Una storia di cui abbiamo sentito parlare tutti almeno una volta nella vita, una storia che ogni giorno occupa i titoli delle testate giornalistiche e anima segmenti di cronaca al tg così tanto da renderci ormai anestetizzati al clamore della sua perversione.
5/3/0 è un cortometraggio che in 15 minuti sveglia la coscienza dello spettatore, ancorandolo alla ovvietà, lo fa soffrire proprio per la rassegnazione alla condanna di un destino già sancito.
La premessa
In tarda serata, una ragazza di appena quattordici anni utilizza il taxi di fronte a lei, numero 5-3-0, per andare a una festa di compleanno in una cittadina distante. L’autista si mostra tanto affabile quanto figura sinistra rendendo l’intera corsa inquietante. Alla festa, la protagonista vivrà attimi di disagio viscerale provocatole dal suo stesso fidanzato, e, in un tentativo di scampare all’orrore subito nella camera da letto di quella casa così estranea, così rumorosa e silente al contempo, l’adolescente si imbatterà nello stesso conducente incontrato nell’esordio del film. Che sancirà per sempre una piaga nelle sue memorie e sulla sua pelle…
Lo stupro
Violenza, abuso, molestia, aggressione: 5/3/0 si addiziona alla collezione di pellicole che hanno tentato – non sempre riuscendoci- di apportare un contributo cinematografico, facendosi portavoce di questi drammi che tardano a cessare. Forse è l’immediatezza del messaggio, spogliato di artefatti clamorosi a livello visivo, che permette a questo cortometraggio di divenire un nuovo vocabolo a se stante nell’enciclopedia cinematografica. Una sintesi cinefila degna di encomio.
Il regista, Danilo Stanimirović, con astuzia e una finezza emotiva palpabile, capovolge la struttura della storia così come siamo soliti consumarla. Il corto infatti, dà peso al prima piuttosto che all’atto stesso. Ogni silenzio, ogni battuta sgradevole, ogni sguardo che sfiora il corpo squarciandone l’animo occhiata dopo occhiata… tutto viene servito sul piatto e allo spettatore viene offerto esattamente quello che si aspetti che accada.

Quanto uno stupro può essere irreversibile? Quanto può essere evitabile o prevedibile?
Il regista e sceneggiatore tiene la narrazione tutta per sé e invita il pubblico ad abbandonare immagini di violenza traumatizzanti o soliloqui che contorcono lo stomaco per l’intensità del dolore raccontato e proiettato:
niente pornografia del dolore!
L’obiettivo chiaro dai primi secondi di regia, è quello di testimoniare, documentare l’irreversibilità alla quale il tempo è destinato. La componente visiva è schiacciata da una carica sentimentale che si nutre proprio della banalità, della ovvietà, del prevedibile. Le immagini trasudano realismo, una verosimiglianza così opposta al sensazionalismo al quale si è abituati che quasi fa sentire squallidi per l’anticipazione di scene di nudo o penetrazione illecite. 5/3/0 si spoglia di virtuosismi e non si nutre degli elementi primordiali di una storia di violenza, ovvero il sesso e la violenza stessa.
Una cornice asettica nella quale rendere indelebili le ferite di uno stupro
Non manca infatti una scena che illustra l’intimità violata della protagonista, ma non è quello il fulcro della narrazione. Piuttosto una sequenza che scandisce gli attimi di tensione provati per tutta la durata, un atto improvviso inflitto da una figura inaspettata nel cortometraggio.
L’uso espressivo del formato 4:3
L’intero flusso delle immagini è condensato nel formato 4:3. É evidente che questa scelta tecnica riflette la volontà di immergere lo spettatore in una dimensione psicologica chiusa, instabile e soffocata. L’immagine infatti rimane ristretta senza aprirsi mai, anche quando viene ripreso un orizzonte più esteso.

Il regista, Danilo Stanimirović, nel suo percorso accademico si è dedicato a cortometraggi nella sfera dei documentari e narrazioni fittizie. Il ché si palesa nella sua maestria di esplorazione di aspetti finzionali tramite il veicolo del documentario e viceversa. Il cortometraggio infatti è elaborato con un linguaggio dai toni realistici. Si direbbe un vero e proprio documentario. Sospiriamo insieme a Saška quando l’atmosfera si fa pesante, tacciamo quando il nostro NO sembra non avere alcuna risonanza, tratteniamo il respiro quando senza accorgercene arrendersi sembra l’unica alternativa concepibile. Seguiamo la protagonista così tanto da vicino da perdere l’orientamento e il confine tra finzione e realtà, tra lei e noi.
C’è una vera e propria evocazione della memoria di ognuno di noi, di un passato nostalgico collettivo e condiviso e in questo risiede l’inquietudine del corto. Del resto conosciamo fin troppo bene quella storia, dalla sua introduzione al suo finale.
Il film è in sé per sé un’assioma
La sua trama è lampante per sé e prevedibile. Perciò l’aspetto più arcaico della violenza non ha bisogno di esser dimostrata e purtroppo la verità di quello che succederà alla protagonista di 5/3/0 si ammette senza discussione né speranze ingenue.

Più volte si ricorre a riprese da specchi o finestrini. Questa tecnica, in maniera sottile, pur allontanando lo sguardo dello spettatore invita a una calda e intima partecipazione proprio perché vi è sullo schermo la rappresentazione di uno spazio emotivo più distante, un’intrusione, che fa percepire tutta l’impotenza in corpo. E riflettere perché ci rivediamo in quella ragazzina a cui la vita ruberà tantissimo. Cambia il nome, il colore dei capelli ma potremmo essere noi.
“Ragazzina, quanti anni hai?”
“14.”
“Sembri più grande.”
I dialoghi sono asciutti perché non c’è nulla da raccontare. Del taxista invece, quasi sempre in penombra, si coglie la silhouette e la voce prepotentemente amichevole che riempie il silenzio di quella corsa in auto. Non gli sono mai dedicate inquadrature esaustive, forse per indurci a comprendere che potrebbe essere chiunque, chiunque potrebbe essere artefice di quel male.
Il nemico e il pericolo non si palesano mai
Immagini di taxi uno vicino all’altro in un incrocio stradale o le riprese di un’altra donna che scende dallo stesso taxi di Saška arrivando a destinazione sana e salva… piccoli dettagli che tormentano la coscienza.
La grammatica stilistica del cortometraggio è ricca di questi espedienti che rendono l’ambientazione realistica.
Nulla è vorace, nulla è affrettato, il tempo sembra non scadere mai

Le lancette si riavvolgono, il tempo è scandito e misurato dalla tensione insita nella normalità della storia. Ciò che lo rende crudo è proprio il suo battito cardiaco, e seguire lentamente con la macchina da presa la protagonista. La narrazione non è priva di struttura, ma il suo senso convenzionale viene riedificato scegliendo di affidarsi alla semplicità.
Tutto oscilla tra la brutalità di quello che sappiamo succederà, di quello che viene suggerito, della linearità della storia, della verosimiglianza, dello spogliarsi da tattiche cinematografiche stravaganti che camuffino il tema per spettacolizzarlo.
La semplicità nella realizzazione della trama dà vita ad una sorta di effetto catartico che implode nella sofferenza di Saška, che diviene male comune.
Il dolore della protagonista potrebbe appartenere allo spettatore
“to all her unframed frames”
5/3/0 di Danilo Stanimirović è un braccio di ferro emotivo tra la consapevolezza del dramma che vivrà la protagonista e la fede in un epilogo diverso; un’ ammirevole compostezza del tutto arida della pornografia del dolore alla quale siamo abituati.
Proiettato in anteprima italiana al Festival Maremetraggio per la nuova edizione di ShorTS International Film Festival nella giornata del 3 luglio insieme ad una accurata selezione di cortometraggi provenienti da tutto il mondo. Scopri di più.