“A Ciascuno il Suo” non è un semplice lungometraggio, è una tappa importante del Cinema italiano (quello con la “C” maiuscola, per onorificenze internazionali e per i contenuti di spessore in esso riscontrabili)
Con questo quarto episodio, “Rivediamoli” vuole invitare, per la prima volta, il lettore cinefilo e non, ad una visione più complessa e se vogliamo più lucida e disillusa.
Stavolta il film proposto non sarà “semplice”, sarà scomodo, complesso e tremendamente coinvolgente.
“A Ciascuno il Suo” non è infatti un semplice lungometraggio, è una tappa importante del Cinema italiano (quello con la “C” maiuscola, per onorificenze internazionali e per i contenuti di spessore in esso riscontrabili).
Il 1967 diviene così un anno fondamentale, che segna il triplice sodalizio tra il regista Elio Petri, lo sceneggiatore Ugo Pirro e l’intramontabile Gian Maria Volontè. Tuttavia l’importanza di questo sodalizio non sta solo nel fatto di unire tre dei più importanti personaggi del cinema impegnato all’italiana, ma anche nell’aver dato un vero e proprio input alla trattazione cinematografica di tematiche oggi come allora scomode e difficili, se non anche pericolose.
Mai nessuno prima si era addentrato, sempre cinematograficamente parlando, nel mondo della malavita del Meridione, quella malavita che ancora in pochi sapevano chiamarsi “Mafia” e che aveva avuto una qualche rilevanza a livello nazionale solo per i fatti di Portella della Ginestra nel ’47 e le successive vicissitudini legate a Salvatore Giuliano. Men che meno nessuno aveva mai pensato di ricollegare le azioni della malavita alle dinamiche delle istituzioni presenti nel Sud, nessuno a parte Leonardo Sciascia, simbolo della denuncia, eroe dell’informazione del primo dopoguerra.
Non a caso “A Ciascuno il Suo” è proprio un romanzo di Sciascia e ad esso è ispirato il film.
Si narra di vite difficili in una terra acre come i propri agrumi, di un protagonista, un idealista solitario, che solo un “attore contro” come Volontè poteva rappresentare in maniera più che soddisfacente, il quale sfida un sistema che a tutt’oggi non si è riusciti a debellare.
È una realtà dura quella del piccolo paese in provincia di Palermo dove la trama si snoda, una realtà dove il crimine paga, dove l’omertà è un muro indistruttibile contro il quale chiunque provi ad opporsi ne esce in un modo o nell’altro sconfitto, dove purtroppo è difficile fidarsi di chiunque, anche quando si parla di una bella quanto misteriosa Irene Papas in abito scuro.
“A Ciascuno il Suo”, date queste prerogative, merita perciò di rientrare a pieno titolo nella cerchia di quelle opere che hanno reso immortali i cineasti italiani in tutto il Mondo.
Grazie alla sua complessa ma allo stesso tempo scorrevole narrativa e grazie al vorticoso, nonché innovativo, utilizzo di lenti grandangolari e telescopiche nelle riprese che permette allo spettatore di sentirsi parte integrante delle emozioni e delle scelte dei protagonisti, il film fu un discreto successo di critica e riuscì ad accaparrarsi il Premio Miglior Sceneggiatura al 20° Festival di Cannes nonché quattro premi ai Nastri d’Argento 1968.