Shadow of Fire di Shinya Tsukamoto è un film drammatico, ultimo tassello della trilogia sulla guerra del regista, distribuito da Minerva Pictures. Il film ha vinto il Premio NETPAC nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema 2023 ed è stato presentato al Bucheon International Fantastic Film Festival 2024.
Fuori dalle trincee, ecco la guerra dei sopravvissuti, e gli effetti di ombre sovrapposte che oscurano la voglia di vivere. Il racconto di Tsukamoto si aggrappa alla purezza di un bambino e al suo sguardo grande, per ritrovare la ragione dell’esistere dopo l’inferno.
Shuri in ‘Shadow of fire’. Foto stampa dal Bucheon International Fantastic Film Festival
Shadow of Fire di Shinya Tsukamoto, la trama
Sono quattro i protagonisti di cui il film racconta: una donna (Shuri), rimasta sola, e costretta a prostituirsi. Un soldato (Hiroki Kono), le cui esperienze belliche lo trascinano nel panico e nell’incapacità di reagire. Un vagabondo (Mirai Moriyama) e la sua vendetta. E infine un orfano (Tsukao Ogo), che condivide con tutti un pezzo di vita, e a cui ciascuno di questi regala un pochino di sollievo: quel tanto che basta per fargli pensare che possa esistere ancora un domani. Malgrado le macerie e malgrado le ferite.
Mirai Moriyama in ‘Shadow of Fire’. Foto stampa dal Bucheon International Fantastic Film Festival
Il peso del trauma
Registicamente costruito con una sapiente alternanza, Shadow of Fire scivola da un dramma all’altro senza rivelarne troppo, grattando appena la superficie di corazze demolite e piene di crepe. È da quelle fratture che emergono i traumi della guerra, e si intravedono le anime distrutte dei protagonisti e le loro storie passate.
Il film si fa forte di una recitazione intensa e trasportata, a tratti quasi eclettica se si guarda alla performance giocoliera di Mirai Moriyama, storpio di un arto ma ancora di eccellente prestanza fisica, che qui recita con filosofia di vita spiccia.
Dopo Fires On The Plain (2014), ambientato sempre negli anni della Seconda Guerra ma nelle Filippine, e Killing (2018), che raccontava di un samurai del periodo Edo, Shadow of Fire si presenta come un passaggio necessario. Tsukamoto si prodiga in favore della cura e della guarigione della propria gente da una ferita ancora aperta. Un’attenzione che questa volta rivolge agli umili che la guerra, più che averla “fatta”, l’hanno “subita”.
Shadow of Fire di Shinya Tsukamoto. Foto stampa dal Bucheon International Fantastic Film Festival
Il kammerspiel e il viaggio
Pur nella già riconosciuta abilità linguistica di Tsukamoto, è impossibile non notare come il film si divida in due parti, una vissuta “dentro” e una “fuori”.
Il racconto che prende vita all’interno della locanda, ha tutte le caratteristiche di un kammerspiel intimista dove il rosso del cero rimanda al fuoco del titolo, e a ciò che ribolle nei cuori dei tre personaggi e che in breve, esploderà. Mentre l’esterno, che prende il via da una cacciata, un esilio forzato, è il racconto di un viaggio assurdo filtrato dallo sguardo incuriosito e inerme dell’orfano. È lì che il bambino che si trova a tu per tu con forme di follia che l’onda d’urto della violenza e della guerra hanno generato.
Nel chiasso di un mercato il dolore si perde e si dissolve nella rassegnazione, punteggiata da spari lontani.