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‘Il piano segreto’: perché abbiamo dimenticato Michele Perriera, tra i più grandi drammaturghi italiani

Presentato in anteprima al Biografilm di Bologna, 'Il piano segreto' è stato recentemente in concorso all'Ortigia Film Festival. Per la regia di Ruben Monterosso e Federico Savonitto, il documentario ripercorre la straordinaria esistenza di Michele Perriera, drammaturgo palermitano, tra le più autorevoli voci nel teatro italiano del nostro '900. Eppure, lo abbiamo dimenticato

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Alla sedicesima edizione dell’Ortigia Film Festival è stato presentato Il Piano Segreto, il nuovo documentario della coppia di registi Ruben Monterosso e Federico Savonitto. Il documentario ci racconta, attraverso le testimonianze di chi lo ha conosciuto, tra cui personaggi illustri quali Letizia Battaglia ed Emma Dantema soprattutto tramite la memoria dei figli – la vita teatrale di Michele Perriera, drammaturgo tra i più illuminanti del nostro passato recente.

Nelle sue opere ha trattato, con estro e proprietà scenica, proferendo parole quasi profetiche, temi che purtroppo ancora oggi risultano attuali, forse oggi più che allora. La catastrofe imminente di un’umanità dimentica di sé stessa, una società preda della sua stessa nevrosi. Nonostante il suo lascito e l’eredità culturale delle sue opere, oggi la sua dottrina sembra essersi persa. A ricordarci la sua grandezza ci hanno pensato i due registi che hanno recuperato la memoria, le idee e la ricchezza del suo teatro.

La prima domanda che sorge ovviamente spontanea è: perché Michele Perriera? Da quello che emerge anche dalle parole di una donna incredibile che l’ha conosciuto bene, Letizia Battaglia, è chiaro come sia mancata la sua capacità di emergere e di imporsi sul grande pubblico, di calcare il palco, per utilizzare un termine figurativo calzante in questo contesto, così come altri artisti istrionici della sua generazione hanno fatto – pensiamo banalmente a Carmelo Bene. Per questo si vuole raccontare la sua storia adesso. Cosa vi ha attratto?

Federico: Partiamo dall’assunto che non sempre coloro che vengono riconosciuti da un pubblico nel loro presente sono i più importanti testimoni della loro epoca. Nel passato sappiamo di tantissimi artisti che sono stati scoperti decine di anni anche dopo la loro morte. Quindi, ecco, riguardo la capacità di imporsi di Perriera nella sua epoca. Abbiamo fatto una lunga ricerca: prima di intitolarsi Il Piano Segreto, il film si intitolava Il Caso Perriera. Il caso era il motivo per cui non era stato riconosciuto dai suoi contemporanei, nonostante il suo spessore, la sua grandezza che andavamo scoprendo man mano nei testi.

L’incontro con Perriera è avvenuto durante del nostro percorso. Lo avevamo incontrato all’interno di un altro documentario che avevamo fatto dodici anni fa su Nino Gennaro, altro grande drammaturgo palermitano, anche lui poco riconosciuto rispetto alla grandezza dei suoi testi. Questo film va quindi a chiudere una trilogia ideale, iniziata con Nino Gennaro, proseguita raccontando la città di Palermo nel film Pellegrino. Chiudendo il discorso su ciò che ci ha portato a scoprire il film. Sul perché si intitolasse Il caso Perriera c’è proprio il fatto che forse per Perriera non c’era questo grande desiderio di emergere come autore italiano nel suo secolo. Lui aveva molto più a cuore occuparsi delle persone che aveva vicino, di coloro che avevano studiato nella sua scuola, il Teatès, tra cui appunto nel film possiamo vedere per esempio Emma Dante.

Chiunque gli sia passato vicino ha proprio in lui l’immagine di un maestro, di qualcuno che gli ha trasformato completamente la vita. Quindi ecco, la risposta è un po’ in questo. Forse a lui non è mai interessato emergere come un Carmelo Bene che andava al Maurizio Costanzo show, per esempio. È rimasto nella sua Palermo, pur avendo calcato palchi di tutta Italia. Ha scelto di non appoggiarsi a un media come quello della televisione che in quegli anni stava imperversando. Non ha puntato sulla sua immagine, sull’immagine di un personaggio che intervenisse nel dibattito di quegli anni attraverso i media, in cui era facile farsi conoscere.

Ha scelto però ad esempio di lasciare la sua parola ai libri: ci sono tantissimi libri editi da Sellerio che noi abbiamo potuto leggere, anche da altre case editrici, tipo, per esempio, le edizioni La Battaglia di Letizia Battaglia che aveva creato questa collana. Insomma ha deciso di lasciare la sua parola, come se dovesse essere scoperta da qualche filologo, da qualcuno che sarebbe arrivato in un futuro più o meno lontano a svelarlo. A noi quindi è piaciuta molto questa sfida, poter fare emergere da questi libri e anche dai manoscritti l’autore che era rimasto sconosciuto.

Ruben: Nella ricerca della sua unicità, proprio mentre stava per cominciare il periodo della pandemia, ci siamo resi conto che alcuni dei suoi testi anticipavano quello che stavamo vivendo. Quindi la direzione del film a quel punto non è stato più Il Caso Perriera: per noi non era più un caso, a quel punto stavamo scoprendo la sua grandezza. I suoi testi ci aiutavano a leggere in maniera particolare il presente. A quel punto il film è diventato quello che abbiamo realizzato.

Il Piano Segreto

Letizia Battaglia in una scena del documentario

Hai di fatto anticipato quella che sarebbe stata la seconda, necessaria, domanda: ovvero il COVID e la corrispondenza che c’è tra il pensiero di Perriera e il periodo storico che abbiamo attraversato. Immagino che voi abbiate iniziato a lavorare sul progetto molto prima rispetto all’inizio della Pandemia. Scoprendo le rilevazioni profetiche di Perriera, immagino che a quel punto abbiate dovuto rielaborare il testo per adattarlo a quello che stava accadendo.

Ruben: Stavamo lavorando già da molti mesi prima. Però, più che adattare, direi che è venuto molto naturale trovare questa nuova chiave di lettura. Nella sfortuna di vivere un momento tragico per milioni di persone, noi come registi abbiamo avuto, posso dire, la fortuna di leggere in quel periodo specifico alcuni suoi testi che hanno fatto sì che prendessimo quella strada. Altrimenti, sarebbe stato un tipico documentario biografico.

Invece, tramite il nostro sguardo, siamo riusciti a tradurre le sue parole, scritte in un passato abbastanza lontano; parliamo di quarant’anni fa. Poterle attualizzare nel presente è la cosa migliore che possa accadere a un regista che affronta uno scrittore: vedere l’attualizzazione di quelle parole nel presente che si vive. È stata quasi una magia, una tragica magia. Siamo stati bravi a intercettare questo autore; però nello stesso tempo l’autore ci ha parlato, ci ha parlato nel tempo giusto e nel momento giusto. È stata quindi una deviazione, però una deviazione che è avvenuta in modo molto naturale.

Federico: È così. Ci tengo a dire che neanche prima era un classico documentario biografico, perché comunque stavamo affrontando Perriera da un punto di vista abbastanza personale. Eravamo andati a Torino per girare le scene di una compagnia teatrale, la compagnia genovese Beltramo. Stavamo facendo un film di osservazione, un film creativo in qualche modo, non era il classico film composto da interviste. Eravamo già molto interessati al suo linguaggio molto innovativo, alla sua capacità di leggere la società.

Eravamo andati i primi di Marzo perché la compagnia genovese Beltramo aveva scelto come data l’8 Marzo per mettere in scena questa pièce, intitolata Buon Appetito. Pièce che ha come sfondo appunto una pandemia del futuro; però come trama centrale ha la storia di un femminicidio. Un uomo che pian piano si stufa della sua donna, diventando sempre più insofferente. Lo spettatore in qualche modo si identifica nel ruolo del maschio che subisce la donna, anche se poi si fa orrore per questo. Il fatto che anche il documentario finisca con un femminicidio è la dimostrazione della capacità drammaturgica enorme di Perriera, nel creare una sorta di shock nello spettatore, che si identificava con un uomo che finisce per essere un assassino.

Quindi noi eravamo già lì per raccontare un Perriera molto attuale, in grado di rendere anche il nostro presente. Il fatto che sia arrivata la pandemia chiaramente ci ha fatto prendere una strada ancora più chiara e decisa in questa direzione. Ci ha fatto mettere da parte molte altre cose, trovando così un focus molto più centrato, diciamo geopolitico. Infatti poi è arrivata la guerra [Invasione Russa in Ucraina].

Il fatto che sia arrivata la guerra e che lui avesse parlato di certe dinamiche in modo diretto così come anche nascosto, in quello che è un il discorso sotterraneo che parallelamente al film si costruisce, cioè quello del suo immaginario, che parla di un insieme di potenti che decidono quando devono esserci le guerre, quando devono esserci le carestie, quando devono esserci le epidemie… Che poi è un po’ anche Il Piano Segreto del titolo, il cui titolo tra l’altro è di un’opera di Perriera, non ce lo siamo inventati noi.

Certo, lo si leggeva scorrendo nei titoli di coda. Però, correggetemi se sbaglio, il Piano Segreto viene anche citato dallo stesso Perreira parlando del figlio Gianfranco. Il figlio che si nascondeva, lo osservava, tendendogli delle imboscate. Parla di come stesse già quasi come programmando di diventare lui stesso un artista, un teatrante. Perriera stesso lo definisce una sorta di Piano Segreto; questa domanda si collega al rapporto che abbiate immagino sviluppato con i suoi figli, perché sono loro di fatto a custodirne la memoria, a mantenere viva la sua poetica. Noi da spettatori ricostruiamo la sua immagine attraverso il ricordo dei figli. Quindi volevo sapere come avviene questo processo di recupero.

Ruben: Come dicevi tu, i figli si occupano di mantenere la memoria del padre in una città come Palermo che in qualche modo dimentica molti dei suoi figli, i suoi cittadini. Loro lottano da anni affinché al padre venga riconosciuto, almeno nella propria città, un giusto ricordo, una giusta memoria, che renda conto del peso specifico di questo intellettuale così importante. Noi siamo entrati in intimità con i suoi figli, siamo amici.

In qualche modo abbiamo cercato di rispettare e raccontare questa loro missione rispetto alla figura del padre. Questa missione è diventata motivo di intreccio narrativo. Il loro tentativo di ricordarlo a dieci anni dalla sua morte, in un momento in cui tutto è fermo. Si ritrovano in difficoltà, oltre a quelle normali che hanno avuto da sempre, in una città che poco ascolta le istituzioni, che dà poco valore ad alcuni suoi intellettuali. C’era poi ovviamente la pandemia, quindi chiaramente diventava per loro molto difficile organizzare qualcosa che fosse all’altezza della memoria del padre.

Federico: Scusatemi, faccio un inciso. Il loro tentativo di festeggiare degnamente il decennale della morte era una traccia narrativa che avevamo deciso ben prima che iniziasse la pandemia. Poi anzi proprio la pandemia ha interrotto questo loro tentativo. Questa interruzione è poi diventata a sua volta materia narrativa.

Ruben: Esatto, noi raccontiamo esattamente queste difficoltà. Tant’è che poi l’intervento della filmmaker Camilla Iannetti va in aiuto ai figli per poter creare qualcosa che rimanga per questo decennale. Infatti nel momento in cui poi c’è una breve riapertura i figli convocano alcuni delle decine e decine di attori che si sono formati al Theates in questa casa di campagna dove ognuno recita brevi interventi, che sono poi i testi del padre, mettendo il proprio corpo, la propria voce.

Federico: Se posso aggiungere una piccola cosa, i figli ci hanno permesso di raccontare l’amore viscerale per il teatro. Al di là dell’amore per il padre e del desiderio di tenerne viva la memoria, attraverso i loro racconti. Ci mostrano come questo teatro di Perriera non fosse affatto un teatro borghese come spesso è stato detto a Palermo. Vedendo proprio questa famiglia permeata dal teatro, in tutta la sua vita, in tutto il suo quotidiano, mi è sembrato di rendere giustizia anche a questo: il fatto che Perriera avesse fatto del teatro una vera e propria missione. Ed è proprio questo che vive attraverso loro, ancora adesso.

Ruben: Sì questa è una cosa molto importante. È proprio una famiglia dedita al teatro. Ogni lira guadagnata dal padre veniva utilizzata per finanziare i prossimi spettacoli, spettacoli che spesso presentavano decine di comparse. A volte accadeva anche che c’era più gente sul palco che non tra il pubblico, ma non per questo lui si arrendeva, anzi. Portava ostinatamente avanti i suoi progetti. Per fortuna poi ovviamente non sempre era così, non sto dicendo che non fosse un autore seguito, tant’è che nella sua scuola
Teatès, all’epoca una delle poche scuole di teatro non appartenenti ad un Teatro Stabile, quindi privata, attirava persone che venivano anche fuori dalla Sicilia, anche da Roma. Michele attirava a sé e faceva parlare di sé tutta Italia.

Era un nome comunque sulla bocca di tutti, anche perché era una figura molto affascinante, carismatica.
Nel nostro documentario abbiamo anche la stessa voce di Michele che siamo riusciti a trovare nel grande archivio conservato dalla famiglia di Michele Perriera ma anche da Giuseppe Zimmardi, che ha girato molti dei materiali inediti dei suoi spettacoli, anche molti momenti di prova. In questa voce molto particolare si restituisce poi anche un momento commovente di addio, di saluto al proprio pubblico.

In merito alle opere che vengono mostrate, avrete fatto necessariamente una selezione certosina, escludendo del materiale d’archivio selezionandone altro. Uno dei testi forse più caratteristici – che ricorda nella forma The Lobster di Lanthimos – cioè Atti del Bradipo, piuttosto che L’Uomo Pavone dove si recita “elegante e feroce rinuncia, decretandone il trionfo…” piuttosto che si parli di una sorta di Dio Pan malvagio, quindi l’unico modo per trovare una dimensione salvifica sia quello di regredire e tornare ad essere creature… Insomma tutti questi temi immagino un fil rouge: la distopia, la catastrofe, l’epidemia, poi la guerra… Diciamo che sono tutti temi inerenti quello che potremmo chiamare lo Spleen, il malessere. Mi chiedevo quindi quale fosse stata la traccia che vi ha portato a fare una selezione piuttosto che un’altra, anche rispetto all’archivio

Ruben: Sì, certo. Una volta che la pandemia si è presentata agli occhi di tutti noi, è chiaro che ci ha fatto un po’ da guida nella selezione dei testi. Abbiamo fatto una sorta di collage, ma anche qualcosa di più. Abbiamo creato un flusso di parole prendendo testi diversi legandoci ai temi del controllo sociale, della repressione, del potere segreto che governa le nostre società moderne contemporanee. Questo filo conduttore torna spesso nei testi di Michele, non è stata un’operazione lunga piuttosto che faticosa. Questi temi erano così presenti da trovarli in vari testi, quindi poi si è trattato di riuscire a trovare una cornice che fosse coerente tra i vari testi, dando poi voce a Michele.

Federico: Sì, abbiamo puntato molto sicuramente sugli Atti del Bradipo perché il testo raccontava ciò che stava accadendo durante la pandemia. In alcune pièce della raccolta, come in Buon Appetito, scelta sempre dalla compagnia genovese Beltramo, si parla appunto di pandemie, del futuro… Ma anche perché per esempio oltre a loro anche Emma Dante in quel periodo scelse di occuparsi di una pièce, Injury Time, sempre contenuta all’interno dello stesso testo, che parla degli anziani che vengono eliminati, oppure trasformarti in bradipi. La citazione che hai fatto di The Lobster ha affascinato anche noi, è tra i motivi per cui abbiamo scelto quel testo.

È stato l’anello mancante perfetto. Poi tornando alla pièce Il Piano Segreto, si presta come titolo perché riesce a fare da sunto a tutti i vari segmenti che abbiamo selezionato per fare un collage. Il testo in sé compare poco; però, ad esempio I Pavoni, di cui hai parlato tu, sono contenuti sempre dentro Il Piano Segreto. Il testo del Signor X, quello che ascolta nelle bobine Gianfranco è anch’esso un testo che richiama molto l’idea contenuta all’interno de Il Piano Segreto. Quindi ecco il filo conduttore che abbiamo seguito è stato questo. Ciò che risuonava non solo nel repertorio ma anche nella realtà, che man mano ci dava conferma di essere stato scritto con una certa preveggenza.

Un testo importantissimo che abbiamo escluso si intitola Il Romboide. É un testo scritto poco dopo l’abbandono di Perriera del Gruppo 63. Siamo più o meno nel ’68: parla di un’epidemia di cecità che si sviluppa nei bambini, in una società che sembra la società dei giorni nostri. Questi bambini sono brutti da vedere: creano una sorta di disagio nel turista che vuole vedere le attrazioni, la città tutta bella, sistemata… Quindi per decoro questi bambini sono nascosti, eliminati, perché non si deve parlare di quest’epidemia. Anche questo è un testo incredibilmente preveggente, inutile dire che molti hanno tirato fuori Saramago. Questo per dire come la selezione sia stata veramente sottile, abbiamo dovuto basarci su molti fattori.
Un testo così era importante, ma magari non aveva abbastanza punti di attinenza con quello che andava accadendo nella nostra narrazione.

Il Piano Segreto

Emma Dante dirige lo spettacolo Injury Time

Riguardo la produzione: abbiamo detto, avete girato durante la pandemia. Siamo a Torino, poi a Palermo, ci sono diverse variazioni nella linea temporale. Immagino questo abbia comportato tutta una serie di difficoltà soprattutto logistiche e organizzative, ma immagino che abbia anche necessariamente invalidato o comunque vi abbia costretti a riflettere su nuove soluzioni, modellando il processo, quindi l’approccio

Ruben: Da un posto di vista produttivo sicuramente le difficoltà ci sono state, come per tutti i set d’Italia. C’è da dire che la nostra era una troupe essenziale. Abbiamo girato praticamente tutto io e Federico scambiandoci i ruoli tra fotografia e presa diretta, fondamentalmente per la natura stessa del progetto. Questo in qualche modo ci ha agevolato, pur con tutte le controindicazioni che questo ha comportato.

Era tutto sulle nostre spalle, letteralmente. La fase di ricerca, di scrittura, poi di riprese. Questo ci ha dato la libertà di muoverci nonostante il covid, quando per altri magari non era possibile. C’era infatti tutto un comparto, che noi stessi raccontiamo, quello del teatro, che era in profonda difficoltà. Tutto il comparto della cultura si è bloccato per primo e si è sbloccato per ultimo. Quindi per noi questo è stato motivo di racconto, anche questo era materiale narrativo.

Riguardo la struttura, abbiamo scelto, anche poi in fase di montaggio, di dare una sua centralità al covid. Ma questo è stato fatto anche in funzione poi di altri momenti che raccontiamo. Il momento appunto delle proteste, dove personaggi che sono poi presenti nel nostro racconto. Seguiamo ad esempio Giuditta [Giuditta Perriera, figlia di Michele] sotto questo punto di vista, dal punto di vista politico, il modo politico di fare teatro. Quando per esempio dibatte sul senso di fare teatro, sullo stato dell’arte del teatro durante la pandemia.

Poi la vediamo anche in piazza insieme ad Emma Dante che fa un intervento molto significativo rispetto alla chiusura dei teatri. Nonostante sia stato dimostrato che i contagi in quel momento non si sviluppassero all’interno dei teatri, perché c’era un certo rigore da parte di loro nell’organizzare scrupolosamente il distanziamento, c’era un controllo molto importante. Al netto di qualsiasi cospirazionismo, il teatro veniva preso di mira da parte dello Stato come un luogo di proliferazione. Allora questo diventa materia stessa del discorso, di quel potere segreto, cioè del piano segreto, cioè i piani covid che hanno portato alla chiusura del mondo della cultura. La partecipazione dei nostri personaggi alla lotta per far sì che il mondo del teatro potesse riaprire il prima possibile ci ha reso semplice mettere più chiaramente a fuoco quali fossero le nostre reali intenzioni nello strutturare il racconto.

Federico: Poi c’è da dire che le varie fasi di scrittura sono state anche fasi di scrittura in montaggio, come diceva Ruben. Siamo stati molto aiutati dal nostro montatore Matteo Gherardini nel prosieguo, nella costruzione del racconto. Vedendo il materiale che avevamo, iniziando a montarlo, abbiamo capito quello che mancava.

Ruben: Giusto. In fase di montaggio sono state fatte delle scelte, in particolar far vivere il covid in modo eloquente. Non tanto rispetto alla proporzione di riprese che avevamo fatto durante il covid, quanto al suo peso specifico in quel momento storico, riportando però poi sempre l’attenzione ovviamente su Michele.

Perfetto. A fronte del titolo, che è di per sé una dichiarazione d’intenti, così come i testi sono a loro volta una dichiarazione politica, volevo chiedervi se il vostro intento fosse, oltre quello di far rivivere la sua memoria facendo riscoprire al pubblico un autore che si posiziona tra i più grandi autori teatrali del nostro ‘900, quello di legare la sua figura ad una vostra intenzione politica, cioè realizzare anche un film di denuncia, utilizzando figurativamente Perriera come strumento politico per denunciare la situazione attuale

Federico: Sicuramente questo è stato il nostro intento. Fin da subito l’avevamo già interpretato in chiave politica, prima ancora che sopraggiungesse la realtà con i suoi sconvolgimenti epocali. Realtà che è arrivata a stupire prima di tutto noi. Noi avevamo un chiaro intento politico, volevamo raccontare il nostro Perriera. Cioè un Perriera che potesse essere portatore di idee nostre, perché leggendo i suoi libri emergono punti di vista ai quali noi ci sentivamo vicini.
Tra i suoi testi non ho citato un testo importantissimo, che è Romanzo D’amore, una sua autobiografia da quasi mille pagine, oppure altri testi come Con Quelle Idee Da Canguro, piuttosto che La Scuola Infinita.

Sono tutti testi meravigliosi dove lui esprime la sua visione del mondo alla quale noi ci sentivamo molto affini. Eravamo partiti con questo intento. Poi appunto la realtà è giunta in modo del tutto inaspettato a dirci quanto Perriera avesse scritto dei testi in grado di criticare il presente. Facendolo però mezzo secolo fa. Per tutta la vita è stato in grado di avere uno sguardo sul mondo rivoluzionario, capace di instillare lo stesso desiderio di rivoluzione in chi lo legge. A noi questo piaceva e questo volevamo trasmettere.

Ruben: Per ritornare anche al titolo, questo punto di vista è un punto di vista di un potere segreto, che si preoccupa di attuare dei piani segreti. Senza il rischio di essere presi per cospirazionisti, ci sembra una realtà abbastanza evidente che sta segnando la storia contemporanea fino ad arrivare ad oggi. Vediamo come il mondo si muova per interessi che sfuggono dal controllo democratico. Questo sicuramente è un punto di vista che condividiamo appieno con Michele, penso sia sotto gli occhi di tutti.

Ricordo un segmento del documentario dove vediamo Michele in un filmato d’archivio, questa sequenza dove Michele interviene in un dibattito all’accademia di Belle Arti, occupata nel 1992 pochi mesi prima della strage di Capaci. In questo intervento spiega la natura del potere: le scelte che vengono fatte nella società contemporanea dell’epoca, così come oggi, sono scelte che sfuggono al potere democratico. Sentir dire questo pochi mesi prima della strage di Capaci, quando poi sappiamo che queste stragi sono avvenute per motivi che andavano al di là della mafia stessa come dicono le carte e non certo noi, ci ha colpito parecchio.

Bisogna poi aggiungere come l’intento politico da parte di Michele fosse un intento che spesso sfuggiva dai normali parametri partitici o di altro tipo. Lui era un uomo vicino al Pc ma dal Pc si trovava comunque spesso in disaccordo. Si scontrava e spesso cercava fondi che poi non riusciva ad ottenere. Quindi non era un personaggio allineato, quando parliamo di politica parliamo di politica alta, non di politica spicciola e di gestione del potere.

Il Piano Segreto

Michele Perriera discute con un gruppo di studenti

Un’ultima domanda, che riguarda sempre il processo con cui vi siete probabilmente accorti ad un certo punto di dover approcciare il film. Mi pare che Giuditta compaia molto spesso, che sia di fatto il traino della narrazione. Nonostante aveste una figura come Emma Dante, vi siete concentrati molto più su di lei. Mi chiedo quindi se questa scelta sia stata operata in montaggio o se piuttosto ne avevate già tenuto conto

Ruben: Già in fase di ripresa abbiamo capito che era la scelta giusta. Sicuramente poi in fase di montaggio, come per tutti i documentari, si opera una seconda riscrittura. In ultima istanza si equilibrano poi tutti i pesi interni, per un’economia del discorso, per cercare di essere più diretti possibili, emotivamente coinvolgenti. Giuditta, tra le cose che porta con sé, c’è sicuramente questa, il coinvolgimento emotivo appunto, un coinvolgimento leggibile per uno spettatore, perciò intenso.

Federico: Si può aggiungere che anche il mestiere stesso di Giuditta, che è proprio attrice di professione, ci rendeva più facile avvicinare il mondo di Michele. Per dire: in uno dei suoi spettacoli ha preso i testi di suo padre, ha poi scritto dei testi suoi che fungono da collante a questi e ha raccontato il suo rapporto con Michele; quindi, era sicuramente molto disposta ad un confronto diretto su questo tema, anche proprio per quella che era la sua vita reale. Ci sembrava che il rapporto di Giuditta col padre fosse assolutamente spontaneo, un rapporto senza mediazione, avevamo bisogno della sua energia.

Ruben: Sì esatto, poi bisogna rendersi conto che queste persone diventano personaggi, è inevitabile ed è anche giusto che sia così. Un regista deve perciò avere la lucidità, al di là della propria affezione, al di là della propria ideologia e delle proprie sovrastrutture, di rendersi conto di quello che funziona effettivamente davanti la camera.
Insomma bisogna avere la lucidità di rendersi conto ciò che effettivamente è funzionale al racconto e cosa invece distrae. Bisogna sempre considerare i pesi interni, la quantità di spazio data ai personaggi, la quantità dei minuti dedicati alle sequenze di ogni personaggio.

Federico: Un elemento importante che può aiutare: siccome tu stesso hai citato Emma Dante, bisogna notare che è stata proprio Giuditta a farci da ponte per entrare nella sua realtà. Noi ad Emma Dante arriviamo anche tramite Giuditta, una delle attrici che sta mettendo in scena Injury Time. Questo è importante perché rende lo spettacolo parte integrante del suo percorso.

Oltretutto in questa parte della narrazione lei oltre ad essere attrice è ancora una volta testimone del mondo del padre. Tant’è che ad un certo punto Emma Dante è indecisa se utilizzare La Passacaglia della Vita, un testo medievale che parla del bisogno di morire.  Allora chiede a Giuditta se suo padre questo testo lo avrebbe usato. Questo fa capire allo spettatore che Giuditta in qualche modo è anche colei che detiene le redini della memoria, detiene il pensiero di suo padre, sa come si può e non si può reinterpretare.

Ruben: È fondamentale quello che dice Federico, cioè il fatto che lei abbia scelto di mettere in scena questo ricordo. Non l’ha fatto per noi, lei ha messo in scena uno spettacolo che noi siamo andati a vedere. Spettacolo in cui parla del padre, del loro rapporto, della sua assenza. Era quindi perfetto per noi, era quasi un diario che lei aveva scritto, di cui noi stavamo leggendo le pagine. Soltanto che anziché leggere, era proprio lei a dircelo, facendo poi da tramite in varie situazioni, aiutandoci a tenere compatta la narrazione.

Vi ringrazio molto, è stato un piacere.

Grazie a te!

Il Piano Segreto

  • Anno: 2023
  • Durata: 81 minuti
  • Genere: Biografico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Ruben Monterosso, Federico Savonitto

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