
Il risultato finale è una colonna sonora che, al pari di quelle di Morricone, riesce a vivere come prodotto artistico al di là della sua correlazione filmica.
Conclusione
The Dutchman è uno di quei prodotti che ci ricorda la bellezza del fare cinema fuori dell’industria. Un film che, al di là del valore delle sue singole parti, è bello che esista, perché ci ricorda cose che amiamo e il motivo per cui lo facciamo.
Emiliano Ferrara e la sua banda di fuorilegge del cinema sono riusciti a realizzare un film che va oltre il valore commerciale. Un tributo ai grandi autori western del passato, Sergio Leone su tutti, che sa tanto di ringraziamento per le leggende che ci hanno regalato.
Forse gli Spaghetti Western non torneranno mai ai fasti di un tempo, ma quel che The Dutchman ci ricorda è che la loro eredità è immortale e senza tempo. E chissà, credendoci abbastanza forse ogni grande fan del genere un giorno potrà avere l’occasione di vestire il poncho del pistolero senza nome.
Editor: Margherita Fratantonio