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Sentiero Film Factory

If You Are Happy: la maternità “urlata” e oscura

Scritto e diretto da Phoebe Arnstein, il cortometraggio If You Are Happy racconta allo spettatore quel lato della maternità spesso omesso a favore di una visione idilliaca e irrealistica

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If You Are Happy

In concorso al Sentiero Film Factory il cortometraggio If You Are Happy, scritto e diretto da Phoebe Arnstein.

La regista ha già lavorato dietro le quinte de La fine del mondo, Mortdecai e The Infiltrator, ma stavolta si mette dietro la macchina da presa, affrontando uno dei temi più complessi e delicati di ogni epoca: la maternità.

Il lato oscuro della maternità, mai del tutto analizzato.

Una donna si occupa della sua bambina in un piccolo appartamento. La osserviamo occuparsi delle faccende di casa, gestire i pianti di una neonata, le poppate.

La mancanza di tempo è soffocante, dimentica persino di doversi prendere cura di se, in un clima che diviene più teso di istante in istante.

La vediamo poi uscire di casa, dirigersi a un incontro con altre madri.

Sembra una buona occasione per condividere pensieri e riflessioni con altre donne nella stessa situazione, ma c’è qualcosa di tremendamente distorto, teso, angosciante.

La maternità non è forse il momento ritenuto più gratificante e importante nella vita di una donna? E se questa gioia è ritenuta così travolgente, perché la sensazione percepita è di qualcosa di disturbante da cui è tuttavia difficile distogliere lo sguardo?

Perché lo spettatore vede una dura verità: quella di un enorme cambiamento di vita che porta con se anche paura, frustrazione, stanchezza. Per non parlare di stravolgimenti fisici, perdita della propria identità e un senso di confusione e solitudine che investe la maggior parte delle madri.

A loro non è concesso dalla società di sentirsi al di fuori del proprio ruolo materno, ed è questo il lato oscuro della maternità.

Il carico di responsabilità già previsto dal mettere al mondo un figlio viene aggravato dallo sguardo impietoso del mondo.

Non vi è molto spazio concesso al dialogo, perché il mondo appare sordo e cieco davanti alle richieste di aiuto della protagonista, provata, assente, dissociata, stordita, un robot che va avanti per inerzia.

Tutta la negatività invade e riempie le scene, fino a un epilogo che è reale, totale, devastante e liberatorio. La maternità che lascia spazio al proprio lato oscuro, senza poter tornare più indietro.

Un mondo di stereotipi

Il cortometraggio invita a riflettere su cosa voglia dire per le donne, rispecchiare un modello, anche nella nostra epoca che si vanta di essere più empatica rispetto alle passate.

Ma i vecchi schemi sono difficili da abbandonare, e stringono le donne al punto di rendere intollerabile anche la bellezza di mettere al mondo un figlio.

Al punto da dimenticare di battere le mani, perché non si è felici.

Il cortometraggio ha ricevuto inoltre una candidatura al Clermont-Ferrand International Short Film Festival del 2024.

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