Si legge Pierre-Henri Gibert, si traduce intervistatore di maestri di cinema e fidati talenti. Marco Bellocchio, David Lynch, Olivier Assayas, Xavier Dolan, Michel Ocelot, Lars von Trier, Naomi Kawase: sono solo alcuni nomi che si sono raccontati di fronte alla telecamera di Gibert per L’image originelle, sviscerando traumi e ferite autobiografiche, illuminanti intuizioni, disavventure produttive agli esordi e l’evoluzione successiva della propria arte dopo l’iniziale ‘salto nel vuoto’.
In L’image originelle, con un format televisivo standard di ventisei minuti, ciascun auteur si confida a Gibert, si inabissa nell’inconfessabile nei primi approcci da principiante, nell’apprendistato formativo dove si intrecciano tentativi, ripensamenti, inesperienza, intraprendenza, genialità. Il nucleo in essere di una poetica che per molti di loro ha attraversato anche più di cinquant’anni di storia del cinema. Ma, soprattutto, come ha evidenziato Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, introducendo i due episodi da lui selezionati in quest’antologia di interviste, si declina un connubio felice tra televisione e cinema, una forma equilibrata e integrata di linguaggi, da esportare dalla Francia anche in Italia. Annuiscono in sala all’anteprima per il pubblico del Cinema Ritrovato 2024 sia Pierre-Henri Gibert che Marco Bellocchio, anche lui come noi primo spettatore dell’episodio che lo vede protagonista.
Quando la tv è cinema
Trasmesso in Francia da CINE+ Club, i due capitoli proiettati al festival hanno come soggetti interpellati Marco Bellocchio e David Lynch, figure riservate sulla propria creatività, introverse a proclamare le fonti della propria ispirazione o a svendere le finalità espressive di un’ idea e della sua progettazione. Eppure Gibert riesce a dialogare con loro con naturalezza e profondità, a far raccontare gli ostacoli e le traversie vissute nei loro sensazionali primi film, I pugni in tasca ed Eraserhead. I due episodi dell’Image originelle ci inoltrano alle soglie di un segreto, quello della produzione di due film scomodi, inquietanti, viscerali, profondi, ma anche ci fanno risalire alla fonte embrionale di due immaginari che si sono dipanati in filmografie personalissime e uniche che hanno reinventato, scosso, emozionato.
L’image originelle – Marco Bellocchio
I pugni in tasca sono un manifesto involontario di tutto il cinema di Bellocchio, la chiave di lettura di un percorso filmico dove la bellezza della forma estrae dai suoi personaggi tematiche e sensibilità perturbanti, che ci pone di fronte a noi stessi come in uno specchio distorto ma infallibile. La malattia mentale fino alla dissociazione, l’alienazione famigliare, il disagio sociale sono il perimetro di disadattamento e di lotta dei personaggi di Bellocchio, scrutati con un cinepresa libera, spezzata, lucida, ma pronta a sconfinare nel fantastico, nel surreale.
Come lo definisce Gibert, un cinema che da I pugni in tasca diventerà sempre più politico, militante, psicologicamente potente, fino ad accogliere i maiuscoli e ambigui protagonisti della Storia italiana più fosca. L’imprinting del film d’esordio è per Bellocchio il nucleo famigliare, la crisi interiore del fratello Camillo, magnificamente ritratto in Marx può aspettare, ma anche gli anni della militanza in un gruppo marxista-leninista. Paradossalmente e ragionevolmente insieme, come da un genitore da cui ci si deve emancipare dopo la crescita, Bellocchio conclude affermando su I pugni in tasca: “con i film successivi mi sono finalmente liberato del peso di quel film”.
L’image originelle – David Lynch
L’episodio dedicato al cineasta e artista statunitense, sperimentatore rivoluzionario tra film, televisione, pittura, musica e social media, si distingue per l’affettuosa ironia e per un gusto genuino e fanciullesco per la provocazione. Esordisce infatti Lynch:
Ho sempre desiderato vivere in un mondo come quello di ‘Eraserhead’.
Si ricostruiscono le traversie produttive molto artigianali, con una troupe a basso budget, gli imprevisti distributivi, anche fortunati, le intermittenze nella tenuta della vita privata, narrati da un Lynch quanto mai iconico, nel suo atelier disadorno, con immancabile tazza di caffè e sigaretta. Qui Gibert si appassiona e si diverte a far dialogare e a incastrare fotogrammi di un immaginario stravagante, straniante, nebuloso e coerente, che spazia dai primi corti come The Grandmother all’epocale Mullholland Drive fino alla terza stagione di Twin Peaks del 2017.
La scintilla dell’universo capovolto, allucinato, metafisico e quasi insondabile di questo regista-demiurgo sta proprio lì, in Eraserhead, opera inclassificabile ed eccezionale che divenne nel 1977 un cult nei circuiti di cinema di mezzanotte. Gli slittamenti dell’ordinario, le dilatazioni temporali, la decomposizione dell’organico, la surrealtà, la non nascita, l’orrore del quotidiano risiedono già lì.
Tra i numerosi estimatori della pellicola Lynch cita un certo Stanley Kubrick, che confidò ad alcuni collaboratori come Eraserhead fosse il suo film preferito. E qui subentra una battuta irresistibile di Lynch, da scoprire e assaporare, lanciando un appello perché L’Image originelle sia distribuito presto in Italia.