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‘Animali randagi’ intervista con la regista Maria Tilli

Esordio al lungometraggio di finzione per la regista che porta sullo schermo un particolare road movie

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Presentato in concorso nella sezione Italia Film Fest 2024, Nuovo cinema italiano alla 15esima edizione del Bif&st-Bari International Film & Tv Festival, Animali randagi è l’esordio alla regia di Maria Tilli. Il film, una produzione Eagle Original Content con Rai Cinema prodotto da Giuseppe Saccà e Stefano Basso con il contributo economico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo e con il sostegno di Friuli-Venezia Giulia Film Commission, è al cinema dal 27 giugno con Adler Entertainment.

La storia raccontata da Maria Tilli vede due giovani protagonisti, Luca e Toni, che vivono in un piccolo paese di provincia in cui non succede mai niente. Sono sempre stati amici e lavorano anche insieme come paramedici. Un giorno viene chiesto loro di trasportare un paziente fuori dall’Italia perché ha bisogno di cure speciali. Si chiama Emir, deve tornare in Serbia e ha chiesto a Maria, la figlia che non vede da diversi anni, di accompagnarlo. La verità è che l’uomo vorrebbe recuperare il rapporto con lei prima che sia troppo tardi.

Per comprendere meglio il film abbiamo fatto alcune domande alla regista Maria Tilli.

– Immagine di copertina gentilmente concessa da ufficio stampa Boom PR –

maria tilli

Immagine gentilmente concessa da ufficio stampa Boom PR

Maria Tilli e il suo Animali randagi

Com’è nata l’idea di questo film? Parli del desiderio di raccontare la vita di due giovani della tua età che sono ormai assuefatti da quello che succede (o non succede) intorno a loro e che pensano di avere una via di fuga dalla loro monotonia. Qui naturalmente siamo agli estremi, ma è effettivamente quello che succede a moltissimi giovani d’oggi che non riescono ad andare oltre la propria routine. In questo sono stati molto bravi i due attori protagonisti, Giacomo Ferrara e Andrea Lattanzi. Non so che indicazioni hai dato loro, ma anche il modo di porsi e di parlare (un po’ strascicato) alimenta questo senso di apatia che aleggia in tutto il film e che trova dei picchi nei momenti più drammatici.

Premetto che io provengo da un piccolo paese dell’Abruzzo di circa seimila abitanti e sono andata via di casa a 17 anni per studiare, come fanno tanti ragazzi. Di conseguenza il tipo di amicizie che ho coltivato fuori erano completamente diverse da quelle che avrei potuto avere in un paese dove di fatto non sono mai uscita. Intorno a quella che potrei definire un’età più adulta mi sono riavvicinata a quel mondo lì e a colpirmi è stata l’umanità dei ragazzi di provincia. Ho notato che era molto vicina a me, ma non l’avevo mai incontrata veramente.

Quindi molto nasce da qui, da un riallacciarmi a un mondo al quale appartengo. Anche se ci tengo a sottolineare che non sono una cittadina, non mi ci sento.

Giacomo e Andrea hanno fatto un lavoro molto profondo in questo senso. Sono anche venuti diverse volte nel mio paesino. Giacomo in particolare è di un paese vicino al mio (io già in fase di scrittura avevo pensato a lui, come attore, perché anche nei tratti, nella gestualità si porta dietro una certa umanità che ricercavo) e tutte le estati torna lì ad aiutare i genitori che hanno un ristorante. Forse proprio per questo suo lato ci siamo trovati. Per entrambi era importante non allontanarsi dalla realtà. E forse questa cosa un po’ si vede nel film. Si può dire che è nato un po’ da qua, da una sorta di sentimento di amore per quelle realtà da cui veniamo e dalla voglia di raccontarle con tenerezza, senza dare un giudizio.

Immagine gentilmente concessa da ufficio stampa Boom PR

L’inizio del film

Vorrei riflettere con te sull’inizio del film. Se il tono generale di Animali randagi è quello drammatico, all’inizio la sensazione è quella di essere di fronte a un film che, pur essendo un dramma, misto a road movie e, in parte anche a western, può anche avere dei risvolti comici. Mi viene in mente l’escamotage di mostrare l’immagine attraverso la lente di vetro arancione o ancora la donna immobile in mezzo alla strada che aspetta l’arrivo dell’ambulanza e che, senza dire nulla, appena li vede sopraggiungere si incammina in modo che il furgone possa seguirla a passo d’uomo. Se da una parte ci sono questi elementi comici, però, a pesare su tutta la vicenda, come una sorta di spada di Damocle, c’è l’idea della morte con la quale i due (e non solo) devono fare i conti. Si può dire che è anche un modo per non appesantire troppo la storia?

La prima parte racconta un po’ tutte quelle ambientazioni e quel tipo di provincia contadina più che industriale. Non è una provincia dove la gente va in fabbrica: ci sono le leggi arcaiche del mondo contadino e la contemporaneità del mondo di oggi. Lì convivono queste due anime che rendono il tutto un po’ sospeso. In più per me, adesso che rivedo il film con occhi distaccati, è stato un modo che ho avuto per parlare di com’è concepita la morte in quelle zone, vista come qualcosa di naturale.

L’intento era mostrare un posto dove non c’è mai emergenza. L’emergenza non c’è perché si è fatto pace con la morte. E qual è l’emergenza più grande nella vita? Scongiurare la morte.

Per quanto riguarda il mondo del grottesco, avendo vissuto molto con i miei nonni, per me è una lente attraverso cui guardare quelle persone. Mi ricordo per esempio una scena che richiama la mia infanzia: tra delle persone che giocano a morra al tavolo c’è un uomo al quale manca un dito. Quindi sono cresciuta in queste atmosfere e ci tenevo a riportare un pezzettino di quel mondo all’inizio della narrazione, che poi prende un’altra piega.

Non conoscendo questo vissuto avevo letto questa scelta in un altro modo. Questa tua scelta, di non scavare a fondo nel tema centrale del film (l’eutanasia), secondo me, è un aspetto che si può considerare positivo perché, oltre a non essere una tematica facile, c’è da considerare che vediamo la storia dal punto di vista dei due ragazzi, quindi anche noi ne siamo in qualche modo estranei.

Il mio non è un film tematico, ma un film di relazioni. Non voleva essere un film sull’eutanasia, ma voleva raccontare dei punti di vista su un uomo che aveva paura della morte. Siamo abituati a raccontare l’eutanasia raccontando, per esempio, di un tetraplegico o un paraplegico che non può fare più niente tanto che noi da fuori (che non siamo nella sua situazione) lo guardiamo e gli concediamo il diritto di dire “sì, forse voglio morire”. Ed è devastante, soprattutto considerando che oggi la scienza non mente.

Quella che ho voluto mostrare è una provocazione, quello che non si guarda mai è la paura della morte che si ha anche prima di cominciare lo stadio della malattia. Emir all’inizio del film tossisce, ma è ancora in grado di camminare e muoversi e lui ha paura di morire, tanto che lo dice alla figlia. È molto umano il punto di vista con cui abbiamo cercato di raccontare questa cosa.

Immagine gentilmente concessa da ufficio stampa Boom PR

Il rapporto tra i protagonisti e con lo spazio nel film di Maria Tilli

Penso che questa scelta sia legata al (e con il) rapporto tra Luca e Toni. Perché anche il rapporto tra loro è umano in questo senso; è un po’ come quello con la malattia e la morte. Sono amici da sempre, si conoscono e si vogliono bene, si fidano l’uno dell’altro, ma non si rivelano lo scopo del viaggio. Si influenzano a vicenda.

Sì, il viaggio in ambulanza è un po’ una capsula fuori dal tempo e dallo spazio. Non ci interessava raccontare come si erano conosciuti, ci interessava che si vedesse il loro rapporto a prescindere dalle informazioni date allo spettatore e che si capisse questa forte interdipendenza dei due che è quasi un rapporto tossico e si avvicina quasi a un rapporto d’amore. Secondo me non spiegare come si sono conosciuti e cosa hanno fatto ha rafforzato questa sensazione di legame. E un po’ alla fine del film se c’è una cosa che lo spettatore non sa se cambierà è il loro rapporto.

Mi piace la metafora della capsula per descrivere l’ambulanza. E infatti vorrei chiederti qualcosa relativamente ai luoghi e agli spazi, o meglio al luogo perché tutto si svolge all’interno di questa ambulanza. Non ci interessa sapere il nome del paese da cui provengono o quello in cui andranno, ma diventa fondamentale l’ambulanza come luogo che li ospita e li accompagna. Un luogo che rappresenta da una parte la routine e dall’altra la grande novità. Tutti si trovano lì dentro, si parlano, si confidano, si conoscono.

Diventa una lavatrice di emozioni. Tutti scoprono tutte queste cose all’interno dell’ambulanza. Ed è stato molto difficile realizzarle. Tante scene dove non c’erano tutti e quattro le abbiamo comunque girate con tutti e quattro. Tutti sapevano sempre cosa succedeva anche quando non erano direttamente in scena.

Questo ha fatto sì che il viaggio della storia e della troupe si siano fusi a un certo punto ed è stato molto faticoso a livello fisico ed emotivo. Non ci sono state scene false e questo viene un po’ dalla mia forte vena documentaristica e di voler vedere cosa succede davvero. Poi c’è da dire che gli attori sono comunque esseri umani. E alla fine è diventata una capsula per tutti.

Colori e fotografia

Rimanendo sul livello più tecnico ti vorrei chiedere una cosa sui colori. Un film che è quasi decolorato, come a sottolineare anche con i colori l’apatia generale del film e dei due personaggi. Oltre a non confondere lo spettatore, lo aiutano a entrare nel modo di vedere il mondo di Luca e Toni. Era il tuo intento?

La fotografia per me è un elemento molto importante, mi piace girare le scene personalmente quando posso. Diverse qui le ho girate io d’accordo con il direttore della fotografia, Ilya Sapeha.

Diciamo che la fotografia un po’ è impolverata, secca, ma doveva essere qualcosa che restituisse l’arido, quel deserto sia paesaggistico che emotivo. Perché alla fine i personaggi e i paesaggi sono tutti disorientati, non hanno un’oasi dove darsi ristoro. Questa direzione cromatica secca ci ha aiutato in questa direzione. E poi è stata desaturata perché emerge la materia degli oggetti, si avvicina all’idea che dava la pellicola, del non patinato. Siamo andati in una direzione opposta al patinato per raccontare questa storia.

Immagine gentilmente concessa da ufficio stampa Boom PR

Il titolo del film

Non posso non chiederti qualcosa sul titolo. A un certo punto c’è addirittura una frase per spiegare meglio il significato: Avete vissuto tanto come animali domestici che ora non avete idea di cosa fare. In effetti è la perfetta sintesi del film con i due che accettano questo lavoro solo perché sperano che possa essere qualcosa di nuovo rispetto alla loro monotonia, ma poi una volta dentro non hanno il coraggio di osare. Si può dire che Animali randagi è anche una riflessione sull’approccio dei giovani di oggi che hanno paura di mettersi in gioco completamente e totalmente?

Un po’ sì, ma devo dire che questa cosa di uscire dalla confort zone appartiene anche alla generazione dopo. Se c’è una differenza tra la mia generazione e quella di coloro che hanno 20 anni è un’idea di futuro. Loro la stanno richiedendo con forza. Magari è un futuro brutto, ma hanno l’idea che esiste. La generazione dei millennial, invece, è come se non avesse avuto l’idea del futuro, come se avessimo vissuto giorno per giorno. La vita per questi personaggi è come il criceto sulla ruota. Non hanno niente di randagio perché non è trasgredendo alle regole del mondo in cui vivevano i nonni che li rende randagi; è solo un’illusione.

Infatti è più una provocazione. Non sono animali randagi.

Secondo me manca un pezzo intermedio di ragazzi con sogni intermedi ma validi e con sogni che non riguardino solo loro stessi. Dovremmo avere dei sogni che riguardino un po’ più anche gli altri per vivere in una comunità al meglio.

Richiami e citazioni per Maria Tilli

Animali randagi è un film di difficile definizione, anche perché, come detto, è la fusione di più generi ed elementi. Ha tanto in comune con tanti altri film: è un film on the road, di formazione, con due amici protagonisti. Però è diverso dagli altri. Hai avuto dei riferimenti?

Il road movie dà inevitabilmente dei paletti. In generale mi piacciono film fatti di personaggi, più che di narrazione. Ho amato molto i film di Cassavetes, i film degli anni Settanta americani, come il primo Scorsese (Quel pomeriggio di un giorno da cane), quei film dove si sta tanto addosso ai personaggi, magari con una sola location.

Sicuramente ci sono stati dei riferimenti a tutto questo. Mi piacciono film che hanno un tono che non è ben definito, cercando di ricalcare i toni della vita che sono molto più sfumati. Poi sono dell’idea che i film d’esordio debbano essere un po’ un esperimento; ed è una cosa che un po’ rivendico.

Progetti futuri per Maria Tilli?

Altri film di finzione, anche se è un momento difficile per la sala. Ma soprattutto anche altri documentari.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

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Animali randagi

  • Anno: 2024
  • Distribuzione: Adler Entertainment
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Maria Tilli
  • Data di uscita: 27-June-2024