Marlon Brando negli anni 50 ha completamente rivoluzionato la recitazione hollywoodiana. L’industria del cinema trema tuttora di fronte al suo nome, associato a capolavori indimenticabili e a primati tuttora ineguagliati. Il primo attore a diventare icona, il primo a mettere seriamente in pratica ‘’il metodo’’, il primo ad abbattere i cliché imposti da attori statici e monocorde, il primo ad fungere da ispirazione per le nuove leve (James Dean e Montgomery Clift su tutti). Il suo stile introspettivo, fatto di sofferenza e dove la fisicità gioca un ruolo determinante continua a fare scuola ancora oggi. ‘’Non ci sarà mai più nessuno come lui’’ diceva qualcuno, riferendosi a Brando, ed è così. Al pari di Elvis e Maradona, Marlon Brando entra di diritto nel novero di quei miti che hanno trasceso la settima arte, assurgendo a vere e proprie leggende inequiparabili.
51 anni di carriera, poco più di 40 film realizzati e altrettanti personaggi che hanno lasciato un’impronta indelebile nell’immaginario collettivo. Quando se ne andò, esattamente 20 anni fa, con lui si spensero alcune delle maschere più complesse e ricercate della storia del cinema, tuttora immediatamente riconoscibili. E proprio su quei personaggi ci focalizzeremo per analizzare nuovamente quest’attore immenso, spulciando tra 10 delle sue interpretazioni più iconiche e ammalianti, entrate di diritto nell’iconografia cinematografica.
Quest’anno inoltre il Torino Film Festival 2024 diretto da Giulio Base dedicherà un’apposita retrospettiva all’attore dal titolo ”Brando’s Touch”, con alcune delle sue interpretazioni più memorabili insieme ad altre meno ricordate dell’ultima fase della sua carriera.
Torino Film Festival – Torino Film Fest
Marlon Brando: 10 ruoli iconici – 1. Stanley Kowalski, ”Un tram chiamato Desiderio”
Il ruolo che lo consacrò prima ancora che al cinema, in teatro, sconvolgendo gli animi di milioni di spettatori, fulminati da un personaggio così fuori dai canoni statici e stereotipati della Hollywood dell’epoca. Stanley Kowalski è un ragazzo primordiale, rozzo, con una sensualità travolgente, oltreché mentalmente instabile. Selvaggio come un animale, egli alterna momenti di una dolcezza quasi femminile a altri di violenza sia fisica che psicologica, che porteranno sua moglie a ribellarsi e a fuggire. La sua personalità è capace di soggiogare anche la cognata, Blanche Dubois, attratta e terrorizzata allo stesso tempo da lui, e sarà proprio il loro di rapporto a concludersi nel più brutale dei modi. Anche il suo rapporto con gli uomini non è del tutto chiaro, aspetto questo marcato prevalentemente nella versione teatrale. Il primo ruolo rilevante di Brando coincise con la sua prima nomination all’Oscar.
Marlon Brando: 10 ruoli iconici – 2. Marco Antonio, ”Giulio Cesare”
Brando è Marco Antonio in ”Giulio Cesare” (1953)
La prova del nove del giovane talentuoso Brando non poteva che passare dalle pagine di Shakespeare. Anche il suo Marco Antonio è un personaggio ambiguo fino alla fine, apparentemente dalla parte dei congiurati per tre quarti di film per poi tradirsi e condannarli in un memorabile monologo finale. La dialettica e l’empatia di Marco Antonio in questo film assurgono un ruolo centrale, così come il ‘’metodo’’ caricato alla massima potenza consente a Brando di rivaleggiare con altri grandi interpreti shakespeariani ben più collaudati (si dice che John Gielgud si fosse inginocchiato ai suoi piedi alla fine del monologo). Benchè il casting di Brando avesse fatto storcere il naso a molti, a fine film il pubblico fu di nuovo dalla sua.
3. Johnny Strabler, ”Il selvaggio”
Marlon Brando ne ”Il selvaggio” (1953)
La nascita dell’icona. Prima di Easy Rider, prima ancora perfino di James Dean e della sua Gioventù bruciata, è stato Marlon Brando ad aver incarnato al meglio il senso di ribellione e contestazione della gioventù americana dell’epoca post-bellica. Johnny Strabler ci viene presentato come un teppista, attaccabrighe, che trova nel generare caos il suo modo di far sentire la propria voce e farsi emulare dai i coetanei. L’amore per la giovane barista Kathy da inizio alla sua redenzione, svelando l’origine di quel senso di ribellione, il bisogno di sentirsi amato colmato in un primo momento proprio dalla giovane ragazza ma alla fine nuovamente vanificato dall’atteggiamento ostile della popolazione nel finale del film. Il chiodo indossato da Brando e la motocicletta Triumph completano il mito. A più riprese l’attore ha definito Johnny Strabler come il suo preferito e il più vicino a lui tra tutti i personaggi interpretati.
4. Terry Malloy, ”Fronte del porto”
Marlon Brando in ”Fronte del porto (1954)
Terry Malloy è il primo di una lunga serie di personaggi falliti e disillusi interpretati da Brando (il più celebre insieme al Paul del film di Bertolucci). Pugile dimenticato, lavoratore squattrinato, quasi soffocato dal glorioso ricordo di ciò che un tempo fu, Terry trova più confortante rifugiarsi nella codardia quando rifiuterà di denunciare gli affari sporchi della malavita locale in cui è coinvolto anche il fratello piuttosto che dare un senso alla sua esistenza. Anche stavolta, sarà l’amore per una donna a contribuire al suo cambiamento. Da pelle d’oca il dialogo nel taxi tra Terry e suo fratello Charlie, le cui struggenti parole ‘’Potevo diventare qualcuno, invece di niente come sono adesso’’ figurano ancora oggi nelle liste delle più grandi citazioni della storia del cinema. Uno degli Oscar più meritevoli di sempre quello vinto da Brando per questo film, nonché l’unico che abbia ritirato.
5. Magg. Loyd Gruver, ”Sayonara”
Brando in ”Sayonara” (1957)
Il maggiore Gruver è un uomo integerrimo, ferreo, radicato nelle sue convinzioni ma che finirà irrimediabilmente per perdere la testa per una donna nipponica, facendo cascare in questo modo tutte le sue certezze. Il suo cuore diviso è l’eco della divisione delle razze e delle credenze americane dell’epoca, dove il popolo a stelle e strisce veniva ancora visto come l’unico baluardo contro l’umana corruzione di popoli pro guerra apertamente dichiaratisi ostili alle loro ideologie. L’interpretazione di Brando gioca un ruolo decisivo nel crollo di questi miti, garantendogli una ennesima candidatura agli Academy Awards. Fu più facile, stavolta, entrare nel personaggio, avendo acquisito molta più credibilità rispetto ai tempi de ‘’Il selvaggio’’.
6. Don Vito Corleone, ”Il Padrino”
Marlon Brando è Don Vito Corleone in ”Il padrino” (1972)
Tutto sulla genesi di Marlon-Don Vito ne ”Il padrino” è leggenda. Dal formaggio che l’attore mise nelle guance per imbolsire i lineamenti, alle pressioni della Paramount contraria all’ingaggio dell’attore, ai suoi frequenti scherzi sul set ai danni dei membri della troupe, al rifiuto di memorizzare le sue battute. Don Vito è l’emblema dell’italoamericano trapiantato a New York nei primi del ‘900, in se racchiude tutta l’omertà della mafia. Rigido capofamiglia, protettivo ma al tempo stesso anticonformista, Vito Corleone è divenuto un’icona quasi più del suo interprete, la più grande maschera del cinema gangster hollywoodiano (con buona pace di Al Pacino e del suo ‘’Scarface’’). L’Oscar rifiutato dall’attore, con duro attacco all’establishment, consegnano definitivamente il personaggio del Don alla storia, oltre a ridare prepotentemente linfa alla carriera appannata del suo interprete. Piccola curiosità: fu uno dei pochi ruoli che Brando insistette per avere a tutti i costi.
7. Paul, ”Ultimo tango a Parigi”
Paul appartiene al novero dei personaggi irrealizzati, spenti, senza più ragione di esistere. Un curioso passato da pugile e rivoluzionario alle spalle, Paul soffre tutta la frustrazione dell’uomo di mezz’età specie dopo il suicidio della moglie. Trova rifugio nella relazione platonica con una ragazza francese molto più giovane di lui, dove il sesso è visto come unica risposta possibile al conformismo del mondo circostante. I picchi recitativi di Brando in questo film sono racchiusi in due scene: il monologo improvvisato davanti al corpo della moglie morta e quello autobiografico sulle origini della sua famiglia. D’altronde, come ammise lo stesso Bertolucci a distanza di anni, ‘’Ultimo tango a Parigi’’ può essere inteso come una vera e propria autoconfessione dello stesso Brando.
8. Colonnello Kurtz, ”Apocalypse Now”
Il ruolo più ‘’mistico’’ della carriera di Marlon Brando. Solo una lama di luce per scorgere il volto del colonnello disertore Walter Kurtz, dilaniato da tormenti interiori acuiti dalle atrocità della guerra, fuggito nella giungla cambogiana e circondato da indigeni pronti a venerarlo come un moderno Zeus. Kurtz è anche il personaggio più enigmatico dell’attore, grigio fino al midollo come la sua controparte Benjamin Willard, perennemente in contrasto tra bene e male. In sé racchiude il nocciolo di un film dalle mille interpretazioni come ‘’Apocalypse Now’’ . Kurz e Willard sono due facce della stessa ipocrisia (a voler citare il buon Al Pacino in un altro capitolo della saga corleoniana), echi di azioni che altri spingono loro a compiere, la cui colpa più grande forse risiede proprio nel non chiedersi perché fanno ciò che fanno e il non riconoscere il limite oltre il quale giusto e sbagliato risultino indistinguibili.
9. Ian McKenzie, ”Un’arida stagione bianca”
Dopo ‘’Apocalypse Now’’, a detta di molti, Brando non avrebbe più interpretato personaggi memorabili. Tuttavia uno degli ultimi guizzi di vitalità artistica si possono ravvisare nel ruolo del tenace e disilluso avvocato McKenzie nel film di Euzah Palcy (per il quale lavorò gratis). Il suo è un personaggio crudamente realista, conscio della fallacità delle leggi anti-apartheid dell’epoca, che tuttavia non esita a scendere in campo quando un ostinato professore gli chiede aiuto pur sapendo di avere ben poche chance di cambiare le leggi. Forse l’ultimo ruolo ispirato della carriera di Brando, efficace per quanto non memorabile, nonché ennesimo capitolo della filone dei cammei storici di Brando inaugurat0 nel 1978 con ‘’Superman’’.
10. Marlon Brando, ”Listen to me Marlon”
Marlon Brando nel documentario ”Listen to me Marlon” (2015)
La più grande performance Brando l’avrebbe in realtà fornita a riflettori spenti, nell’arco dei suoi intensissimi ottanta anni. Al centro del meraviglioso documentario ‘’Listen to me Marlon’’ di Stevan Riley c’è proprio lui, con la singolarità che la sua stessa voce oramai flebile e malinconica, accompagni lo spettatore in un’odissea impagabile nella mente del geniale attore e uomo tormentatissimo grazie a numerosi nastri di autoconfessione registrati in più di quarant’anni. Un ritorno sulle scene a 11 anni dalla morte in stile Amleto padre, dove Brando stesso si auto-psicanalizza come un moderno Freud e ci permette di conoscere finalmente la verità mettendo a tacere le varie leggende sorte negli anni su di lui. Nonostante l’ultimo film interpretato risalga al 2001 con ‘’The Score’’, quest’opera magniloquente può essere intesa come il vero canto del cigno di una carriera straordinaria, il doveroso congedo di uomo passato alla storia che non smetteremo mai di amare.
La recitazione è l’espressione di un impulso nevrotico. È la vita che fanno i fannulloni. Smettere di recitare, ecco quello è un segno di grande maturità.