Bangarang è una di quelle opere per cui è riduttiva la semplice definizione di documentario. È un film di forte impatto visivo sul paesaggio di Taranto, con immagini del mondo rurale contrapposte al mostro dell’Ilva sullo sfondo, quadri senza armonia di una città sfigurata.
Il punto di vista di Bangarang parte dallo sguardo dei bambini, nelle lunghe e assolate estati senza scuola. Vite anche difficili, genitori in galera e figli liberi nelle strade. Il film accosta immaginificamente la vitalità arcaica dei bambini, di un popolo, la vastità azzurra e luminosa del mare e, di fronte, la gigantesca costruzione industriale dell’acciaio, che sembra non lasciare scampo al paesaggio di Taranto. Un’orrida creatura, onnipresente e apparentemente muta, che fa una specie di silenziosa guerra alla città e, come in ogni guerra, devasta non solo il territorio, ma anche la condizione umana, mettendola di fronte alla scelta tra il lavoro e la salute.
Nell’orizzonte antico del centro storico, del mare, degli occhi dei bambini, incombono sempre le ciminiere dell’Ilva, come campanili distruttivi di quella modernità senza progresso di cui parlava Pier Paolo Pasolini.
Bangarang è un documentario di visione più che di parola, con la preziosa e luminosa fotografia di Sandro Chessa. Un lavoro particolarmente curato che non denuncia, ma mostra, non s’indigna, ma ci fa continuamente pensare di fronte alle immagini di quel complesso meccanico senza poesia e redenzione, che sbuffa sistematicamente i suoi fumi mefitici nel cielo e sulla città. Una mortuaria polvere rossa ricopre il quartiere sottovento vicino. «Oggi bistecca alla diossina», recita una scritta su uno di quei muri. La popolazione viene addirittura invitata a non uscire di casa e a tenere le finestre chiuse quando il vento porta involontariamente la sua morte.
Bangarang è cinema allo stato puro. Illumina L’Ilva e i suoi fuochi nella notte come un tecnologico Inferno, una giostra degli orrori, un orrido girone dei nostri peccati industriali. Il film ha qualcosa di mistico nella bellezza di certi suoi passaggi visivi, soprattutto nelle scene marine, che trovano un correlativo oggettivo religioso nelle statue sacre sbreccate dei cortili degli alloggi popolari, nel tappeto sonoro e musicale utilizzato.
Contro le ciminiere ovunque visibili, come il destino segnato di questa città e di chi la abita, Bangarang è un atto d’amore a Taranto e al suo futuro, i bambini, nonostante lo sfregio dell’Ilva. Questa industria, la più grande acciaieria d’Europa, attiva sin dagli anni ‘60, è uno dei più enormi disastri ecologici a cielo aperto del continente. Che futuro abbiamo lasciato i nostri bambini?
Dall’Ischia Film Festival sentiamo la voce del suo talentuoso regista, Giulio Mastromauro, sui nuclei tematici e stilistici del film.