Dopo essere stato presentato in concorso alla 19esima Edizione de Dieciminuti Film Festival, La bottega dei bottoni, sarà mostrato al pubblico del Pop Corn Festival del Corto. Diretto da Daniele Ciprì e prodotto da Visco Film, in collaborazione con Onirica. Lo short film, della durata di 5’ 58’’, fa parte del progetto C’era una Volta in… Sicilia.
Una visione surreale per raccontare la realtà.
La bottega dei bottoni, La trama
Un luogo insolito, due personaggi bizzarri e una storia unica. Cosa si nasconde dietro un semplice bottone?
Un’isola tra le stelle
Dopo il successo de La fornace, tra i finalisti dei Nastri d’argento 2023, Daniele Ciprì torna a misurarsi con la forma del cortometraggio e lo fa a suo modo, mescolando, come in un incantesimo, ingredienti prodigiosi per poi, probabilmente, riportarci alla realtà dei fatti.
Pare che ci sia un filo rosso impercettibile che lega l’ultimo lavoro di Daniele Ciprì, La bottega dei bottoni, al precedente La fornace. Entrambi i corti sono realizzati con la stretta collaborazione tra il regista e direttore della fotografia Ciprì e gli studenti di scuole e accademie cinematografiche.
In La fornace il tutto avviene nelle viscere della terra, in La bottega dei bottoni, invece, ascendiamo in cielo, fino a raggiungere le stelle. Qui, c’era una volta… come si direbbe per una favola, tra l’universo infinito, un’isola, con una piccola bottega di bottoni.
Un non luogo, sospeso tra lo spazio e il tempo, dove vive uno strano personaggio (Giuseppe Lo Piccolo), che fabbrica bottoni. Dopo poco arriva l’altro protagonista, ancor più bizzarro. Interpretato da Bruno Di Benedetto. È piccolo, in penombra, poi avanza verso la macchina da presa per mostrarsi interamente coperto di bottoni.
La bottega dei bottoni: una fuga del mondo della concretezza
Come si può facilmente intuire, il film offre tanto spazio all’interpretazione e la dimensione onirica, arricchita da non pochi elementi favolistici, incoraggia a cercare i possibili significati, il più possibile distanti dalla realtà.
La carriera di Daniele Ciprì ci insegna che il suo cinema non è mai una fuga totale dalla realtà. Il regista non si nega certo voli pindarici, ma poi torna sempre con i piedi per terra, ovviamente nella sua amata Palermo.
Ciò è sempre successo, dai tempi degli esordi televisivi con Cinico tv, in coppia con Franco Maresco. In quel caso la periferia del capoluogo siciliano viene trasfigurata in un selvaggio west, popolato, però, non da eroi a cavallo, piuttosto da singolari uomini in mutante. In La bottega dei bottoni, invece, il regista utilizza l’elemento favolistico per mettere in scena una fuga dal mondo della concretezza, alla ricerca dell’intangibilità. Il tutto si dissolve, perde sostanza per trasformarsi in essenza, in onde radiofoniche, utilizzate dal regista nei primi minuti come colonna sonora.
Da Hitchcock a Lynch
I due protagonisti, alla pari dello spazio intorno a loro, vengono spersonalizzati dalla fotografia in bianco e nero utilizzata dal regista. Perdono la connotazione umana, diventano alieni, folletti di un universo incantato, distante anni luce.
Non ci sono burattini, i pupi come nel precedente La fornace, Giuseppe Lo piccolo e Bruno di Benedetto, però, sono legati, con dei fili invisibili, al loro burattinaio, che li governa e gli dona vita, senza aver bisogno di carne, ossa e sangue.
Le loro figure si stagliano sullo schermo come disegni, tanto basta per evocare un pizzico di animazione. E così Daniele Ciprì, in poco più di 5 minuti, riesce a riflettere sulle potenzialità della cinepresa, divertendosi (perché il regista detesta lo sterile esercizio intellettualistico) a disseminare il tessuto filmico, con giochi allusivi riconducibili al cinema del passato. in questo modo la fotografia che ritrae Lo piccolo, travestito da donna diventa un’operazione ludica che tira in ballo il Norman di Psyco e le movenze stilizzate rimandano all’onirico Eraserhead, esordio alla regia di David Lynch.
La Palermo di Daniele Ciprì
Tra favola, sogno, meta – cinematografia, e immaterialità, La bottega dei bottoni ha il suo senso reale e concreto che diventa visibile attraverso un linguaggio, non verbale, profondamente poetico.
Con questo lavoro Daniele Ciprì racconta il mondo delle botteghe della sua Palermo. L’artigianato, quello di un tempo, che, con il suono del lavoro, musicava il quotidiano. Palermo era ricca di bottegai e tra loro c’erano tantissimi fabbricanti di bottoni, oggi scomparsi quasi del tutto. Così il cortometraggio diventa, tra le tante cose, una testimonianza dedicata alle tradizioni popolari, in cui il lavoro era principalmente sostentamento, ma diventava strumento di produzione artistica, basti pensare ai canti dei contadini o dei pastori.
Il regista, però, fa allusione anche ad altro. I bottoni sono costuditi e ammirati alla pari di preziose gemme. Diventano una risorsa, non sappiamo se moneta di scambio, ma in ogni modo simbolo di ricchezza. Il personaggio interpretato da Di Benedetto pretende sempre di più, non ancora soddisfatto di tutti quei bottoni che ricoprono il suo volto.
La richiesta di altri preziosi non avviene con un linguaggio fondato sulla parola. È un suono creato proprio dallo scoccare dei bottoni. Un gioco allusivo al pizzo estorto dalla mafia. Daniele Ciprì sembra autocitarsi, facendo riferimento ai nani de Lo zio di Brooklyn, suo esordio al cinema avvenuto nel 1995, insieme a Franco Maresco.