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Conversation

‘Un Mondo a Parte’ conversazione con Riccardo Milani

'Un mondo a parte' di Riccardo Milani è l'avanguardia di una filmografia che ha saputo raccontare il paese senza infingimenti. Il Tuscia Film Fest è l'occasione per parlare col regista

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riccardo milani

Film d’apertura della ventunesima edizione del Tuscia Film Fest e vincitore del Nastro D’argento 2024 come migliore commedia dell’anno, Un mondo a parte è stata l’occasione per parlare con Riccardo Milani del suo ultimo film e per fare il punto su una filmografia meritevole di una riscoperta critica.

Alla riscoperta di Riccardo Milani

Conversazioni come queste diventano sempre un’occasione per riscoprire e riflettere sulla filmografia dell’intervistato. Nel tuo caso oltre alla continuità dei temi e a una visione del mondo portata avanti con rigore e coerenza, dal primo all’ultimo film, c’è stata la possibilità di ritornare su opere di cui, in qualche modo, avevo dimenticato la bellezza. Mi riferisco per esempio a Il posto dell’anima in cui ho ritrovato lo spirito e lo sguardo dei film di Ettore Scola.

Il posto dell’anima è un film a cui sono molto legato. Trovo che sia un film importante. Nei giorni scorsi è stata organizzata una proiezione speciale al cinema Gabbiano di Senigallia svoltasi alle 6 di mattina in cui sono stato chiamato a scegliere un film a sorpresa tra quelli della mia filmografia e io, per l’appunto, ho optato per Il posto dell’anima. Il pubblico non lo conosceva e ha reagito in modo bello e coinvolgente appassionandosi alla visione.

Penso che sia un film da riscoprire anche a livello critico perché aiuta a comprendere meglio e a valorizzare anche il tuo presente cinematografico che per me è imprescindibile da Il posto dell’anima. Un Mondo a parte aprirà il Tuscia Film Fest. A questo proposito mi pare di poter dire che il tuo faccia da apripista a un serie di titoli come Io Capitano, La Chimera e persino C’è ancora domani che, in maniera diversa, trasfigurano la realtà attraverso i canoni della favola.

Un Mondo a parte nasce da una frequentazione lunga cinquant’anni di una regione, l’Abruzzo, e della sua gente che conosco molto bene. Nel corso degli anni ho visto lo svuotamento dei paesi, la chiusura delle scuole, ho visto gli insegnanti fare 150 km al giorno per raggiungere il posto di lavoro, tutte cose che ancora oggi succedono. Anche i passaggi compiuti per riempire le classi e permettere alla scuola di continuare a esistere sono aspetti del film che appartengono alla realtà. Questo per dire che non mi sono inventato niente. Peraltro accompagnando il film nelle sale ho constatato che sono stati in molti a riconoscersi nei fatti raccontati per cui la favola è una definizione un po’ lontana dalla realtà. Casomai risulta immaginifica perché in molti fanno finta di non vedere cosa sta succedendo.

Un modo di parlare comune

Infatti Un mondo a parte racconta assolutamente il reale e ciò che accade e peraltro lo fa con agganci a temi e idee di assoluta attualità nella vita del nostro paese. Volevo solo dire che tu, come Garrone, Rohrwacher e Cortellesi, hai trovato un modo di parlare comune che fa riferimento a forme e stilemi tipici della favola. L’inizio di Un mondo a parte, per esempio, ricalca l’incipit delle favole, con “la notte buia e tempestosa” rielaborata nella bufera di neve, negli ululati dei lupi e dalla sensazione di sperdimento vissuta dal protagonista che si ritrova improvvisamente in un mondo altro.

In questo senso hai ragione perché questo è un po’ anche il mio modo di approcciare e immaginare questi posti, alla ricerca costante di un’umanità, alla quale mi aggrappo. A quel punto è vero che il mondo in cui arrivo diventa un po’ da favola e forse questo succede perché vorrei che le mie storie finissero sempre bene come quelle.

Lo mettevo in evidenza perché, attraverso questa scelta formale, il film trova un modo efficace per parlare dei problemi arrivando al cuore delle persone di ogni età. Cosa che per esempio la politica non riesce più a fare.

Quello che dici tu me lo hanno detto anche altri. La lezione di questa comunità è quella di annullare le divisioni. Quando è il momento di iscrivere i bambini alla scuola nel numero sufficiente per impedirne la chiusura tutte le divisioni politiche, ideologiche, sociali, culturali vengono meno. Sindaco, Parroco, Maresciallo dei Carabinieri, Protezione Civile lavorano per un unico obiettivo che è lo stesso di quello dell’intera comunità. Con tutti i limiti che ci possono essere questo è quello che ho sempre percepito in quelle zone, ovvero una reazione ai problemi che diventa posizione etica capace di mandare un messaggio anche alla politica. Penso, per esempio, agli immigrati che quarant’anni fa erano dei clandestini e oggi sono diventati regolari anche a causa della mancanza di forza lavoro. In Abruzzo ci sono comuni che oggi si reggono su di loro perché quelli che una volta erano extracomunitari adesso sono italiani e con le loro famiglie costituiscono il 40% della popolazione.

Alcune riflessioni su Un mondo a parte di Riccardo Milani

L’attualità di Un mondo a parte la vediamo anche a posteriori con quello che succede in questi giorni, e in particolare sul fatto che le forze progressiste nel corso della recente campagna elettorale sono tornate a parlare della questione lavorativa in termini prioritari. Il malessere di Michele Cortese, protagonista del tuo film, deriva innanzitutto dall’insoddisfazione nei confronti della propria professione, il che indirettamente rilancia l’indispensabilità di una vita che non può essere vissuta senza un lavoro garantito e dignitoso. Non so se sei d’accordo.

Sono d’accordo. Per me il tema del lavoro è centrale da sempre. Quando uscì Il posto dell’anima, che di quello parla, nel 2003, metterlo in piedi non è stato facile perché parlava di un tema che allora non era prioritario. La vicenda della Good Year a cui si ispira quella raccontata nel film fu gestita da un governo di centro sinistra, con Massimo D’Alema presidente del consiglio ed Enrico Letta ministro del lavoro. Entrambi si trovarono di fronte alla risoluzione di un problema che di fatto era stata già decisa dall’onnipotenza del mercato prevedendo la delocalizzazione della fabbrica. Considera che lì il problema era anche quello delle morti sul lavoro causate dalla tossicità del processo produttivo. Il ricordo di un titolo di giornale che diceva “Meglio morti che disoccupati” la dice lunga su una logica ancora oggi dominante, basata sul ricatto del lavoro e sul venire a compromessi rispetto ai rischi a esso collegati. Oggi bisogna avere il coraggio di una scelta eticamente e criticamente profonda per cambiare questo parametro. Non può essere più “o così o niente”. Il lavoro ha bisogno di rispetto. La vita umana non ha prezzo e dicendolo mi rendo anche conto che risolvere questo problema non è facile per nessuno. La necessità però impone che la questione sia affronta e superata perché poi i tumori restano come pure le famiglie distrutte. Il fatto che si possa sempre passare sopra a tutto non mi stava bene allora e non mi sta bene adesso.

Una chiusura

Un mondo a parte mi offre l’occasione di chiederti se sei d’accordo sul fatto che le tue storie partono sempre da una chiusura esistenziale, ambientale e culturale per poi aprirsi a un altrove che ne mette in discussione lo status quo. Succede così a Michele Cortese come ai personaggi di Il posto dell’anima, di Come un gatto in tangenziale, di Grazie Ragazzi e così via.

Sono d’accordo con te. Dentro di me penso di avere il desiderio di trovare sempre una possibilità, per questo, come dici tu, succede un po’ in tutti i miei film il verificarsi di un’apertura rispetto a una condizione iniziale molto dura. Come un gatto in tangenziale fa riferimento all’odio sociale che serpeggia nel nostro paese e che in Italia è un tema centrale. Rispetto a quello il film propone due personaggi capaci di ascoltarsi e perciò in grado di trovare una strada, una soluzione. Cosa che nei miei film accade sempre perché mi piacerebbe che questo fosse un modello applicabile ovunque. Penso infatti che in ognuno di noi ci sia una sacca di etica addormentata dall’abitudine alle cose e che però esce fuori grazie a un intervento esterno. Alla fine credo che il successo di Un mondo a parte e di Come un gatto in tangenziale derivi dall’aver risvegliato qualcosa che c’è ancora nel profondo.

Peraltro questo è un tema che tu sei riuscito a declinare anche in titoli più leggeri come Corro da te perché la stessa reazione si verifica nel momento in cui il personaggio di Pierfrancesco Favino diventa consapevole delle vicissitudini di quello interpretato da Miriam Leone.

Più leggero per modo di dire perché poi in quel film si parla comunque di disabilità. La scommessa in quel caso era di fare una commedia con un personaggio le cui difficoltà ti mettono per forza in una condizione di diversità. Con Miriam e Pierfrancesco abbiamo da subito sposato quel progetto. Per farlo ci siamo preparati davvero tanto parlando con varie associazioni che ci sono state vicino per tutta la lavorazione del film affinché potessimo raccontare con obiettività e sincerità anche un mondo come quello attuale, in cui la perfezione assoluta e il bello a tutti i costi sono diventati l’unico obiettivo, quello per il quale si è disposti a lasciare indietro chi ha bisogno. In Un mondo a parte c’è una frase di Virginia Raffaele che di fronte a un branco di lupi dice: “Noi esseri umani eravamo stati fatti per aspettarci e poi siamo diventati un’altra cosa” come a sottolineare lo sfaldamento di valori in atto. Da questo ragionamento mi viene in mente che un termine che accomuna i miei film è quello di “comunità”. Una dimensione che mi manca e che cerco sempre di ritrovare in questi piccoli centri che conosco molto bene. Lì rientro in contatto con l’onesta e la possibilità di comunicare con l’altro. Lo dico non solo da regista, ma anche da persona.

I luoghi di Riccardo Milani

In parte ne abbiamo già detto, ma vale la pena approfondire l’argomento chiedendoti di alcuni luoghi che più di altri sono presenti nel tuo cinema e di cui Un Mondo a parte è ulteriore testimonianza. Penso alla montagna, già raccontata in Un Posto nell’Anima, Buongiorno Presidente, ma anche al mondo della scuola e ai suoi docenti più volte protagonisti dei tuoi film.

Penso che fare film per me sia un dovere per raccontare il paese in cui ci troviamo. Ho attraversato anni come i settanta per certi versi durissimi, ma anche ricchi di grande apertura al sociale, di testa tenuta dritta e di occhi puntati sul mondo. Ci sono state cose terribili e gravi però la necessità di credere in un mondo più giusto è stata bella allora e lo è ancora adesso per cui non dovremmo mai smettere di riflettervi. Oggi cerco di farlo attraverso i miei film.

In Un Mondo a parte Michele nonostante le sue buone intenzioni dimostra di avere una visione della montagna più ideale che reale. Così succede anche ad altri tuoi personaggi. Penso al protagonista di Come un gatto in tangenziale, abituato a parlare di una realtà che in fin dei conti non conosce. Allargando il discorso, penso che dietro tutto questo tu voglia anche raccontare un certo tipo di intellettuale progressista che ragiona avendo perso il contatto con la realtà. Mi viene in mente il paradosso di Michele che, per spiegarsi con i genitori dei suoi alunni, cita il pensiero di antropologo famoso nel suo ambiente, ma non in quello di cui crede di conoscere tutto.

Spesso è il mondo intellettuale in generale, compreso quello progressista, a essere un po’ distante dalle cose quotidiane. Quello che talvolta mi fa ridere, ma anche indispettire, è sentire pareri distaccati che azzardano pareri e formulano giudizi senza conoscere le cose. Con i miei film mi è capitato più volte. Anche con Il posto dell’anima successe così senza sapere che dietro i personaggi c’erano storie di amici e persone che conoscevo benissimo. In generale questi punti di vista si traducono in sentenze che mirano al facile consenso facendo appello a una purezza politica che li identifica come superiori e che invece spesso sono espressioni standardizzate su fatti non conosciuti. Succede oggi come accadeva negli anni settanta in cui più si era a sinistra e meglio era. Più eri estremista e più eri riconosciuto come puro e coraggioso mentre poi non c’era nulla di questo nell’andare in giro con le armi come succede in quegli anni. Mi ricordo che nelle assemblee quel tipo di frasi massimaliste e populiste suscitavano applausi scroscianti. Purtroppo questo succede pure oggi e anche nel cinema dove se fai un film drammatico sei un puro mentre se ti cimenti nella commedia no.

Per varie ragioni le cose stanno un po’ cambiando.

Un pochino sì. Accompagnando il film nelle sale il più delle volte il pubblico è venuto da me dicendomi di essersi divertito da matti, ma anche di aver pianto per la commozione. Con questo voglio dire che spesso le definizioni finiscono per essere approssimative. I film che faccio possono essere belli o brutti, divertenti o emozionanti, ma giudicarli attraverso una categoria, come può esserlo la commedia, gli pone dei limiti dimenticando che la qualità di un film è anche quella di arrivare al pubblico.

Una commedia come una volta

Un mondo a parte ha appena vinto il Nastro D’argento come migliore commedia dell’anno. La tua filmografia è piena di film fatti come una volta, penso a quelli di Monicelli, Scola e Risi, in cui si rideva e piangeva allo stesso tempo.

Detto che io e Virginia siamo felicissimi di aver vinto il Nastro D’argento, penso che anche la sceneggiatura avrebbe meritato maggiore attenzione considerando l’importanza del tema che è al centro della storia. Anche in questo caso mi sembra la conseguenza di quei limiti di cui ti ho appena parlato.

Nell’affrontare le varie tematiche Un Mondo a parte non è mai manicheo. La comunità montana, per esempio, è raccontata non solo nelle virtù, ma anche nelle sue contraddizioni. Lo stesso succede nei confronti di Michele, messo davanti a limiti che sono anche suoi e a cui pone rimedio aprendosi agli insegnamenti dei suoi alunni. La realtà di Un mondo a parte non viene mai meno alla sua complessità.

Mi fa piacere che tu dica questo perché così è la vita di tutti i giorni, in un paese in cui il populismo è diventato il modo per farsi ascoltare puntando soprattutto sulle paure della gente. Chi fa politica dovrebbe avere il coraggio di essere sincero non rinunciando alla complessità del quadro.

Riccardo Milani con Antonio Albanese

Pensavo ad Antonio Albanese con cui hai più volte lavorato e mi chiedevo se, oltre alla sua bravura, la sua scelta dipenda anche dal fatto che a teatro e in televisione abbia sempre raccontato la crisi di valori e la perdita di identità come risultato di queste facili semplificazioni. I suoi personaggi nei tuoi film sono spesso smascherati e costretti a fare i conti con il racconto di una realtà deformata e diversa da quello che è.

Si si, allo stesso modo di quelli interpretati da Silvio Orlando. Sia lui che Silvio sono caratterizzati da un forte legame verso il tempo che hanno vissuto nella necessità – non più procrastinabile – di fare i conti con una certa cultura del nostro paese. Mai come adesso è necessario mettere al centro le persone che io apprezzo nella sincerità e nella passione autentica, al di là dell’appartenenza politica e ideologica. Anche perché una passione autentica unisce e non divide. Ne Il posto dell’anima il personaggio di Claudio Santamaria era estremo e per certi versi anche violento, però aveva dentro di sé un’umanità infinita. Pur nelle sue contraddizioni nel raccontarlo avevo verso di lui un forte affetto. Sapevo che dentro di lui c’era qualcosa di buono che poi è quello che cerco sempre nelle persone.

E con Paola Cortellesi

Penso che lo stesso si possa dire per Paolo Cortellesi che, alla pari di Albanese, ha sempre messo la sua versatilità a disposizione di un racconto della realtà quanto mai complesso. Nell’interpretare i tuoi film è come se continuasse a portare avanti le riflessioni a cui ha dato spazio nel corso della sua poliedrica carriera.

Antonio e Paola li ho messi insieme artisticamente per la prima volta in un film che si intitolava Mamma o Papà. Io con lei avevo già lavorato, così come con Antonio, per cui avevo capito che avevano delle caratteristiche in comune molto importanti come lo è il fatto di aver fatto, a livello eccelso, televisione, teatro, cinema in un percorso per certi versi sovrapponibile. Il loro uso del corpo, il misurarsi con registri diversi, dal dramma alla commedia, al grottesco, riuscendo a farlo a un livello altissimo è tipico dei grandi attori. Loro due lo sono e insieme abbiamo provato a raccontare il paese e ambienti che conosciamo bene. D’altronde non è causale il fatto che Paola e Antonio abbiano radici comuni: lui ha fatto l’operaio, lei è nata e cresciuta in un quartiere popolare di Roma. Questo ha permesso loro di mantenere sempre i piedi per terra e di avere il senso della misura. Con entrambi condivido anche il modo di affrontare questo mestiere per cui siamo molto appassionati del nostro lavoro e condividiamo questo sentimento con tutte le persone che fanno parte della nostra troupe. A unirci è anche un certo distacco nel modo di lavorare, aspetto che ho imparato facendo l’assistente volontario sul set di Speriamo che sia femmina. Era un film interpretato da grandissimi nomi che, però, erano mossi da un’umiltà che non aveva nessuna pretesa e che era disposta a condividere tutto con gli altri. La prima cosa che ti faceva capire Monicelli era che stavi facendo un lavoro: “arriva puntuale e vattene via dopo gli altri”, questa per lui era la prima cosa. Una lezione che mi sono sempre portato dietro e che sono stato felice di condividere con Antonio e Paola.

Dicevi come il tuo cinema metta al centro le persone. Questo lo si può constatare nel montaggio dei tuoi film che mira sempre a privilegiare la centralità dei personaggi e mai la bella immagine.

Sono molto d’accordo perché per me è centrale la storia dunque l’emozione che passa attraverso gli attori. Questo vuol dire non avere l’ego che ogni tanto ti vorrebbe far indugiare su una bella inquadratura. Nel montaggio privilegio la storia e il ritmo della tensione narrativa, quella che ti fa raccontare nella maniera più giusta. Per questa ragione sono felicissimo di sacrificare le capacità tecniche ed estetiche.

Il cinema di Riccardo Milani

Per concludere la nostra conversazione volevo chiederti qual è il tuo cinema di riferimento.

Sono cresciuto con Risi, Scola e Monicelli e con quel cinismo che contraddistingueva il loro modo di raccontare l’Italia. Penso anche a Flaiano per l’ironia che aveva verso il paese, ma anche nei confronti di se stesso. Poi ci sono film meravigliosi del cinema americano come Il cacciatore, capolavoro assoluto di un regista che ha avuto il coraggio di mettere a nudo un paese. Penso a Blade Runner, all’ultimo film di Scorsese in cui sono sicuro di ritrovare sempre un certo tipo di umanità. Penso a Spielberg e al suo Schindler’s List, penso in generale ad autori che hanno la voglia e il coraggio di esporsi con generi diversi. Penso anche a tanto cinema italiano del presente che reputo davvero buono.

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Un mondo a parte

  • Anno: 2024
  • Durata: 113'
  • Distribuzione: Medusa Film
  • Genere: commedia
  • Nazionalita: italia
  • Regia: Riccardo Milani
  • Data di uscita: 28-March-2024