Avevamo anticipato le uscite di giugno 2024 su Netflix dei film originali e non.
Ispirato ad una vicenda realmente accaduta, il film Rapporto Pilecki, uscito su Netflix Italia solo in lingua originale per la regia di Krzysztof Lukaszewicz (che firma anche la sceneggiatura) con le star polacche Przemyslaw Wyszynski, Paulina Chapko, Mariusz Jakus, contiene spunti di cocente attualità che ci fanno riflettere sui valori residuali dell’Europa “unita”.
Il senso di patria, il senso di giustizia, le scelte di uomini che anteponevano la causa comune al vantaggio personale: sacrificarsi per il diritto collettivo all’informazione. Vi ricorda qualcuno?
Rapporto Pilecki. Cos’è e perché se ne comincia a parlare solo ora
Il testo completo del rapporto Pilecki è stato pubblicato per la prima volta in Polonia solo nel 2000, 55 anni dopo la fine della guerra e 52 dalla morte dell’autore. Fino ad allora il testo rimase del tutto sconosciuto. Non solo: fino alla caduta del muro di Berlino tutte le informazioni sulla vita e le azioni del capitano Witold Pilecki furono segretate e soggette a censura.
Soldato dell’esercito polacco durante la Seconda Guerra Mondiale, Witold Pilecki si offrì volontario per un’operazione che prevedeva l’infiltrazione e la successiva fuga dal campo di concentramento di Auschwitz. Nel 1941, il militare scrisse ciò che alcuni considerano il primo rapporto di intelligence completo su Auschwitz e sull’Olocausto, che peraltro fu ignorato dalle potenze Alleate. Il militare combatté poi nell’insurrezione di Varsavia del 1944, ma ogni idea di essere considerato un eroe svanì quando, nel 1947, fu arrestato e torturato dal nuovo governo comunista, che lo accusò di lavorare per potenze straniere.
Rapporto Pilecki. Un errore clamoroso
La censura ci fu dunque a causa delle accuse di spionaggio che gli furono imputate e per la quali, una volta tornato a Varsavia nel maggio del 1948, fu torturato, condannato e giustiziato dal Partito Comunista che, in un clamoroso errore valutativo, non capì che tradendo l’esercito polacco sotto lo scacco bellico, a favore degli alleati, contribuì alla liberazione della Polonia stessa dall’orrore del nazismo.
Il film appare fin da subito una complessa tessitura narrativa dove passato e presente si confondono con salti concentrici, spesso deliberatamente, con il chiaro effetto di stordire lo spettatore di fronte all’ambiguità del male. Orrori prima con i nazisti del Reich, orrori ed errori con il comunismo polacco postbellico, orrori oggi. Nel tempo presente del racconto (1947), seguiamo l’interrogatorio fiume imposto al generale Pilecki, in un crescendo di violenza e vessazioni fino alla tortura e la pena di morte.
Il focus dell’azione lascia in secondo piano le ormai note atrocità dei lager, a favore del punto di vista di Pilecki e, soprattutto, delle sue memorie di militare, arresosi infine al nuovo corso storico e politico costituito dalla Polonia Comunista. I ricordi sono flash back introdotti dalla sua voice over che narra al suo aguzzino le tappe principali della tanto tragica, quanto ai limiti del verosimile, disavventura nei campi di concentramento.
Scelte registiche
Nel Rapporto Pilecki si fa un grande uso di ottiche estreme, prime fra tutte il grandangolo. Questo amplifica il senso di deformità della vicenda narrata e della sostanziale mancanza di lucidità dei protagonisti di fronte a un ingranaggio molto più grande di loro. L’incipit utilizza immagini di repertorio circa le vicende dell’attualità storica e mette in chiaro che è ispirato a fatti realmente accaduti. L’attore Przemyslaw Wyszynski gestisce con destrezza e qualche piccola ovvietà il ruolo che interpreta, donando alla fisicità di Pilecki l’eleganza e le dimensioni di un ladruncolo francese. Il viso spigoloso e gli occhi di ghiaccio gli conferiscono un aspetto di incomprensibile familiarità. Difficile immedesimarsi nelle scelte di un eroe che appare distante, anaffettivo, coraggioso, scaltro, quasi disumano. Tanto chiari i suoi obiettivi strategici per salvare vite umane quanto oscuri i suoi sentimenti nei confronti del vicino più prossimo. Pilecki è un eroe di altri tempi, imperscrutabile, in cui confluiscono una determinazione e una integrità difficili da comprendere al di fuori della legge della guerra, ma che hanno il grande valore di restituirci l’ombra di una lotta che fu partigiana anche in Italia, dove la frustrazione fu la prima tortura da gestire.
Lo sguardo di Pilecki
Ciò che trova oltre il cancello con la scritta “Arbeit macht frei” non ha nulla a che vedere con qualunque cosa avesse conosciuto nel mondo reale. Ogni regola del vivere civile è calpestata e sovvertita, ci sono prigionieri con diritto di vita e di morte su altri prigionieri. Fame, freddo, malattie, lavori forzati sono usati dai nazisti come strumenti di decimazione. L’arbitrarietà assoluta è l’unica legge applicata e ciò che distingue i carcerieri l’uno dall’altro sono solo diversi gradi di crudeltà. A poco a poco Pilecki tesse la sua rete clandestina, in attesa del segnale di rivolta, che però non arriva mai. Dopo tre anni, e dopo aver visto sparire molti dei suoi amici, Pilecki decide di fuggire, per continuare la resistenza da fuori.
Sacrificarsi per rivelare l’orrore ci porta subito alla mente il caso ancora aperto del giornalista Assange, rinchiuso da dodici anni nella Guantanamo inglese. La ministra dell’Interno del Regno Unito, Priti Patel, ha autorizzato l’estradizione di Julian Assange* negli Usa per affrontare accuse relative alla Legge sullo spionaggio.
Questa decisione pone Assange in grande pericolo e invia un messaggio agghiacciante ai giornalisti in ogni parte del mondo
ha dichiarato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International. È probabile che vi saranno ulteriori appelli contro l’estradizione, basati sulla violazione del diritto alla libertà d’espressione, ma resta il fatto che ancora oggi chi si spende per il diritto di diffusione di informazioni sensibili e utili alla collettività per interpretare la storia, venga rinchiuso e censurato per tutelare i diritti (e le nefandezze) dei più forti.
Ma ci fa riflettere anche il caso opposto di Eye on Plaestine, testata digitale palestinese che “esporta” senza filtri le agghiaccianti immagini del genocidio in atto a Gaza, senza che questo riesca, tuttavia, a differenza di quanto credeva Pilecki, a mobilitare le grandi potenze per fermare l’orrore.
Che senso ha oggi riproporre il biopic di Pilecki?
Al netto dell’effettiva riuscita del film, il tema e il biopic della spia polacca onorata nel giardino dei giusti di Varsavia ha in sé qualcosa di attuale eppure tristemente anacronistico. In testimonianze assolute, come Medico ad Auschwitz. Memorie di un deportato assistente del dottor Mengele (1946) di Miklos Nyiszli, o La Banalità del Male di Hannad Ardendt (1963) passando per Se questo è un Uomo (pubblicato da Einaudi nel 1958 dopo numerosi rifiuti) di Primo Levi, la vicenda atroce dell’Olocausto ha mostrato al mondo fin dove la crudeltà umana può arrivare. Sappiamo che quei moniti non sono bastati a scongiurare altri genocidi che si consumano anche oggi, nel cuore del Mediterraneo, sotto gli occhi di tutti.
Segnaliamo un appassionato articolo di Eva Morletto sulla vicenda di Pilekci: https://www.famigliacristiana.it/articolo/pilecki-la-spia-che-penetro-ad-auschwitz.aspx
*AGGIORNAMENTO ANSA: Il fondatore di Wikileaks “ha lasciato il carcere di massima sicurezza di Belmarsh la mattina del 24 giugno 2024, dopo avervi trascorso 1901 giorni. Gli è stata concessa la libertà su cauzione dall’Alta corte di Londra ed è stato rilasciato nel pomeriggio all’aeroporto di Stansted, dove si è imbarcato su un aereo ed è partito dal Regno Unito”, si legge in un comunicato pubblicato sull’account X dell’organizzazione. Questo è il risultato di una campagna globale che ha coinvolto organizzatori di base, attivisti per la libertà di stampa, legislatori e leader di tutto lo spettro politico, fino alle Nazioni Unite.