Si avvicina sempre di più l’uscita in sala dell’ultima opera cinematografica del regista Gianluca Maria Tavarelli: Indagine su una storia d’amore. Protagonisti Andrea Vassallo e Barbara Giordano, che offrono una prova attoriale all’altezza delle aspettative. Indagine su una storia d’amore, prodotto da Ascent Film e Halong, parla di questo, sarà al cinema dal 18 Luglio con Adler Entertainment.
LA NOSTRA RECENSIONE DI INDAGINE SU UNA STORIA D’AMORE

Trama
Paolo (Alessio Vassallo) e Lucia (Barbara Giordano) sono fidanzati da sei anni e sono entrambi attori alle prime armi. Per ottenere visibilità, decidono di partecipare a programma televisivo in cui devono raccontare le tappe della loro relazione e specialmente i momenti di crisi. Raccontandosi alle telecamere, i due si rendono conto che certe ferite sono ancora aperte e doloranti.
In una società dove la visibilità è la cosa più importante, i social generano il desiderio di mettere in mostra se stessi e di curiosare nella vita degli altri. Il film si propone di mostrare questa sfaccettatura della società attraverso un format televisivo: semplice, brillante e capace di far procedere la trama, offrendo sempre nuovi ostacoli e motivi di scontro. La storia è sia grottesca che verosimile, e permette di far divertire senza però mai risultare forzata.
In vista dell’uscita nelle sale italiane, il regista e i due protagonisti hanno parlato a seguito della proiezione stampa.
“Un ambiente che distrugge e uccide il rapporto”
Prende la parola il regista Gianluca Maria Tavarelli:
“Questa è una storia d’amore ma anche di disoccupazione. Purtroppo in questo settore la difficoltà di lavorare, di farsi accettare da un ambiente nonostante tu abbia tutte le carte in regola, distrugge il tuo dolore. Ma in generale, il fatto di dover sempre far vedere a tutti cosa fai, come sei, mettersi in mostra, è praticamente un mestiere in più. Prima questo stress non c’era. Nel film i personaggi, ingenuamente, essendo attori, approfittano del programma televisivo pensando di far ridere, piangere, diventare famosi. In realtà poi, quell’ambiente li distrugge, vengono facocitati, dicono cose che non dovrebbero dire e tutto ciò, all’interno di un rapporto amoroso, fanno male, fino a “ucciderli”, uccidere il loro rapporto”.
“Ci siamo molto divertiti a farlo. Io sono un po’ un tristone, ma avevo voglia di fare una commedia, me lo dicono tutto. Non volevo però fosse studiata a tavolino, e questa storia non l’avrei mai potuta raccontare diversamente da così. La storia non è una commedia, sono i personaggi che la fanno diventare tale. Ho sempre voluto fare dei progetti che intrattenessero, ma che avessero anche un peso. Per me, tra cinema e serie tv, è più difficile lavorare per il cinema, ed infatti sono fuori dal sistema. Faccio film che sono fuori dal sistema, ma sono contento di questo film e di come lo abbiamo fatto.

Così invece Barbara Giordano.
“Per me il regalo più grande è stato lavorare con Gianluca e Alessio. Gianluca ha un amore incredibile per la categoria degli attori. Per assurdo, la nostra categoria è sottorappresentata nella sua verita. Mia suocera per esempio pensa che fare l’attrice sia fare il red carpet, e le serie tv, niente altro. Gianluca invece lo ha raccontato con amore, mettendo in scena il paradosso dell’estremismo, l’andare nel reality show. Mettere a nudo la nostra ambizione: cosa siamo disposti a mettere in scena di nostro per raggiungere la fame.
Lavorare con Alessio poi è stato unico, e divertentissimo. Il film è molto catartico: guardarsi da fuori, poter ridere delle proprie tenere piccolezze, può farci fare degli scatti importanti di consapevolezza, e solo un regista come Gianluca poteva raccontarlo con questa grazia secondo me”.
Chiosa sull’argomento da parte di Alessio Vassallo.
“Anzittutto ritrovare Gianluca è stato fantastico. Ci conoscevamo bene dopo due stagione de Il giovane Montalbano, ma stavolta ci siamo trovati su un altro campo. Abbiamo avuto la possibilità di fare un’indagine, come dice il titolo, sia sulla storia d’amore, ma anche su me stesso, come attore. Affronta la tematica nostra, attoriale, ma affronta anche l’amore, la relazione tra due persone. Alla fine poco conta se uno è avvocato o cassiere, le dinamiche di coppia sono quelle. I non detti, i segreti, li abbiamo tutti, a prescindere dalla cornice. Da fuori ci sono delle cose esilaranti, da dentro il lavoro invece non è stato così semplice. L’esempio è sempre lo stesso: è la classica scena di quello che cade e fa ridere, ma quello che cade si è fatto male in quel momento. E noi nel film siamo quelli che cadiamo, continuamente.
Siamo in una società ossessionata dall’immagine, e abbiamo perso il senso del racconto, della storia. Così lo sono anche i nostri protagonisti. Ti fai foto, video, e dimostri cose che non sei, solo che i nostri personaggi non ce la fanno, e mandano in tilt tutto il sistema. Il meccanismo del reality è stupendo. Ce ne sono adesso in tv con tentatori e tentatrici, qui nel film non ce n’è nemmeno bisogno, il vaso di Pandora viene aperto senza sforso, esplodendo e facendo uscire tutti i segreti e i non detti. Con Barbara poi la chimica è stata stupenda, altrimenti non sarebbero venute fuori tante cose”.

La precarietà dell’attore e il cinema italiano
Sempre Vassallo prende la parola:
“C’è un tema fondamentale, che è quella della precarietà lavorativa. Qui parliamo di due attori, ma può essere di tutti i giovani di oggi, che stanno a casa e non lavorano. Questa precarietà sociale e lavorativa va’ a inficiare anche il rapporto sentimentale, facendo diventare precario anche quello. Questa fase fortunamente l’ho passata, almeno per adesso. All’inizio però, quando ho iniziato questo percorso, ero condizionato da un telefono che squillava, da un si o un no. Adesso mi fanno molto meno effetto, ma penso sia anche l’età, e ti rendi conto che le cose importanti sono altr. Un po’ come nel finale di Le notti bianche di Dostoevskij, che dice “un minuto di beatitudine è forse troppo poco per colmare tutta la vita di un uomo”. Piccoli momenti di felicità che forse, senza uno sguardo lucido, ci passano davanti.
Mi dispiace che usciamo il 18 luglio, in estate, non nel periodo top del cinema ecco. Come se non ti dessero mai la prima chance. Ma non parlo solo di noi, ci sono tanti film che soffrono di questo. Per me è un proprio un problema di sistema italiano, perché un film del genere oggi potrebbe avere un impatto molto forte e determinante, anche in estate.
Questo il pensiero di Barbara Giordano:
“Trovo che un aspetto fondamentale del film è quello metateatrale. Per me è stato molto forte vedermi. Gianluca ha insistito affinchè noi vedessimo per la prima volta il nostro girato del reality seduti sul divano, registrando direttamente la scena. Anche il fatto che noi pasteggiamo tutto il tempo, è come se lo facessimo sulle nostre sofferenze. Questa è la forza dell’esigenza narrativi dei grandi registi, come secondo me Gianluca è. In una scena dal fioraio, per me esilrante, fa ridere non la situazione in sè, ma il fatto che ci siano dei testimoni, che rende il tutto triangolato. Non sono io che ti faccio ridere facendo le pernacchie, ma fa ridere assistere a quanto siamo ridicoli quando siamo innamorati, o disperati.
E per questo per me questo è un film per il cinema e non per la televisione. Muove all’esigenza di vedere da fuori come noi funzionamo. Il reality è immersivo, non ti fa vedere il senso critico di ciò che stai facendo. Il film che racconta il reality invece sì secondo me. Il reality mostra come questo meccanismo di rappresentazione del sè sia molto pericoloso per tutti noi. E l’economia che si reggeva alla base di questo, che è anche quella che non fa uscire Indagine su una storia d’amore sotto Natale, crolla: quando l’obiettivo è solo fare soldi, le maschere cadono a un certo punto. Certo noi siamo poveri e gli altri sono ricchi (ride, ndr)“.

“Vita da fuorisede e teatro”
Chiosa finale del regista Gianluca Maria Tavarelli.
“Io sono sempre stato un fuorisede. Negli anni ’90 sono venuto a Roma per fare il regista, e tutti gli amici che avevo, venivano da tutta Italia. Nel raccontare un mondo quindi, per è più facile raccontarne uno di persone che vengono da fuori. Soprattutto televisivamente, ho sempre lavorato con i siciliani, e quindi mi piaceva l’idea di due attori fuorisede siciliani, trapiantati a Roma, ma che per vivere fanno altro. Mi sembrava un mondo diverso rispetto a quello che viene di solito raccontato, con madre, padri, amici che conosci da una vita. Mi interessava fare un cinema “altro”, che raccontasse qualcosa di nuovo. Siamo riusciti a fare una operazione totalmente fuori dagli schemi, con un budget piccolo, ma ci siamo riusciti.
Oggi come oggi credo che la televisione abbia poche idee, e va sempre più a pescare sulle storie ahimè tragiche del mondo vero, invece di invetare storie nuove e di fantasie. Ci sono documentari, podcast, che partono tutte dalla realtà. Portarlo a teatro? Non ci abbiamo mai pensato sinceramente, potrebbe essere una buona idea. A teatro invece abbiamo portato quel monologo che si vede nel finale, che fa Teo Guarini, e che ho scritto io 25 anni fa quando mi mollò la fidanzata. Alla fine l’ho ripresa e l’abbiamo messo nel film. Siccome è piaciuto, poi mi son detto “Sai che c’è? Portiamolo a teatro”, e a settembre l’abbiamo portato a teatro, a Trastevere. Abbiamo fatto un’oretta di questo spettacolo e ha funzionato, che alla fine è quello che apre gli occhi ad uno dei personaggi”.