Il mio negozio, caldo, maledetto, snervante caldo e “Passion of lovers” dei Bauhaus come colonna sonora.
Rompo il mio lungo silenzio dovuto a problemi informatici derivanti dal mio incurabile luddismo con un titolino interessante.
Anzitutto non posso che esprimere una sana, tronfia soddisfazione nel constatare che quando bisogna mettere le mani su qualcosa di estremo il grande capo, dopo tutti questi anni, pensa sempre a me.
Insomma, a parlare dell’ultimo film sulla condizione dei pinguini omosessuali intrappolati in relazioni amorose psicofoniche con nani del Gibuti sono buoni tutti.
In fondo si sa, la psicofonia fa tendenza almeno dal secondo dopoguerra.
Ma quando dobbiamo andare a ravanare su un film sadomaso brasiliano con implicazioni estetiche che pescano nella più spinta semantica cronenberghiana degli anni ‘80 (giuro che nel film c’è davvero tutto questo!), bisogna avere una quantità industriale di pelo sullo stomaco.
E sostanzialmente fregarsene di essere alla moda, di essere il critico che scoprirà il nuovo Antonioni e più in generale di piacere alla gente che piace.
Ed essendo uno che se ne frega di queste e tante altre cose e da anni parla, anzi urla, di cinema per puro amore dell’arte, direi che sono la persona giusta per parlarvi di Custom, recente e visionaria creazione del regista Tiago Teixeira.
Custom: i pro e i contro
Dunque, rimane il problema se parlare prima delle luci o delle ombre di questo film e visto che chi mi conosce sa che il caldo mi rende sempre più cattivo di quanto non lo sia abitualmente (e lo sono molto), comincerò con il togliermi qualche sassolino dagli anfibi parlando per prima cosa delle cose che non mi sono andate giù.
Per carità, difetti esistenziali nel contenuto non ce ne sono, ma la confezione con cui questo film mi è stato presentato lascia molto a desiderare e quindi parliamo di cosa non va in questa.
Prima cosa: la vecchia pubblicità a psicologia inversa è una cosa decisamente abusata e non funziona più tanto bene.
Quindi mettere una scritta con caratteri evidenziati “attenzione contenuti espliciti” o giù di lì, sotto il lettore per la visione stampa (quindi privata) può essere una buona trovata in un paese bigotto come gli Stati Uniti. Ma in posti come l’Italia, dove ci sono più tette e culi in 40 secondi di spot pubblicitario del supermercato che non in 1 ora e 16 minuti di film, risulta decisamente naïf.
Seconda cosa che proprio non mi è andata giù. Quando proponi la visione di un film ad una testata specializzata, sarebbe un graditissimo gesto di
cortesia (oltre che di calibrato marketing) proporlo almeno con i sottotitoli nella lingua madre della suddetta testata specializzata.
In alternativa, se proprio non vogliamo essere furbescamente gentili, dovremmo quantomeno sincerarci che i sottotitoli in inglese siano presenti su tutto il lungometraggio e non si interrompano dopo 13 minuti per ricomparire magicamente 10 minuti prima della fine.
Perché potrebbe capitarvi un bastardo psicopatico come il sottoscritto che pur conoscendolo non ama affatto l’inglese e visto che è psicopatico e quindi anche paranoico, potrebbe scambiare quella che probabilmente è una veniale (ma manco troppo) forma di sciatteria, per un complotto neocoloniale teso ad imporgli l’imperialistica fatica di una traduzione all’impronta per tutto il film!
Ecco, adesso mi sento molto meglio e possiamo occuparci nello specifico di Custom.
La sinossi è alquanto semplice.
Una coppia dalle inclinazioni artistiche ma a corto di soldi, fa negli anni ‘80/’90 (o almeno suppongo siano gli anni ‘80/’90, vista la tecnologia presente nella storia) quello che oggi fanno tanti squattrinati erotomani su Pornhub filmandosi e condividendo il girato delle loro prestazioni a pagamento.
Solo che, essendo la coppia bruciata dal sacro fuoco dell’arte, i filmini sono di qualità e per clienti selezionati che vogliono rimanere anonimi.
Ma nell’abisso di eros sono molte le creature pericolose che si nascondono nel dubbio e la nostra coppia finisce attenzionata proprio da una delle peggiori.
Tramite dei segnali video poi, il confine tra realtà e allucinazione diventa sempre più labile. Se ne renderanno conto troppo tardi, sono rimasti incastrati in un gioco rituale che esige pesanti tributi.
Se la storia di per sé non è nulla di nuovo, però devo ammettere che Teixeira è un maestro nel creare raffinati giochi d’atmosfera.
Labirinti di ombre rarefatte, rese consistenti da un copioso corpus di dottissime citazioni. Velate citazioni che vanno a pescare in un immaginario in cui aleggia l’ombra di David Cronenberg in tutti i suoi molteplici avatar.
Dagli horror corporali come Videodrome, dove si sviscera il rapporto tra i mutamenti della sfera umana a stretto contatto di una tecnologia sempre più pervasiva e invasiva dei recessi più intimi dell’esistente, fino ai thriller introspettivi in cui la fanno da padrone aspetti relazionali come solitudine e incomunicabilità.
Ma come un preraffaelita non si limita ad una banale imitazione di maniera del Sanzio. Così il regista non copia il suo ispiratore, ma ne rielabora in maniera personale lo spirito creando un nuovo personalissimo immaginario.
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L’incubo erotico in Custom
Il film ha certamente aspetti morbosi. Eppure riesce ad essere sempre incredibilmente delicato nel soffermarsi sul momento senza mai rompere il climax narrativo. Climax, che come un incubo erotico sprofonda in una fotografia sempre più cupa ma mai volgare.
Azzeccata la scelta degli attori, che richiamano a topos rétro.
Non so quanto volutamente, ma l’effetto complessivo è gradevole.
Il sonoro e le atmosfere underground poi mi riportano agli ambienti che ero uso frequentare in gioventù. Per quel che mi riguarda ottengono un potente effetto nostalgia su un target di pubblico tra i 40 e i 50 anni con un retroterra culturale alternativo.
Tipologie umane alle quali guarda caso sia io che lui apparteniamo.
Custom è un film da vedere il perfetta solitudine. Così da godere delle raffinate composizioni di immagini e perdersi in elucubrazioni impegnative senza turbare chi ci sta vicino.
Colonna sonora “Non Stop Violence” degli Apoptygma Berzerk.