Dal 19 luglio 2024 è disponibile su Apple TV + La donna del lago, una miniserie diretta dalla regista israeliana Alma Har’el e tratta da un romanzo di Laura Lippman (che si è ispirata a due fatti di cronaca nera dell’epoca) che vuole essere più di una detective story, immersa in uno scenario di rivendicazioni sociali e divari etnici (tra wasp, afroamericani ed ebrei), e che guarda inevitabilmente all’Occidente contemporaneo.
Tra un delitto e l’altro, infatti, La donna del lago sviscera l’odio di genere e razziale serpeggiante allora come oggi, nella borghesia benestante come nei sobborghi più disagiati, ma soprattutto dipana con visionaria precisione le sfumature dell’animo femminile di fronte all’ingiustizie sessiste, ai soprusi delle istituzioni (in mano agli uomini), all’incomunicabilità umana. Un prodotto che riesce a compensare qualche limite di scrittura ed eccesso formale reggendosi sul fulgore da star di Natalie Portman, sulla sua interpretazione a nervi tesi, corpo esile dalle reazioni forti. Completano il cast Moses Ingram (La regina degli scacchi) e Mikey Madison (Anora).
Racconto e contesto
Baltimora, il Giorno del Ringraziamento del 1966. Due anni prima dell’assassinio di Martin Luther King e di quello di Robert Kennedy. La cittadina è sconvolta dalla scomparsa di una bambina di undici anni, Tessie Fine; il misfatto sconvolge sensibilmente Maddie Schwartz (Natalie Portman), infelice casalinga ebrea e madre di famiglia: la vittima è infatti figlia di un suo amore di gioventù e ricordi di un vissuto sofferto riaffiorano ancora senza pace. Maddie, in combutta con il marito e il figlio adolescente, decide di rifarsi una vita, cercando di coronare un’aspirazione accantonata e mai sopita: quella di lavorare come una reporter investigativa.
Una scoperta ancora più agghiacciante la induce ad indagare sul caso della ragazzina mentre, trovato un impiego in un giornale dove è guardata con diffidenza dai colleghi uomini, si occupa parallelamente di un altro reato: il ritrovamento presso un lago del corpo di Cleo Johnson (Moses Ingram), barista afroamericana in balia delle dinamiche politiche della sua comunità. Ed è qui che la fine di Cleo e il passato bruciante di segreti di Maddie si intrecciano, tra rivelazioni e mosse inaspettate.
Le inquietudine di oggi nei mutamenti dell’epoca
La donna del lago aspira ad essere molte cose insieme, a perseguire istanze sociopolitiche di pressante attualità (sia la regista che l’attrice protagonista sono israeliane), a sperimentare virtuosismi visivi e sottigliezze narrative all’insegna dell’originalità seriale, a offrire un banco di prova per l’intensità febbrile di Natalie Portman (qui alla sua prima serie tv), a conformarsi a quel target di qualità e innovazione che si prefigge la piattaforma Apple TV +. Qui più che altrove, infatti, la detection diventa un pretesto e, se non un vero McGuffin, un mero espediente che Alma Har’el sfrutta e sacrifica in molti suoi topoi per dipanare altro: un affresco di mutamento civile e di precarietà esistenziale, dove la figura femminile è termometro delle inquietudini collettive, dei progressi rivoluzionari della Storia, delle crepe della società patriarcale.
Tra una casalinga che rinnega il confinamento delle mura domestiche e della comunità religiosa e un’altra che deve lottare per sopravvivere in un ambiente famigliare politicamente convulso e burrascoso, la regista si fa portavoce di un discorso politico di sensibilità femminista, incentrato sul corpo delle donne e sui loro ruoli forzati all’interno della società. Senza retorica nei dialoghi e senza un finale a tesi, ma lavorando sull’impatto immaginifico e straniante delle immagini e sul disegno drammaturgico delle sue protagoniste, a cui le interpreti conferiscono credibilità in perenne tensione.
A tal proposito ha dichiarato la regista:
Ho voluto cambiare stilisticamente il libro e girarlo come un noir febbrile che sovverte l’allegoria classica della femme fatale. Invece di rappresentare le donne come figure seducenti il cui fascino intrappola i loro amanti nel pericolo, le avrei ritratte come protagoniste a tutti gli effetti, complete di poteri, difetti, punti di forza e vulnerabilità.
Una tavolozza dell’interiorità
Sfilacciando la trama nella sua orchestrazione thrilling, che pure non esclude qualche climax e colpo di scena, La donna del lago si erge a laboratorio sperimentale dell’onirico e dell’inconscio, a ideale atelier di cromatismi pastosi e cupi, ombre crepuscolari e tagli fotografici bluastri che restituisce gli anni Sessanta nelle loro nevrosi e nelle loro contraddizioni e rende giustizia agli animi delle tormentante e combattive protagoniste, con incursioni nel fantastico e nel mistico (i fantasmi interiori), con concessioni alla surrealtà (gli incubi a occhi aperti, gli intermezzi musicali), con i codici della memoria (andirivieni di flashback in contiguità col presente), con la cifra stilistica di una ricercatezza visiva che diventa labirinto della mente.
E raramente la Baltimora notturna (la città dei traumi di Marnie di Alfred Hitchcock, della detenzione di Hannibal Lecter, nonché della morte di Edgar Allan Poe) è stata così livida e fascinosamente sinistra e così ben amalgamata dalla fotografia con le pulsazioni jazz e soul funge dell’epoca.
La donna del lago non aderirà alle aspettative di un pubblico in cerca di crime story dilatate ma dense di fatti, crimini, ambiguità, dove lo sfondo è certamente lo spaccato di un’intera civiltà, dei suoi sfasamenti morali e della sua contaminazione dal male: la serie infatti si offre meglio come scandaglio psicologico (che è poi lo strumento per misurare la profondità delle acque o di un lago) sui compromessi, sulle rinunce e i sogni infranti di chi deve navigare nelle onde agitate della Storia per nuove conquiste sociali e nuovi spazi di autodeterminazione. E non casualmente diventa ritrattistica di animi femminili. Una serie talvolta acquosa nel ritmo narrativo e prolissa nella scrittura di alcune sequenze, ma che si ritaglia con un certo merito il suo varco aperto nei margini della sua audace atipicità formale.