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Giffoni Film Festival

‘La bicicletta di Bartali’ Intervista al regista Enrico Paolantonio

"i ragazzi, lo sport, la memoria" - Raccontiamo la pellicola in concorso a Giffoni chiacchierando a caldo con il suo regista

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Bicicletta di Bartali Enrico Pietrantonio

Sul palco del Giffoni Film Festival va in scena la première de La bicicletta di Bartali di Enrico Paolantonio, una pellicola che unisce gli orrori di ieri – la Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto – con i conflitti irrisolti di oggi – la questione israelo-palestinese – trovando riscatto in due meravigliose storie sportive: quella di Gino Bartali e quella di due ragazzi uniti dalla stessa passione.

Il film è innanzitutto il racconto di un’amicizia, quella tra David, ebreo, e Ibrahim, arabo, che sfida le regole di (in)tolleranza vigenti a Gerusalemme e la rigida separazione alla quale si costringono le due comunità.

Poi è la fotografia di un conflitto generazionale: i ragazzi, che si conquistano il diritto di vivere secondo le proprie emozioni, e gli adulti, fermi nelle proprie convinzioni, incapaci fin quasi all’ultimo di accettare il trionfo dell’amicizia.

Infine è una riflessione sul rapporto tra storia e memoria, incarnata dalla generazione dei nonni.
Questi, primi alleati dei più giovani, in un cerchio che all’eterno ritorno dell’orrore – il filo che lega le vicende di Bartali e degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale è lo stesso che mantiene ebrei e arabi in regime di apartheid – oppongono il vivo ricordo di chi l’ha vissuto e combatte con tutte le sue forze perché possa non accadere mai più.

La bicicletta di Bartali’ | Intervista al regista Enrico Paolantonio

Enrico, raccontaci le sensazioni di questa prima assoluta con i ragazzi del Giffoni Film Festival.
L’emozione è stata veramente forte, perché per me un film non è davvero finito finché non lo ha visto il pubblico. Le reazioni sono state travolgenti, abbiamo sentito i ragazzi vibrare al ritmo della pellicola, partecipare con applausi, incitamenti ai protagonisti, tantissime domande. Sono molto contento di questo esordio e credo proprio di poter dire: buona la prima!

In La bicicletta di Bartali lo sport diventa una grande metafora della realtà. Quale lezione ci può dare nell’affrontare la vita e le sue difficoltà?

Il nostro è per prima cosa un film sull’amicizia, e per questo vogliamo intendere lo sport soprattutto come solidarietà, con il suo concetto di squadra dove tutti si aiutano e rafforzano le connessioni che li legano.
E credo che proprio questo sia il suo valore a livello generale: un legame, un ponte tra persone e culture diverse.

Col suo carico di passione e istinto, lo sport offre la possibilità di appassionarsi e tifare anche atleti e nazioni diverse dalla propria, e questo avvicina le persone tra loro, senza distinzione etnica o culturale.
È in questo senso che il nonno di David afferma che lo sport è al di sopra di tutto, perché oltrepassa le sovrastrutture culturali delle quali ognuno di noi è vittima.

Nel film si distingue molto bene la competizione sana dei ragazzi, che puntano a migliorarsi di continuo, e quella distruttiva degli adulti, che hanno come solo obiettivo la vittoria.

Questo è quel tipo di competizione che spesso gli adulti, sbagliando, cercano di instillare nei ragazzi. Il padre di David sostiene che vincere sia l’unica cosa importante; lo sport è un confronto, certo, una sfida all’altro, ma non può tradursi solo in una lotta contro gli avversari, che si riporta poi con le stesse dinamiche distruttive nella vita quotidiana e nei tentativi di risoluzione dei conflitti, come accade da tempo anche per la questione israelo-palestinese.

Questo conflitto irrisolto fa da sfondo alla vicenda, ma è mantenuto volutamente in secondo piano perché vogliamo che questa storia abbia un valore universale. Per questo abbiamo scelto di mescolarlo con la storia di Bartali, che racconta di una guerra situata in un altro momento della Storia, ma con le medesime radici.

Tutti i conflitti affondano le proprie cause nella mancanza di fiducia nell’altro, nella paura verso ciò che è diverso, e questo vale per Israele e Palestina oggi come valeva per la Germania nazista ieri.

Gli adulti nel film sono espressione di un pensiero che è fermo nelle sue convinzioni e non cambia mai. I ragazzi invece vedono il mondo con gli occhi del cuore e delle emozioni. Tu senti – in quanto adulto – di vivere anche sulla tua pelle dinamiche di questo tipo?

Assolutamente sì. Anche io, se penso alla mia quotidianità, mi ritrovo a vivere tante situazioni di disagio senza reali motivazioni, nelle quali mi convinco di certe cose senza ascoltare la controparte, e solo dopo mi rendo conto che non dovrei ragionare per partito preso.

Immagino che questo avvenga perché sono cresciuto in una cultura che mi ha inculcato un certo tipo di idee e valori. L’autore del film (Israel Cesare Moscati, purtroppo scomparso qualche anno fa, ndr) ci teneva proprio a evidenziare questa dinamica di conflitto generazionale, e i più anziani – i nonni della storia – risultano paradossalmente più aperti e tolleranti dei propri figli, ovvero della generazione che oggi imprime la propria direzione al mondo, proprio perché hanno vissuto sulla propria pelle l’orrore del passato della Seconda Guerra Mondiale.

A proposito di questo, pensando anche alla situazione mondiale di oggi, è possibile che si rischino certe derive quando si perde la memoria dei fatti del passato?

Sì, soprattutto quando non c’è più gente che ricorda le cose perché ne ha fatto parte in prima persona. Se non hai vissuto i fatti diventa non solo più difficile ricordarli, ma si tende anche a sottovalutarne la pericolosità.
Questo mi preoccupa perché è il meccanismo che genera ciclicamente gli stessi errori del passato.

Il punto è che non possiamo essere sicuri di ciò che accadrà domani e per questo dobbiamo spendere tutte le nostre energie per non ripetere quanto di brutto è accaduto in passato. Per esempio, fino a qualche anno fa pensavamo che in Europa non ci sarebbe mai stata un’altra guerra, ed ecco da un giorno all’altro il conflitto in Ucraina.

Io resto fiducioso, ma oggi ancora continuiamo a dire che chi ha la pelle di un altro colore è diverso… e sono passati cent’anni dal nazifascismo.
Credo che prima o poi arriveremo a capire, ma se l’umanità esiste da millenni e continua a ripetere certe dinamiche, forse il gioco è anche accettare che esiste il male dentro di noi e va combattuto con strumenti come la pietà e la tolleranza, che hanno davvero il potere di cambiare le cose.

Hai scelto di raccontare questa storia con un film d’animazione. Credi che sia il linguaggio migliore per comunicare ai più giovani?

I bambini e i ragazzi non sono ancora inquinati dalle dissonanze della società, per cui instillare certi valori in loro significa dare strumenti tangibili per cambiare le carte in tavola. È a loro che ho pensato quando Bartali esprime nel film che salvare anche una sola vita – lui che ne ha salvate più di 800 durante la guerra –  significa salvare il mondo.

Da questo punto di vista, l’animazione ci permette di scavalcare la realtà e per questo veicolare il messaggio in maniera più forte. Ci permette di mescolare i vari linguaggi e arrivare al cuore non per forza caricando sul pathos, ma anche facendo leva su metafore ed immaginazione, con scene che sarebbero irrealizzabili dal vero con attori reali.

Per questo è stato molto importante il personaggio di Sarah (la sorellina di David, ndr), all’inizio pensata come figura adulta, equivalente di Hassan (il fratello di Ibrahim, che rientra a pieno titolo nel mondo degli adulti, ndr), ma che poi abbiamo deciso di partorire come una bambina, innocente e senza filtri come solo i piccoli sanno essere, e per questo in grado di arrivare dritta al cuore delle cose, senza sovrastrutture, comunicando con immediatezza sia ai bambini stessi che agli adulti.

Per concludere: cosa dovrebbe chiedere ai propri nonni un ragazzino tornando a casa dopo aver visto La bicicletta di Bartali?

Più che una domanda specifica, sarebbe bello riuscire a non disperdere la memoria dei più anziani con la loro dipartita: e quindi farsi raccontare il più possibile di quello che hanno vissuto e delle loro sensazioni, perché la loro esperienza è un bagaglio fondamentale.

Alla fine è anche questo il cuore del nostro film: un nonno che racconta la storia di Bartali per trasmettere qualcosa al nipote, e lasciare una traccia in eredità.

La bicicletta di Bartali

  • Anno: 2024
  • Durata: 80
  • Distribuzione: LYNX MULTIMEDIA FACTORY
  • Genere: ANIMAZIONE
  • Nazionalita: ITALIA - IRLANDA - INDIA
  • Regia: ENRICO PAOLANTONIO
  • Data di uscita: 01-August-2024

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