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Il Cinema Ritrovato

‘Les Parapluies de Cherbourg’, ritorna restaurato il classico francese di Jacques Demy

Il capolavoro musicale di Jacques Demy in versione restaurata al Cinema Ritrovato: una festa di malinconia da contemplare e da ascoltare con languido abbandono e introspezione sentimentale. Con una giovanissima Catherine Deneuve mai così charmant

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Les Parapluies de Cherbourg in una serata sotto le stelle a Bologna. Grazie al Festival del Cinema Ritrovato Piazza Maggiore sabato 29 giugno risuona delle carezzevoli e sognanti note di Michel Legrand, si colora della fotografia variopinta e morbida di Jean Rabier, abbraccia le traversie amorose da romanzo antico di Catherine Deneuve e Nino Castelnuovo, teneri e fulgidi nella loro giovinezza fanciullesca, sotto la regia qui celestiale di Jacques Demy, con la sua predilezione per le città portuali, il proscenio di casa delle bambole dalle famiglie scomposte, le elargizioni di eleganza e tenue preziosità.

Basterebbero questi crediti per certificare l’incanto di Les Parapluies de Cherbourg, Palma d’oro a Cannes nel 1964, film interamente cantato (ma né vero musical, né operetta) con attori doppiati, lieve nei toni e mestissimo nella trama, dal décor artificiale e studiatissimo che è molto di più di uno sfondo, ma è esso stesso un modo di essere al mondo.

Una pellicola che è un percorso di formazione

Il Cinema Ritrovato restituisce nel suo virtuosismo tecnico originale la pellicola che consacrò Jacques Demy tra gli autori di punta del cinema francese, con la sua estetica ineguagliabile di messinscena fiabesca, leggiadra, ammiccante allo spettatore (non rari sono infatti gli sguardi in macchina, non sempre giustificati dalla natura strettamente musicale della pellicola), dove l’umanità dolente si trattiene sempre sulla soglia di un’aggraziata dignità, dove il romanticismo sprigiona la sua anima più candida e struggente.

Introducono il film il regista premio Oscar Damien Chazelle, che prese ispirazione da Les Parapluies de Cherbourg per il suo La La Land e che definisce questo classico francese il suo film preferito in assoluto, scoperto a diciassette anni in modo determinante per la sua carriera, riconoscendo la sua rivoluzione musicale nella storia del cinema. Lo affianca sul palco Rosalie Varda, figlia di Agnès Varda e di Jacques Demy, che rievoca i suoi ricordi d’infanzia sul set (con un piccolo cameo alla fine) e spiega come abbia compreso ciò che il film vuole esprimere solo da adolescente, con la cognizione della delusione del primo amore. E chiude il suo emozionato intervento con un aneddoto che è un regalo per tutto il pubblico del Cinema Ritrovato:

Una volta Jean-Luc Godard mi disse che vedere un film di Jacques Demy è come visitare l’Italia per la prima volta: avverti subito che vuoi ritornarci.

Sinossi

Dal 1957 al 1963, nella città normanna di Cherbourg. La giovanissima Geneviève (Catherine Deneuve) vive con la madre vedova che gestisce un negozio di ombrelli. Si è innamorata, ricambiata, del giovane meccanico Guy (Nino Castelnuovo); la relazione però è troncata dalla chiamata alle armi di Guy in Algeria. Dopo un periodo di scambio epistolare, Guy è impossibilitato a rispondere e Geneviève, incinta di Guy, su consiglio della madre sposa un altro uomo più facoltoso, con cui crescerà la figlia a Parigi. Ritornato a Cherbourg dopo anni, Guy, senza la sua ex fidanzata, si convince a sposare anche lui un’altra donna. Un giorno però Geneviéve e Guy si incontrano casualmente a Cherbourg, nella stazione di servizio di Guy…

Un universo di dolente armonia

Un’opera-mondo, come è stato definita dalla critica, un microcosmo aggraziato di spiccatamente simulato realismo e dai contorni trasognati, pastosamente cinematografico (come in un film di Vincente Minnelli) e afflitto da addii forzati, crudeli compromessi e rimpianti incolmabili, ma senza disperazione né grida, senza lotte né contrasti. Come se ci si dovesse rassegnare alle trame imperscrutabili della vita, burattini al mercé dalla Storia, non vinti ma disarmati.

Dietro la frivolezza dei dialoghi cantati, dietro un profilmico di confezionata delizia dai toni pastello e con interpreti perfettamente integrati in questo universo fascinosamente ‘altro’, Demy distilla la perdita dei genitori, la malattia invalidante, il lutto incombente e soprattutto la guerra in Algeria, con uno strato di zuccherosa amabilità in superficie, che scavando un poco però rattristisce.

Non si sconfina mai tuttavia nel melodramma lacrimevole, nonostante esso pulsi dal profondo, non si approda a una grigia tristezza, né si incappa in trappole melense o in sentieri stucchevoli: magistralmente Demy da vero alchimista armonizza la sua tavolozza di registri e toni per creare il suo mondo che è un simulacro artistico, ingentilito e ricamato, delle beffarde storture del reale, dei crudeli incidenti dei percorso, dei colpi di stiletto della Storia che si atteggia a destino.

Sotto la pioggia, ma a un passo dalle stelle: richiami tra i classici

Con una cinepresa mobile e quasi invisibile che si erge a pari dignità dei personaggi, rafforzando la nostra cittadinanza in questa Cherbourg del meraviglioso, e una scansione aristotelica in tre capitoli (“La partenza”, “L’assenza”, “Il ritorno”) come in un romanzo fiabesco, Les Parapluies de Cherboug è un affondo agrodolce nella malinconia sul poco bene che resta dalle delusioni della vita, un racconto universale che si estende a ricordo personalizzabile sulle rassegnazioni che il reale non può fare a meno di riservare (soprattutto in amore), il trionfo dell’artificio cinematografico che sublima, consolando, la presa di coscienza degli incastri impossibili che l’esistenza ci impone senza appello di alcun sorta.

Come in un altro capolavoro del genere musicale riproposto qui al festival nella sua versione restaurata, Singin’ in the Rain, la pioggia diventa condizione atmosferica per antonomasia di scenari innaturali, colorati slanci cantati, corsa al sogno, conquista della felicità, pur nelle rispettive declinazioni formali e nelle cinematografie nazionali di appartenenza. E nel decennio che intercorre tra l’opera di Stanley Donan con Gene Kelly e quella di Jacques Demy la pioggia si è fatta meno corroborante in un cielo plumbeo, meno spettacolare e più impregnata di spleen. Là c’era la morale finale di assumersi le responsabilità del sognare che è poi il primo passo verso l’amore; qui invece la placida consunzione nel sentimento dove la promessa di un sogno infranto non preclude un altro possibile sognare: al cinema.

 

 

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  • Anno: 1964
  • Durata: 91'
  • Genere: musicale
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Jacques Demy