
La pellicola è il frutto di SanPa Cine Lab, il laboratorio di cinematografia sperimentale che Ruffini ha diretto e realizzato nella comunità nei primi mesi di quest’anno.
Prodotto da VERA Film, in collaborazione con il Giffoni Film Festival, rappresenta una produzione cinematografica unica, interamente ideata, scritta e realizzata dagli ospiti della comunità, all’interno della comunità stessa.
Trama del film
La comunità di San Patrignano è il regno delle forme sospese, un luogo dell’anima che il misticismo sciita definisce hurqalaya. Si tratta di uno spazio situato tra i sensi, l’immaginazione e l’esperienza.
Anche l’amore è influenzato dalla particolare natura di questo luogo, e qui è raccontato nelle sue sfaccettature in quattro storie diverse.
L’amore di un ragazzo che non lo ha mai conosciuto, innanzitutto; poi l’amore per sé stessi, quello degli innamorati e quello assoluto, puro, che solo una madre può donare.
Attraverso l’amore, ogni protagonista del mondo sospeso di San Patrignano può camminare lungo un nuovo percorso, e realizzare una nuova sintesi di sé.
La comunità di San Patrignano
San Patrignano, il luogo sospeso anima e sfondo del film, è una comunità di sostegno, recupero e reinserimento per giovani con problemi di dipendenza, per bambini con difficoltà familiari e detenuti.
Animata dai più forti valori di umanità, la comunità si fonda sul lavoro di centinaia di operatori e collaboratori volontari, e grazie ai principi di autogestione, a donazioni e contributi privati, accoglie i propri ospiti in maniera completamente gratuita.
“La nostra è una storia di legami familiari distrutti” – spiega la presidente Vittoria Pinelli – “di ragazzi che entrano totalmente disorientati. È anche per questo che abbiamo parlato di amore.
Abbiamo visto l’effetto che i progetti artistici possono avere su di loro, l’applicazione e la passione hanno davvero il potenziale per cambiare le loro vite.
Si tratta di percorsi lunghi, dove ci vogliono lavoro e pazienza, costanza, ma tutti meritano questa seconda chance”.
Il progetto di Paolo Ruffini
È stato questo il palcoscenico scelto da Paolo Ruffini per dar vita al progetto di Sospesi.
Il risultato finale è un film che in 45 minuti racconta in maniera toccante, profonda, autentica quattro storie d’amore, interamente in bianco e nero per scelta dei suoi stessi protagonisti.
Divisa in attori e pensatori, la troupe di Sospesi ha replicato in tutto e per tutto la macchina organizzativa del cinema, curando le sceneggiatura, le riprese, la regia, la gestione delle locations e tutti gli aspetti inerenti al trucco e ai costumi.
“Con questo progetto” – racconta Ruffini – “ho ritrovato la passione per il mio lavoro, una cosa che aveva un po’ perso nel corso del tempo.
Tutti i partecipanti si sono messi a disposizione dell’idea del film, una cosa che non accade sui set normali. Tutti hanno lavorato più del dovuto, con una dedizione enorme e una responsabilità ancora maggiore.
Qui non ho avuto professionisti, ma ho comunque trovato grandi attori, grandi autori, grandi operatori. Ho visto nei loro occhi la felicità, e questo mi ha fatto sentire una responsabilità incredibile nei loro confronti, un impegno totale che mi ha spinto a dare il massimo”.
Riscoprirsi
Il senso e l’entusiasmo più profondi di Sospesi sono restituiti con forza dai suoi protagonisti.
Il teaser si apre con una frase emblematica, non riesco ad esprimere quello che sento, e nonostante ciò “io voglio parlare” – dice Milo Papi, uno degli attori – “non mi vergogno perché con Sospesi penso di aver preso una piccola rivincita nella vita e con me stesso”.
“È stato un modo per imparare a placare e gestire la mia guerra interiore” – gli fa eco l’attrice Olesia Agnese Zavaroni – “vedere un progetto che mano a mano si realizza mi ha regalato una pace enorme e mi ha restituito la capacità di guardare al futuro”.
L’esperienza del cinelab, infatti, ha permesso loro anche di vivere insieme tanti momenti della giornata, creando dei rituali e delle abitudini come avviene nelle vere famiglie.
“Si è trattato di esplorare dal vero tante forme d’amore” – rivela Paolo Ruffini – “prendersi cura l’uno dell’altro, entrare nel loro mondo e creare le nostre liturgie laiche. Abbiamo saputo vivere tutto con leggerezza, che non vuol dire essere superficiali, ma planare con dolcezza sulle cose”.
Uno sguardo nuovo sul mondo del cinema, foriero di una ventata di freschezza che Ruffini avverte sempre più necessaria.
“Bisogna trovare il coraggio di fare cinema con le idee, osare, non affidarsi sempre alle stesse forme, agli stessi stereotipi, agli stessi attori”.
Articolo a cura di Michele Cianciulli e Antonio Di Lorenzo