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Reviews

Nobody’s daugther Haewon – 63esimo Festival Internazionale di Berlino (Concorso)

Haewon, studentessa, vive uno stato emotivo transitorio aggravato dalla partenza della madre: da un lato vuole porre fine alla sua relazione col professore di cinema, dall’altro lo cerca ancora…

Pubblicato

il

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Anno: 2013

Nazionalità: Korea del Sud

Durata: 90′

Genere: Drammatico

Regia: Hong Sangsoo

Hong Sangsoo e il battito della vita

L’ultima pellicola del coreano Hong Sangsoo spiazza per l’impronta che il regista decide di adottare. Gli inserti no-sense (uno dei marchi del suo cinema, insieme all’uso (voluto) ‘da principante’ dello zoom), in Nobody’s daugther Haewon, in concorso alla Berlinale, si ridimensionano (rispetto alle sue pellicole da me finora viste), così come l’impianto autobiografico, altro marchio registico-ossessivo di Sangsoo.

C’è sempre il cinema nelle sue storie, nei personaggi di attore, regista, che popolano le piccole e bizzarre vicende su cui decide di soffermarsi, come c’è sempre la vita, le sue difficoltà specie relazionali, l’incomunicabilità – il fraintendimento costante, il volere contrapposto ad un essere sempre problematico. L’ironia, chiave di volta per narrare le cose più serie ed importanti, esorcizzandole, enfatizzando un assurdo-esilarante talmente paradossale per situazioni, dialoghi, da contenere un bel pezzo di verità. Tutto ciò è più ammorbidito, in questa pellicola. Sangsoo pare voler prendersi maggiormente sul serio non solo nella forma, ma anche nella sostanza di ciò che racconta. Al centro, come una bandiera che trattiene il vento e lo rende visibile a chi gli sta intorno, Haewon, ‘la figlia di nessuno’, giovane donna e studentessa che sente pulsare in sé la vita. L’individualismo l’accompagna da sempre: una singolarità vissuta come distanza dal ‘fuori’, dal mondo che la contiene, che pure assorbe e trattiene, di cui vuole afferrare il senso: vivere veramente, essere realmente felice, appagata. Sangsoo decide di cogliere lo stato emotivo di Haewon in un momento particolare. L’incontro con la madre che da lì a poco andrà a vivere in Canada, e il riaffacciarsi di Seongjun, il suo docente di cinema, uomo sposato, con cui ha avuto una relazione. Il rapporto tra loro non è completamente rotto…si cercano a vicenda. Haewon è confusa, un po’ persa tra l’anelare ad una pienezza che non trova nella scuola, frequentata per inerzia, negli stessi sentimenti, non ancora afferrati nella completezza e nella forma capaci di appagarla. Nel passaggio dalla fine dell’inverno alla primavera, con il carico di vitalità nuova che la stagione pare portare, questa singolare, giovane donna, vive il proprio momento di passaggio, mescolando il sogno alla realtà nelle interiorizzazioni profonde di cui è capace, realmente vissute e scambiate-confuse dal regista dentro una commistione crescente, difficile da staccare, a pellicola chiusa.

Hong Sangsoo cresce indubbiamente in maturità aggiungendo una serietà che non ha più il timore di affrontare. Non mancano gli insoliti e bizzarri personaggi, tra i quali il più riuscito è certamente l’insegnante coreano ossessivo-ma non-troppo, andato a vivere e a lavorare negli States, che non vuole mai più divorziare, in cerca a tutti i costi e il prima possibile di una donna con una forte individualità ma capace di trattenere pienamente in sè la vita. Non manca una musicalità che reinventa in una struggenza no sense la forza e la melanconia di uno storico pezzo di classica, assurgendolo a colonna sonora dello sbattere e svolazzare di una bandiera: “La bandiera chiamata Haewon, la figlia di nessuno”. Ps. L’inserto onirico che vede coinvolta Jane Birkin è l’unica forzatura a stonare.

Maria Cera

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