Tra i documentari in concorso della durata inferiore a 10 minuti al Dieciminuti Film Festival c’è anche Qat di Jabran Zafar. In 8 minuti il documentario, direttamente dal Pakistan, presenta la vita di tutti i giorni di un calligrafo che racconta e mostra la propria routine nei confronti di un lavoro che ha sempre amato, ma che sembra destinato a scomparire.
Un’occasione, quella presentata dal documentario Qat, di ammirare come nascono i cartelloni pubblicitari, le insegne dei negozi, le scritte ornamentali e tutti quegli elementi che hanno bisogno di una scrittura ben precisa. Naturalmente tutto con i caratteri arabi.
L’insegnamento del documentario Qat
Nonostante le difficoltà che questo mestiere può presentare il documentario spinge a fare il possibile per mantenere viva una vera e propria arte. Ciò che nasce dalle penne e dagli attrezzi appositamente utilizzati per questa disciplina sono delle vere e proprie opere d’arte. Opere d’arte che se un tempo erano realizzate a mano da persone che dedicavano ogni istante a questo, adesso sono riprodotte dalle moderne macchine fotocopiatrici perdendo, solo in parte, l’unicità che li ha sempre contraddistinti.
Questo non significa che il valore diminuisca o che il risultato sia più scadente o peggiore. Restano sempre e comunque frutto della mano di grandi artisti.
E, quindi, se si vuole provare a trovare un insegnamento da quello che ci viene presentato, è sicuramente il non arrendersi e il non demordere di fronte alle difficoltà, di qualunque tipo esse siano.
Lo stile
Accanto all’importante tema del documentario, Qat porta con sé uno stile interessante. Raccontato come fosse una sorta di favola, ci introduce lentamente all’interno dell’argomento centrale, mostrando immagini che si intervallano con una melodia che richiama quella del carillon.
Dalla calma e dai movimenti lenti che caratterizzano le prime scene veniamo catapultati nel caotico centro del Pakistan. Un centro che è presentato dal protagonista, anche voce narrante del documentario, che ha il compito di introdurre spazi, tempi e argomenti.
Così come per la calligrafia, che richiede attenzione a ogni minimo dettaglio, anche il documentario cerca di raccontare un’arte partendo da piccoli elementi che, se usati nel modo giusto, possono dare vita a grandi capolavori.
Il tutto ovattato da colori mai troppo accesi, un po’ per richiamare l’idea del materiale utilizzato per realizzare le scritte, un po’ per richiamare l’idea di favola, di racconto e, quasi, di sogno.
Il documentario Qat: un’arte destinata a scomparire?
Una delle problematiche che il documentario pone è la possibilità di scomparsa di un’arte come quella della calligrafia. Anche se probabilmente è un errore parlare di scomparsa. Sarebbe più corretto parlare di evoluzione e cambiamento. Se un tempo, neanche troppo distante, questa era un’arte prettamente umana che andava di pari passo con la fantasia e l’inventiva, col passare del tempo è (diventata) un’arte più meccanica. Così come tanti altri aspetti della quotidianità, sono le macchine a prendere il sopravvento e a riuscire, in maniera più ottimale, a realizzare quello che un essere umano riesce e riuscirebbe a fare, ma magari in maniera imperfetta o in un tempo più dilatato.
Non sono senza speranze.
Nonostante tutto però la luce della speranza rimane accesa. Come i colori scelti per le varie scritte delle quali è impregnata la vita di tutti noi.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli