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Conversation

‘L’invenzione di noi due’ conversazione con Corrado Ceron

Presentato in anteprima al Taormina Film Fest 2024 arriva nelle sale 'L’invenzione di noi due', opera seconda di Corrado Ceron, ancora una volta interpretata da Silvia D’Amico e con Lino Guanciale. 

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Presentato in anteprima al Taormina Film Fest 2024 arriva nelle sale L’invenzione di noi due, opera seconda di Corrado Ceron, ancora una volta interpretata da Silvia D’Amico e con Lino Guanciale.

Tra amore e letteratura L’invenzione di noi due racconta una storia di normale disamore. Del film abbiamo parlato con Corrado Ceron.

– Foto di copertina di Matteo Girola –

Corrado Ceron e il suo L’invenzione di noi due

L’invenzione di noi due si apre con una ripresa dall’alto di un labirinto in cui riconosciamo due persone che tentano invano di raggiungersi. Oltre a riassumere la storia d’amore dei protagonisti le caratteristiche mitologiche di quella sequenza fanno delle vicissitudini degli amanti il paradigma di una condizione universale. 

È proprio così. Volevo iniziare il film con un’immagine capace di sintetizzare il tema, ma anche lo stato d’animo dei protagonisti nel senso che quel rincorrersi e quel continuo sfiorarsi riassume l’amore tra Milo e Nadia. Però il labirinto è anche il simbolo della trappola. Nel libro di Matteo Bussola la figura dell’amante viene collegata al fatto di essere in qualche modo prigioniero. Se i due innamorati sono imprigionati nel labirinto così è Milo quando Nadia finisce per innamorarsi inconsapevolmente del suo alter ego, quello dello sconosciuto che intraprende con lei un rapporto epistolare.

Il labirinto

Il fatto che il labirinto sia ricavato da un giardino di siepi regala alla sua immagine un equilibrio e soprattutto un alone di romanticismo che fa di L’invenzione di noi due una storia d’altri tempi. 

Sì, come dici tu esiste nel film una patina di classicità e di romanticismo che fanno di L’invenzione di noi due un oggetto d’altri tempi. Per contro a livello visuale ho cercato soluzioni più moderne rifacendomi a stilemi sperimentali. Il tentativo, spero riuscito, è stato quello di mediare tra questi due aspetti.

Se uno si sofferma su ciò che succede dentro il labirinto è possibile riconoscere per sommi capi quello che sarà il procedere della storia. Nel dedalo di corridoi gli amanti pur vicinissimi uno all’altro arrivano più volte a sfiorarsi senza però trovare il modo di unire le loro strade. 

Il film è costruito anche per flash forward e l’immagine del labirinto è uno di questi perché nel primo minuto di fatto racconto allo spettatore ciò che accadrà in seguito. Da lì in poi, come succede nel libro, L’invenzione di noi due procede per flashback e lampi di futuro che destrutturano la storia, anticipando scene che poi vedremo nella loro interezza.

Elementi del film e temi

La destrutturazione riguarda sia gli elementi costituivi del film, sia i temi. La voce fuori campo e le azioni dei protagonisti hanno sempre una doppia valenza. Da una parte sono funzionali alla progressione della storia, dall’altra riflettono sul significato dell’amore analizzando le varie fasi in cui questo si insinua e cambia le vite delle persone. 

Come diceva Italo Calvino la letteratura serve per celare qualcosa che deve essere scoperto: come succede a Milo attraverso la scrittura con cui mente per poter dire la verità. Si serve della finzione per svelare alla propria compagna quella parte di sé che nella realtà non riesce a far venire fuori. La letteratura in questo caso gli serve come maschera per poi rivelarsi. Ai nostri tempi queste ultime sono rappresentate dai social e dalle fotografie che postiamo: sono tutti schermi in cui cerchiamo di nasconderci, ma in cui sveliamo parte di noi stessi. Realtà e finzione si mescolano di continuo. Nel libro a un certo punto si dice che la realtà delude mentre la letteratura illude. È una frase di cui ho fatto tesoro nella lavorazione del film.

Realtà e letteratura nel film di Corrado Ceron

Nel film, come nella vita, realtà e letteratura si compensano. 

Entrambe servono alla nostra vita perché, se siamo in un momento di crisi, la letteratura e, più in genere, l’arte ci regala l’illusione di un futuro migliore così come succede ai due protagonisti. La realtà invece ci fa tornare con i piedi per terra, come capita a Nadia, la quale dopo trent’anni si accorge di non essere adatta al libro che sta scrivendo e in parte anche a Milo che rinuncia a fare l’architetto. Questo perché le ambizioni spesso non coincidono con le nostre abitudini. Questo è tragico per chi come Nadia ha grandi aspettative dal suo lavoro; lo è un po’ meno per Milo perché quasi subito per lui il vero obiettivo è quello di amare Nadia e non diventare un grande architetto. Lui trova soddisfazione all’interno della coppia mentre Nadia la cerca al di fuori.

Corrado Ceron: le risposte dallo spettatore

Le scelte di Milo innescano la domanda su chi siamo e cosa vogliamo. Nel tentativo di rispondere a questa domanda il film innesca una riflessione sul modo di fare cinema, ovvero sulla possibilità di lasciare la risposta allo spettatore chiamato a completare i vuoti della storia.

Sono d’accordo perché di fatto è quello che faccio fare ai miei personaggi ed è ciò che succede al termine della storia, con il finale aperto che lascia spazio all’idea di un happy ending senza certezze. Il film lascia al punto di vista dello spettatore il compito di concludere la vicenda. Non a caso Nadia a un certo punto dice che il bello della letteratura non è tanto di parlare di storie accadute, ma di quelle che possono accadere. Nadia ne porta a Milo una con un finale ancora da scrivere. La proposta di farlo assieme apre nuove prospettive a cui chi guarda il film può dare seguito.

La proposta di concluderla assieme rappresenta il punto d’incontro del passato, presente e futuro della loro storia. Prima li avevamo visti raccontarsi dal proprio punto di vista mentre ora sono consapevoli di inventarsi avendo contezza uno dell’altro e mettendosi sullo stesso piano. Tornado ai personaggi, nel film ne descrivi le personalità anche attraverso elementi esterni. Penso ai rispettivi lavori e dunque a Milo che, come architetto prima, e come cuoco poi, manifesta la predisposizione a prendersi cura degli altri, contrapposta alla irrequietezza di Nadia, che si taglia i capelli, incendia le pagine dei libri, toglie le maniche alle camicie facendo capire di essere sempre sul punto di rottura. Tanto Milo è ordinato, tanto Nadia è caotica. 

Nadia è una donna molto cerebrale, lavora con le parole, è anticonformista perché fuori dalla norma però è anche una disordinata nel senso che lascia in giro i post-it e i capelli appena tagliati. Può essere vitale e passionale, ma subito dopo scostante e aggressiva. È difficile da afferrare. Milo è più pratico e lo si vede dei dettagli sulle sue mani, sempre intente a fare, a disegnare e a cucinare. È meno complesso di Nadia, ma più lineare e direi anche risolto. Come detto lui trova il senso della propria vita nel tentativo di rende felice Nadia.

Il rapporto tra i personaggi

Peraltro Milo fa quello che Nadia gli ha chiesto all’inizio della loro relazione e cioè di non lasciarla andare. 

Esatto, lui mantiene la promessa che le ha fatto davanti al laghetto, quello di non smettere mai di tenerla con lui.

Parliamo di un atteggiamento romantico che contraddistingue la dimensione amorosa dei protagonisti. Anche perché, a differenza di altre storie, la disaffezione di Nadia non prevede il tradimento con un altro uomo. Il film lo sancisce in una delle prime sequenze in cui i sospetti di Milo vengono sciolti quando pedinandola si rende conto che il presunto amante altri non è che l’amica malata a cui lei fa compagnia.  

Esatto, questa è una storia d’amore in cui la crisi non dipende da un elemento esterno, ma deriva da fattori come possono esserlo il tempo che passa, il ridimensionamento delle proprie ambizioni e la maternità negata. Tutti questi elementi fanno sì che la coppia si stanchi di essere tale.

Richiami

Nel film ci sono una serie di richiami interni. Uno di questi è rappresentato dalla sequenza in cui, mentre Nadia e Milo fanno l’amore, la carrellata laterale si sposta sul modellino di un progetto architettonico e sul pc in cui Nadia scrive il suo libro. Se la passione iniziale è superiore al peso delle questioni irrisolte, il movimento di macchina sembra ricordacene l’incombenza. 

A me piace molto raccontare attraverso le immagini e nel film ci sono vari oggetti e ambienti che assumono una funzione simbolica. Uno di questi è il labirinto di cui abbiamo parlato mentre il secondo è il plastico che rappresenta le disillusioni di Milo, in parte risolte perché davanti al laghetto lui non è disperato ma piuttosto rassegnato. A essere triste semmai è Nadia che non riuscendo a tenersi neanche i piccoli lavoretti si sente in colpa per non averlo aiutato a realizzarsi come architetto. Simbolici sono anche i contenitori in cui Milo conserva il cibo per Nadia, destinati a diventare la metafora del suo prendersi cura di lei.

La struttura narrativa

La struttura narrativa del film di fatto è composta da due storie simmetriche che, pur partendo da due diversi stati d’animo, una dall’amore, l’altra dal disamore -, arrivano sempre allo stesso punto. All’interno di queste capita che i protagonisti si scambiano ruoli e reazioni. Penso a Nadia che inizialmente è audace e coraggiosa quando si tratta di commettere una sorta di effrazione e che poi nella seconda parte nella medesima situazione si dimostra recalcitrante rispetto al coraggio di Milo. 

C’è un vero e proprio scambio di ruoli scaturito dalla volontà di Milo di far tornare Nadia a essere la persona vitale, energica, curiosa e anche innamorata che aveva conosciuto. Nel presente ha perso tutte queste caratteristiche ed è per salvare il loro rapporto che Milo si decide a cambiare, compiendo un atto di coraggio per certi versi sorprendente rispetto al suo carattere. Il maggiore cambiamento però è quello di Nadia, destinata a perdere l’energia e l’esuberanza che aveva a trent’anni. Questo fa sì che per lei la scrittura diventi un momento di frustrazione e non più di realizzazione.

Non a caso nella fase negativa della sua esistenza ciò che gli riesce meglio sono i necrologi funebri che diventano un po’ il riflesso della situazione che sta vivendo. 

Sì, è vero, tanto che il personaggio interpretato da Paolo Rossi le dice che ha scritto un capolavoro di necrologio. Parlare di determinate tematiche la fa sentire a proprio agio perché rispecchiano la sua essenza. C’è da dire che in questo film le parole sono protagoniste rappresentando il punto di vista dei personaggi sul mondo, ma anche le loro verità. D’altronde Milo viene scoperto da Nadia proprio attraverso le parole che usa nelle lettere. La parola come il sangue è qualcosa di riconoscibile. Non sono una maschera che ti puoi mettere; sono qualcosa di unico e irripetibile per ognuno di noi. Per questo sono destinate a svelare chi siamo. Potrei quasi dire che le parole contengono il senso della verità di questo film.

La voce fuori campo

Se L’invenzione di noi due rimanda al romanzo di una vita che Milo e Nadia stanno scrivendo mi pare che l’uso della voce fuori campo oltre che in termini narrativi svolga proprio la funzione di dare corpo alla natura letteraria del film. È così?

Sì, è così. La sfida più grande è stata quella di coniugare alle immagini un’opera molto letteraria e per questo lontana dal cinema. La metà del libro da cui è tratto il film era formata da sole epistole da cui la difficoltà a trasporlo in immagini. Il lavoro è stato anche quello di creare le situazioni in cui si ritrovano i personaggi, nella necessità di esprimere livello visivo ciò che era solo uditivo.

Corrado Ceron: una versione romantica dell’amore?

Il successo mondiale di un capolavoro come Normal People e il susseguirsi di film usciti nelle sale, questa settimana il tuo e quello di Gianluca Maria Tavarelli (Indagine su un amore, ndr), testimoniano  il rinnovato interesse nei confronti della versione più romantica dell’amore. Sei d’accordo sul fatto che questo fenomeno possa essere stato da una parte la reazione alla delusione nei confronti degli ideali politici e dall’altra la conseguenza dello stile di vita imposto dalla pandemia, quello che ha costretto le coppie a ritornare sulle ragioni del loro stare insieme?

Per quanto riguarda il mio film la realizzazione è stata piuttosto casuale nel senso che i produttori avevano acquistato i diritti del romanzo ancora prima che uscisse, poco prima del covid, e dunque non si tratta di un progetto scaturito a seguito della pandemia. Detto questo però ora che mi ci fai pensare è vero che negli ultimi due anni sono stati realizzati film romantici come mai era successo in precedenza ed è altrettanto ragionevole pensare che questo fenomeno possa essere legato anche in maniera inconsapevole alle restrizioni imposte dal covid che hanno portato alla riscoperta della dimensione casalinga. L’invenzione di noi due, per esempio, è per lo più ambientato in un’unica casa e questo deriva anche dalla consapevolezza di poter vivere e convivere nelle mura domestiche per un’intera giornata. Il covid ci ha insegnato come tutto questo possa essere un fattore di rischio come testimoniano le statistiche sull’aumento delle violenze domestiche nel periodo pandemico. Dunque sì, anche il mio film può far parte di quel filone post covid in cui sai che puoi realizzare un lungometraggio all’interno di un unico ambiente senza per questo essere meno attuale e con il vantaggio di risparmiare sul budget.

I due attori scelti da Corrado Ceron

Lino Guanciale e Silvia D’Amico avevano la responsabilità di rendere credibili le trasformazioni dei personaggi nel corso degli anni come pure di renderne la condizione fantasmatica, quella che scaturisce dai ricordi dei protagonisti.

Devo dire che Matteo Bussola è riuscito a scrivere delle situazioni quotidiane in modo in modo semplice e credibile. Gli attori sono stati ancora più bravi perché è difficilissimo recitare un dialogo d’amore inserito in una dimensione quotidiana. È una cosa molto complicata, difficilissima, ma devo dire che Silvia e Lino con le loro performance ci sono riusciti dando corpo all’intero film. Considerando il poco tempo avuto per le prove sono stato fortunato che tra di loro si sia stabilita fin da subito una grande intimità. Quest’ultima è stata fondamentale per rendere credibili determinati dialoghi e situazioni che potevano apparire imbarazzanti o forzati. Per farlo bisogna essere bravi attori.

Con Silvia D’Amico avevi già lavorato nel tuo film d’esordio (Acqua e Anice, ndr). Qui la ritrovi con un personaggio molto diverso, ma altrettanto capace. La versatilità e la capacità di cambiare la propria dimensione femminile sono evidenti in un lavoro fatto di esplosioni di gioia e di improvvisi tormenti interiori.  

Silvia è molto brava a modulare i diversi registri, quindi a passare da situazioni di tranquillità a stati d’animo aggressivi, malinconici, scostanti. Da parte mia ho cercato di stare dentro e fuori la testa di Nadia finendo per perdermi nella complessità del personaggio grazie alla capacità di Silvia di restituirmi il personaggio. Con lei avevo già fatto Acqua e Anice in cui era stata brava a tenere testa a un’attrice di razza come Stefania Sandrelli. Silvia può passare da situazioni di pacata monotonia a momenti di estremo conflitto in cui un’attrice preparata come lei è in grado di riprodurre le sfumature di una storia d’amore che racconta il quotidiano. Questa è la ragione per cui quando ho deciso di fare L’invenzione di noi due ho pensato subito a lei.