fbpx
Connect with us

Il Cinema Ritrovato

‘The Wind’, un capolavoro che soffia ancora forte dai tempi del muto

Al Cinema Ritrovato di Bologna risplende in nuova veste uno dei film americani più sfuggenti, metaforici e introspettivi degli anni Venti, alle soglie del sonoro, firmato da Victor Sjöström. Con un’eterea e tenace Lillian Gish

Pubblicato

il

Nella cornice suggestiva del cinema in Piazza Maggiore a Bologna si assiste alla proiezione del classico del muto The Wind (1928), diretto dal grande Victor Sjöström, considerato da molti il più grande regista svedese dopo Ingmar Bergman, autore del celebre Il carretto fantasma (1921) e interprete indimenticabile del professor Isak Bork in ll posto delle fragole (1957).

Il Cinema Ritrovato propone l’assolo della seconda parte della carriera del cineasta, sempre in trasferta tra la terra natale e gli Stati Uniti, con l’accompagnamento musicale dell’Orchestra del Conservatorio G. B. Martini che ha eseguito le partiture di Carl Davis adattate da Timothy Brock di fronte a un pubblico commosso, per la forza drammaturgica del racconto a cui la colonna musicale si armonizza in simbiosi, in una serata bolognese scossa in modo propizio da un tiepido vento.

Cuori d’artista nella tormenta

Una pellicola che fu l’ultimo grande film di Sjöström (che si dovrà arrendere al terremoto dell’avvento del sonoro), dove il vento incessante e prosciugante del deserto del Texas occidentale diventa metaforica mappa interiore delle laceranti e represse afflizioni psicologiche della protagonista e che fu girato in condizioni ambientali estreme nelle aride lande californiane del Mojave (con una temperatura non inferiore ai 50° e una sabbia che si infiltra da capo a piedi). In questa terra di nessuno, rurale e patriarcale, giunge, obbligata dalle circostanze, una fragile e romantica Lillian Gish, intrappolata in un melodramma che logora e sublima la sua purezza disorientata ma volitiva, fino al fatale e catartico happy ending.

A commento della complicatissima produzione sul set si espresse così la star protagonista:

Tutti portavano occhiali e bendane sulla faccia per non respirare la sabbia. Il vento è senza dubbio stata l’esperienza cinematografica più disagevole della mia vita.

Sinossi

Letty, aggraziata e delicata fanciulla della Virginia, senza famiglia, giunge in Texas per trasferirsi nella casa del cugino Beverly. Sua moglie Cora non accetta però la nuova arrivata che attira suo malgrado le attenzioni di tutti, anche del cugino stesso. La induce perciò a prendere marito, con un matrimonio mal combinato che prostra Letty nel disagio domestico e nella malinconia più profonda. L’arrivo del rude e molesto Roddy, antico spasimante, acutizza i tormenti della giovane donna, già turbata dal vento incessante del luogo.

Un colpo di scena fa sprofondare il dramma in tragedia, fino a un ravvedimento risolutore, in un finale imposto dalla M-G-M per non intaccare l’immagine innocente e docile di Lillian Gish: una soluzione di comodo condannata dalla stessa attrice, che, seppure con una nota di mesta insoddisfazione, non intacca però la forza espressiva e la presa emotiva dell’intera pellicola.

 

Pianeggianti cime tempestose

Se The Wind fosse un componimento poetico, sarebbe un armonioso sonetto petrarchesco con spasimi da Sturm und Drang, per la compostezza inquieta e lacrimevole di Lillian Gish e la mite, autunnale e strenua lotta contro una natura capricciosa, impetuosa e matrigna. La scenografia e l’ambiente qui sono parte imprescindibile della regia di Sjöström, come portatori di metafore che potenziano l’immagine filmica donando alla quintessenza dell’impalpabile (il vento) una plasticità tattile e potenziando il tessuto connotativo di fine introspezione psicologica.

Vento, sabbia, tornadi: traslitterazione simbolica del disadattamento silenzioso di Letty, del suo solitario senso di sradicamento, del suo rassegnato abbandono, dell’incomunicabilità già alle soglie della modernità. E Sjöström orchestra con maestria visiva dal fascino scandinavo questa compenetrazione tra significante e significato, dove ogni gesto e sguardo di Lillian Gish trova un preciso correlativo oggettivo nella messinscena, dove un particolare apre letture psicanalitiche, dove interno ed esterno rimano tra loro come in una ballata primottocentesca che la regia compone con inventiva assoluta nella varietà di registri (dalla pantomima al melodrammatico).

Amore e rabbia

Dietro lo sguardo della diva del muto non traspare solo languida dolcezza, carezzevole immaturità, acerba paura dell’ignoto, ma anche una sottile e fugace rabbia repressa, che il regista fa esplodere in un’impensabile ma necessaria deviazione finale del racconto; la sceneggiatura di Francis Marion del resto, tratta da un romanzo di Dorothy Scarborough, insabbia letteralmente sotto il buonismo lacrimevole da romanzo d’appendice la carica di violenza e sopraffazione di un’America machista e arcaica priva di sorellanza e di senso di autodeterminazione, che ben dialoga con una natura grezza e indomita.

In quello che potrebbe definirsi quasi un Kammerspiel en plein air, con questa concentrazione claustrofobica attratta e impaurita dalla soglia di casa come una porta verso l’horror vacui, Sjöström infonde quella coincidenza lirica e trascinante tra animo umano e asprezza della natura già declinata nella prima parte della sua carriera, poi accantonata negli ultimi anni registici, con l’eccezione di The Wind. In questo scenario western quanto mai rarefatto il regista inscena la degradazione dei sentimenti e i colpi di un destino avverso ma non invincibile con lampi di forza espressionista, con approdi al fantastico, con i fantasmi dell’inconscio (il cavallo dei venti del nord, che si materializza cupo e fumoso nel cielo plumbeo, che è poi figurazione della mente disturbata della protagonista).

La resilienza soffia nel vento

Nel finale una scena madre di puro climax che stringe il cuore è il vertice di un capolavoro conclamato della storia del cinema, che come molti virtuosismi di genialità non trovò l’accoglienza meritata alla sua uscita, ritardata di un anno nel 1928 per un altro ciclone appena registrato, quello dell’avvento del cinema parlato nel 1927. Proiettato con mezzi sonori d’accatto (ululati, latrati e canzoni melense), fu un insuccesso che decretò la parabola discendente di Sjöström, ma che oggi, al di là del prestigio di meriti evidenti, rivive in un’aura crepuscolare da dolcissimo canto del cigno.

Si offre, infatti, come un film sulla poetica della soglia verso l’ignoto che Letty/Gish, nel suo percorso di formazione femminile verso la maturità anche sessuale di adulta, imparerà ad accettare ed accogliere, come The Wind stesso ha saputo resistere alle sabbie del tempo e all’evoluzione fagocitante della tecnica, in un salto al di là del baratro del nuovo e rivoluzionario cinema sonoro.

Il restauro

Un restauro prestigioso e minuzioso quello riservato a The Wind, come dalle parole del curatore Dave Kahr:

Il restauro digitale del MoMA si basa su due copie 35mm acquisite dalla MGM negli anni Trenta. Sebbene fosse stato girato come un muto, il film fu distribuito con una colonna sonora ed effetti sonori sincronizzati, con un frame rate di 24 fps che questo restauro rispetta.

Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers

  • Anno: 1928
  • Durata: 72'
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Victor Sjöström