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Conversation

‘Anna’ Conversazione con Marco Amenta

Marco Amenta racconta la storia di una donna fantastica contaminando la realtà con il mito di una terra ancestrale. Di Anna abbiamo parlato con Marco Amenta

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Presentato in anteprima alle Giornate degli Autori nella scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Anna di Marco Amenta, arriva nelle sale distribuito da Fandango.

Anna di Marco Amenta

La prima sequenza, quella in cui Anna si lascia travolgere dal ritmo della musica da discoteca, è esemplare nell’introdurre la storia del personaggio. Allo stesso modo in cui la gente mistifica il modo di vivere di Anna così il film nelle battute iniziali restituisce un’immagine della protagonista lontana dalla realtà.

Sì, l’idea era di spiazzare lo spettatore raccontando le contraddizioni del personaggio che sono quelle tipiche dell’essere umano e che per fortuna il cinema moderno riesce a raccontare. D’altronde il pubblico oggi ama una rappresentazione complessa dell’umano, lontana da un certo buonismo e al contrario propensa a portare alla luce conflitti e oscurità. Di Anna non volevo proporre solo gli aspetti arcaici della sua vita di pastora, ma anche il suo essere una ragazza moderna, “pop”. Accanto al suo lato più distruttivo c’è questa bellezza sensuale e selvaggia che non è in contraddizione con il resto della sua personalità.

Uno scarto tra prima e dopo, che si verifica anche a livello visivo, perché la versione psichedelica della realtà prodotta dalle luci stroboscopiche sarà presto sostituita da una rappresentazione opposta, fatta di luci naturali destinate a entrare dentro l’obiettivo della mdp con la stessa libertà che scandisce l’esistenza della protagonista.

Hai detto tutto tu per cui non aggiungerei altro.

La prima sequenza

In realtà la prima sequenza contiene più livelli di lettura. Quello di cui abbiamo parlato è relativo al primo impatto, a ciò che il pubblico percepisce a livello istintivo. In realtà se si guarda con più attenzione anche la scena in questione presenta segni di continuità con ciò che segue. 

Una cosa del genere accade anche a livello sonoro perchè dai rumori assordanti della discoteca si passa al silenzio della notte provocando una rottura sensoriale che per me aveva anche lo scopo di scuotere lo spettatore offrendogli qualcosa di inaspettato. Rumori come quello dei fari della luce presenti nel cantiere agiscono sullo spettatore in maniera inconscia procurandogli un fastidio che rimanda a quello di Anna nei confronti degli operai. Questo succede perché il film è girato come fossimo dentro la sua testa.

Di grande importanza per capire il carattere della protagonista è anche il contrasto di senso tra l’amplesso con lo sconosciuto alla fine della scena iniziale e l’immagine di Anna con il fucile in mano nelle sequenza seguente. Se nella prima, complice anche la tipologia dell’atto sessuale, l’immagine è quella di una persona che ama essere dominata, nella seconda il senso è opposto, perché Anna appare padrona del suo destino e vogliosa di controllare la situazione. 

Sì, è un po’ come il dottor Jekyll e Mr. Hyde, con la sua parte autodistruttiva, quella che accetta di essere dominata, destinata a convivere con l’altra, capace di reagire ai propri limiti. In questo senso le due scene sono collegate.

La presentazione di Anna di Marco Amenta

Se vuoi il fatto di presentarci Anna di notte, rendendo meno netta la visione della sua figura e ciò che la riguarda, in qualche maniera, rimanda al fatto che la protagonista, e con lei il film, nasconde agli altri e allo spettatore il segreto della sua storia. 

Anche filmarla senza far capire dove si trova va nella direzione che hai appena sottolineato, lasciando poi che la verità trapeli un poco alla volta. Inoltre l’astrattezza dell’ambientazione mi serve per far sentire allo spettatore come Anna viva in una dimensione tutta sua, diversa da quella delle persone con cui viene a contatto.

La prima sequenza racconta molto della protagonista. Nella discoteca la vediamo stordirsi come se volesse dimenticarsi di sé. Cosa che poi si verifica e che è collegata al dolore del suo passato.  

È un malessere da cui non riesce a liberarsi e che la rende simile a un animale ferito. Da un lato cerca di dimenticare il passato, dall’altro non fa che alimentare la sua parte di sé più distruttiva.

A proposito di azioni contrapposte, nella scena iniziale alla fuga dalla realtà provocata da quella danza ipnotica si oppone un improvviso ritorno alla realtà rappresentato dalla cruda carnalità dell’amplesso. Si tratta di due movimenti – la fuga e il ritorno – che incontriamo spesso nel corso della storia. 

Assolutamente sì, sembri quasi uno psicologo per il modo in cui riesci a cogliere gli snodi della storia. Si tratta in effetti di una dialettica che attraversa l’intero film.

Per come la presenti, immersa anima e corpo nel paesaggio, spesso in silenzio e con gli occhi chiusi come per entrare in simbiosi con la natura circostante, Anna ci appare come una specie di Genius Loci. 

Ti posso dire che molte cose sono entrate nel film a livello inconscio. Nel lavoro di un regista non tutto è pianificato. Quando scegli le inquadrature o dirigi gli attori a concorrere al risultato finale sono studi e riflessioni che fanno parte di te e che magari usi senza rendertene conto. In questo caso a posteriori quello che dici è vero.

Lo spazio

Nel film emerge in maniera molto forte il rapporto simbiotico tra Anna e lo spazio in cui vive al punto che la violenza sul corpo della ragazza finisce per corrispondere a quella subita dalla terra a opera di gru e scavatrici.

In questo caso si tratta di una scelta conscia e voluta. Anna reagisce all’invasione del proprio spazio come se fosse stata violata una seconda volta, quindi diciamo che il punto di vista sulla storia non è ideologica alla maniera di Greta Thunberg, ma fa riferimento a qualcosa di più fisico e ancestrale. Più i lavori del cantiere avanzano, maggiore è il dolore che colpisce il ventre di Anna.

Il rapporto tra Anna e il gregge nel film di Marco Amenta

Dello stesso tenore è il modo in cui Anna si prende cura del suo gregge. Parliamo di una maniera che va oltre le pratiche connesse con il suo lavoro per diventare il modo con cui Anna espia il senso di colpa per non essere riuscita a salvare il suo bambino. L’ostinazione con cui Anna rifiuta di cedere la terra nonostante le laute offerte di denaro non è una semplice presa di posizione, ma risponde a un motivo più profondo.  

Assolutamente sì, la protezione delle capre, così come quella nei confronti dell’albero, diventa il modo per espiare il senso di colpa che la perseguita. In questo senso la matrice ideologica viene meno per lasciare il posto a quella esistenziale e mi fa piacere che tu l’abbia colta perché, pur sottile, è discriminante rispetto al modo di interpretare la storia.

Te l’ho chiesto perché secondo me Anna va oltre la militanza ideologica di Ken Loach e alla lotta proletaria. Non dico che tale aspetto non ci sia anche nel tuo film, ma questo è secondario rispetto alla matrice esistenziale del dramma.  

Con tutta l’ammirazione che ho nei suoi confronti, il riferimento a Ken Loach più volte venuto fuori nel corso delle proiezioni con il pubblico non è esatto al cento per cento. Anna procede in maniera più viscerale che ideologica perché nella lotta contro il nemico la protagonista non tira mai in ballo principi politici o ideologici, ma procede guidata dall’istinto. Anna è in perenne battaglia con la sua psiche e con il suo modo di essere donna.

Anna e la terra

Anna incarna la terra madre.

Assolutamente, infatti reagisce attraverso l’istinto e non la ragione. Non c’è nulla di razionale nelle sue azioni. Per lei la terra è un bene inalienabile e per questo non deve essere distrutta. Tutto il resto, comprese le ragioni politiche e sociali, viene dopo. Il pubblico non lo percepisce in maniera così razionale come hai fatto tu, lo sente invece in maniera viscerale: percepisce che c’è qualcosa di più profondo che un poco alla volta si arriva a capire.

E anche le cosiddette ragioni secondarie non sono da meno perché, per come è raccontato, la violenza del capitalismo è qualcosa che coincide con il maschile. 

Esatto. Mi rendo conto che si tratta di un’associazione quasi azzardata, ma mi piace difenderla: penso che esista una sorta di similitudine tra il maschilismo che le ha causato dolore e quello che torna a tormentarla violando la terra in cui abita.

Il rapporto tra le sequenze di Anna di Marco Amenta

Anna è composto da sequenze che dialogano tra di loro. Tra queste ho scelto quella in cui vediamo la protagonista immergersi nell’acqua dopo essere quasi scomparsa all’interno della flora locale. L’inquadratura che c’è la mostra dall’alto, irrompe in maniera disarmonica rispetto all’andamento delle altre rivelando la presenza di un terzo occhio, presagio del dramma che di lì a poco sta per scatenarsi. Nel finale riproponi la stessa sequenza, invertendone i punti di vista, con Anna che ha smesso di essere oggetto di osservazione. In questo caso infatti è lei a rivolgersi verso il punto da cui prima veniva guardata, con la struttura architettonica oramai abbandonata che segnala la fine della lotta e la riacquisita libertà della donna. 

Mi viene difficile aggiungere altro talmente è precisa la tua osservazione! Chiaramente nella prima delle due sequenze volevo anticipare quello che stava per accadere facendo presagire la presenza del corpo estraneo, quello che poi si manifesterà con le fascette rosse messe dal “nemico” per segnalare la sua presenza.

Peraltro nell’ultima sequenza, quella in cui Anna torna a immergersi nel mare, c’è un frammento di natura psichica in cui sembra di vedere il braccio di un bambino che si protende verso di lei. È come se l’aver salvato la terra dalle mire della società edilizia corrispondesse a essersi riappacificata con il motivo del dolore che la perseguitava. 

Parliamo di un tema fondamentale del film e quello che dici fa parte delle cose che vi sono entrate in maniera inconscia, ma che discendono naturalmente dal pensiero che vi è dietro. Il rapporto di Anna con la maternità è fortissimo e se lo porta dietro lungo tutta la storia. A quel punto l’acqua può benissimo rappresentare la placenta, per cui il braccio a cui ti riferivi può tranquillamente essere quello del bambino che sta nascendo.

Dal documentario

La tua esperienza nel documentario si vede nel modo in cui usi la mdp. Peraltro la libertà di movimento della macchina a spalla corrisponde in maniera perfetta all’inquietudine della protagonista e all’impossibilità di limitarne il raggio d’azione. 

Con l’operatore abbiamo fatto tante prove per cui ciò che sembra frutto di improvvisazione in realtà non lo è. Come nel documentario volevamo dare l’idea di essere in ritardo rispetto ai movimenti del personaggio trasmettendo la sensazione di non sapere cosa avesse in testa. A questo principio si collegano eventuali immagini fuori fuoco, ma anche la volontà di stare addosso al personaggio per replicarne il respiro: con la mdp che diventa nervosa o calma a secondo dell’umore di Anna. Prima del cinema facevo il fotoreporter (anche di guerra) per cui sono abituato a catturare la realtà senza fare cogliere la mia presenza. Gli attori hanno potuto lavorare tanto all’interno delle location e questo ha contribuito ad aumentare la sensazione di libertà che trasmettono muovendosi nello spazio. I lunghi piani sequenza hanno permesso loro di dare continuità all’azione.

Una delle scene più belle ed efficaci è quella relativa all’arrivo degli operai. Un evento che riproduci dal punto di vista sensoriale più che da quello narrativo nell’intento di restituire lo shock subito da Anna. Si tratta di una sequenza molto frammentata in cui gli invasori sono delle ombre che appaiono e compaiono. Tanto Anna è carnale, tanto gli invasori sono fantasmatici. Senza dimenticare che a restituire il trauma dell’invasione concorre anche la diversità della messa in scena. 

Prima di quell’evento veniamo dalla calma totale, dal silenzio e dal canto delle cicale, così per enfatizzare quel cambiamento ho pensato fosse necessario un taglio visivo diverso. Nell’ambito delle immagini che raccontano l’invasione sono particolarmente affezionato a quella in cui lei viene imprigionata nelle griglie arancioni. In quel momento Anna è davvero un animale in gabbia e quelle griglie diventano la metafora della sua prigione.

Richiami

A un certo punto, quando siamo a più di metà del film c’è un’inquadratura di Anna in primo piano. Immersa nel silenzio del paesaggio, con il vento che le muove i capelli scarmigliati, la sua presenza sembra evocare una figura mitologica e in particolare un Erinni.

Da siciliano sono molto legato a figure mitologiche e della tragedia greca (come Antigone) che erano evocate anche nel mio primo documentario. I racconti della Sicilia ne sono pieni per cui non ho fatto fatica a estendere tale contesto alla Sardegna immaginandola altrettanto popolata da queste figure leggendarie. Anche nel caso in questione, come ti dicevo prima, non si tratta di citazioni programmatiche, ma di qualcosa che emerge da ciò che conosco. Del resto il rapporto tra Anna e il vecchio Efisio rievoca quei contrasti tra padre e figlio presenti nelle tragedie shakespeariane che sono un’altra mia grande passione. Senza dimenticare che venendo dalla fotografia mi servo delle immagini per trasmettere i non detti dei personaggi e questo è il caso del primo piano di cui mi chiedevi nella domanda.

L’attrice di Anna di Marco Amenta

La ruvidezza di Anna è in realtà una maschera per proteggere le sue fragilità dalle cattiverie del mondo. In questo senso Rose Aste è brava a farla emergere senza soffocare le altre dimensioni del personaggio che non si esauriscono solo nella lotta per la sopravvivenza, ma che emergono anche quando è la sua femminilità a prendere il sopravvento. Si tratta di un ruolo complesso a cui l’attrice aderisce con totale trasporto e con una performance da Oscar. 

Ci siamo sempre detti che l’asprezza di cui parli avrebbe dovuto contaminare ogni elemento del film. Così è stato per la fotografia che doveva essere “aspra” e “testarda” come le capre di cui si occupa Anna e come la terra in cui vive. Così è successo per i movimenti di macchina che non sono mai morbidi. Lo stesso si è verificato per i volti degli altri attori che sono stati scelti in base a questo principio. Il mio desiderio era di trasmettere qualcosa che fosse il meno edulcorato e plastificato possibile.

Rose è stata la mia prima scelta nel senso che nel momento in cui le ho fatto il provino ho capito che era l’unica a potermi restituire la complessità del personaggio. Io faccio provini molto lunghi in cui non mi interessa tanto la memorizzazione del testo, ma l’esplorazione dell’animo degli attori per capire fin dove possono spingersi nella loro ricerca. Rose più di altre aveva questa carnalità e sensualità che andava a compensare il lato più fragile del suo personaggio. Per me era indispensabile non rendere Anna monolitica. Avrei potuto raccontare la storia di una pastora nuda e pura, ma così facendo avrei perso gli aspetti più spiazzanti della protagonista, quelli che fanno la differenza nella visione del film.

Il cinema di Marco Amenta

Parliamo del cinema che ti piace.

Il cinema che preferisco è quello che fa “viaggiare” in un’altra dimensione, che ti fa vivere un’esperienza emotiva forte e diversa dal tuo quotidiano e che magari quando esci dalla sala non ti fa ricordare più dove sei o in che città ti trovi. Una cosa che mi è successa personalmente guardando C’era una volta il West alla Cinémathèque de Paris. Ricordo che uscito dalla sala ci ho messo un attimo prima di capire dove mi trovassi. A farmi questo effetto sono i film di Fellini, di Kubrick e di Lynch anche se nel film che ho appena fatto non c’è quasi traccia di questi autori. Qui avevo bisogno di una matrice realistica che non lasciava spazio a un cinema diverso da quello che ho fatto. Magari questo succederà nei miei prossimi film.

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Anna di Marco Amenta

  • Anno: 2024
  • Durata: 119
  • Distribuzione: Fandango
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia, Francia
  • Regia: Marco Amenta
  • Data di uscita: 13-June-2024