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In Sala

Just like a woman

Nello stesso giorno, Marilyn perde il lavoro e la fiducia nell’amore, scoprendo che il marito, che mantiene e sopporta, la tradisce con un’altra. Decide allora di salire in macchina e viaggiare da Chicago al New Mexico, dove un provino per danzatrici del ventre potrebbe cambiarla la vita. Contemporaneamente, Mona, una giovane araba che subisce da anni gli insulti della suocera perché non riesce a fare figli, a causa di un grave incidente domestico, si fa prendere dalla paura e scappa di casa…

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justlikeawoman

 

Anno: 2012

Nazionalità: Italia, UK, USA, Francia

Durata: 84’

Distribuzione: Minerva Pictures e Atlante Film

Genere: Drammatico

Regia: Rachid Bouchareb

Uscita: 07/03/2013

 

«Yes I believe it’s time for us to quit (…)»

Just like a woman – B. Dylan

La locandina dell’ultimo film di Rachid Bouchareb evoca immediatamente il road movie firmato Ridley Scott del 1991, l’indimenticabile Thelma & Louise, in cui Susan Sarandon e Geena Davis, stanche della vita di provincia dell’Arkansas e dei loro uomini mediocri, intraprendono un viaggio attraverso gli Stati Uniti a bordo di una vecchia Ford Thunderbird andando incontro a disavventure e incontri inattesi che trasformeranno l’esito del viaggio cementando l’amicizia tra le due donne.

Le analogie con il film di Scott sono molteplici. Anche le strade di Marylin (Sienna Miller), una biondissima centralinista con la passione per la danza del ventre e di Mona (Golshifteh Farahani, il talento iraniano che ha già ammaliato il pubblico con Pollo alle Prugne di Vincent Paronnaud e Marjane Satrapi uscito nel 2011 e About Elly, di Asghar Farhadi, del 2009), una giovane sposa di religione islamica che lavora nell’alimentari di famiglia e subisce le angherie continue di una suocera troppo ingombrante, si incontreranno sulla via di una fuga da un destino misero e da un imprevisto che donerà al film una timidissima sfumatura noir.

La Miller e la Farahani recitano con onestà, ma i loro personaggi non risultano credibili fino in fondo. Sarà forse per l’indugiare, da parte dell’attrice americana, su alcuni vezzi espressivi che a lungo andare risultano urticanti o per una sorta di ostentazione, nel film, dei buoni sentimenti che animano le giovani donne che si scoprono reciprocamente solidali oltre ogni immaginazione. Troppo?

Sicuramente va apprezzato l’intento del regista franco-algerino di raccontare la storia di due donne normali, nelle cui aspirazioni e nelle cui frustrazioni la spettatrice si può identificare, ma i dialoghi sembrano tradire la paura, di chi ha scritto e di chi ha diretto il film, che la caratterizzazione dei personaggi e il montaggio non fossero abbastanza eloquenti nel “trasmettere il messaggio” e nell’orientare lo spettatore nella comprensione del film, ammesso che ve ne debba essere una. Per questo, il rischio di esitare nella didascalia cova dietro l’angolo per gli 84 minuti di proiezione e non sempre viene scongiurato, scatenando l’impressione fastidiosa di venire guidati troppo nei mondi delle due donne attraverso una spiegazione esplicita, mediante commenti e sottolineature messe in bocca ai personaggi, di come stanno e di come funzionano le cose nella loro vita.

Con l’apparente intento di rendere ancora più intenso il contrasto con la delicatezza dei personaggi femminili, gli uomini del film sono solo immiseriti, squallidi, desolati, troppo. Facciamo la conoscenza di personaggi stereotipati che passano dal clichè del maestro di danza gay amico delle donne – e unico essere vivente di sesso maschile a intravedere in Marylin le sue potenzialità di donna altra e non di mera centralinista frustrata – , al rude ubriacone (Jesse Harper) marito di Marilyn o alla variante uomo impotente e succube della madre (Sayed Badreya) marito di Mona.

Non sarà stato un po’ troppo ingiusto Bouchareb verso i suoi consimili?

Manuela Materdomini

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