Unspoken di Chen Daming è un thriller presentato nella sezione Metal Noir del Bucheon Fantastic Film Festival e distribuito da Minerva Pictures.
Chen Daming non si vergogna a raccontare il buio dell’America e lo fa con una rabbia palpabile, in un thriller avvincente guidato da un tenebroso Zhang Hanyu (Mr. Six, Tiger Mountain, Manhunt).
Zhang Hanyu in ‘Unspoken’ di Chen Daming. Foto stampa dal Bucheon International Fantastic Film Festival
Unspoken di Chen Daming, la trama
Xu Jun, ex poliziotto e padre di una figlia sordomuta, riceve la notizia devastante della morte della figlia, che si trovava negli Stati Uniti per l’università. Parte quindi per riconoscere il corpo, ma, deluso dalla superficialità con cui la polizia locale sta trattando il caso, decide di trovare lui stesso l’assassino. Così facendo, scoperchia un vaso di Pandora pieno di atrocità e odio in un’America fredda, non solo per la neve. Al suo fianco c’è Lucy, una connazionale cinese, anche lei vittima di odio razzista.
Vivienne Tien in ‘Unspoken’ di Chen Daming. Foto stampa dal Bucheon International Fantastic Film Festival
Una sceneggiatura densa e coinvolgente
Nonostante un inizio che denota una regia volutamente macchinosa e una narrazione poco spontanea, la storia è sapientemente costruita e profondamente motivata dalla distanza culturale. Qui i bias, o meglio, i preconcetti, amplificano gli effetti di un’indagine inconcludente che si avvita su se stessa. Dopo solo mezz’ora, siamo già nel vivo del sospetto, sebbene gli attori non protagonisti non eccellano nel sostenere la perturbante interpretazione di Zhang Hanyu e la spontanea presenza di Vivienne Tien.
È come se alla regia mancasse una vibrazione più decisa per affiancarsi alla sceneggiatura originale, forte e incisiva, scritta a quattro mani dal regista stesso Chen Daming e Peter Walters. Col procedere della storia, ci si abitua alla grammatica vaga di Unspoken e si sposta l’attenzione sulla trama. Nell’avanzare del thriller, ci si trova a riflettere sulle ombre più buie di quella società da un punto di vista esterno, quello dell’immigrato.
‘Unspoken’ di Chen Daming. Foto stampa dal Bucheon International Fantastic Film Festival
Quell’America geograficamente isolata o quanto meno distante, dove l’accesso alle armi è facile e leggero, dove si perde la rotta, dove le persone crescono in uno stato di violenza diffusa e generalizzata, ospita una generazione di giovani che sogna un futuro migliore. Ma tra le aspirazioni e la tenacia si contrappongono diseguaglianze, trattamenti differenziati e traumi.
Ecco perché il film presenta un motivo ricorrente: la raccomandazione di fare un passo indietro per vedere con più chiarezza i propri limiti e non affogare nella presunzione di una perfezione che, se siamo capaci di apprezzare l’intera fotografia, ci accorgiamo che non esiste.