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Approfondimento

La filosofia cinematografica di Wong Kar Wai

Un flusso incostante di immagini, suoni e personaggi impetuoso e significativo

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Wong Kar Wai è una figura anomala nel panorama cinematografico Hongkonghese, un movimento sviluppatosi all’ombra di un interprete d’eccezione come Bruce lee, che aveva fatto delle arti marziali il file rouge della propria cifra stilistica. Il cinema di Wong Kar Wai è pura forza narrativa, un flusso incostante di immagini, suoni e personaggi tanto impetuoso e significativo da riuscire a debordare dalla situazionalità imposta dalle categorie filmiche. E capace di travalicare i confini di genere.

L’autore è capace di condensare in un solo film le vicende di un amore, le sorti dei personaggi, il destino di un paese, e il cambio di ritmo e di velocità della popolazione di un intero continente. Chiunque avrà voglia di prendersi il tempo di ripercorrere il suo intero percorso cinematografico sarà trasportato in un universo fatto di dualità amorose, di panorami punteggiati di neon luminescenti, di tabagismo sfrenato, di coabitazione sentimentale e fisica. Di fettuccine e spaghetti cinesi consumati voracemente in appartamenti fatiscenti, di incontri mancati che decidono lo spazio di una vita. Il tutto stipato in contenitori narrativi separati, sparpagliati lungo la linea temporale della vita del loro autore, divisi ma intimamente comunicanti, intrecciati in un unico universo narrativo dominato da una sola irrequieta forza trainante: l’amore.

La filosofia del pasto nel cinema di Wong Kar Wai

 

L’intera filmografia di Wong Kar Wai è costellata di scene in cui il cibo è protagonista. I personaggi del regista Hongkonghese mangiano costantemente e mangiano di tutto, spaziando dai cibi della tradizione Cinese: noodles, zuppe, spaghetti, ravioli al fast food americano. E lo fanno per diversi motivi, di cui, il primo, è il tempo.

Il tempo si allunga e si stringe al ritmo dello sfrigolare delle padelle e del tentennare delle bacchette. In alcune scene corre vie scivolando fra le mani dei protagonisti mentre in altri è lentissimo, pesante, denso. Talmente ingombrante da tiranneggiare sul ritmo della narrazione.

Il cibo e il rituale della sua preparazione non sono il semplice fondale della narrazione. Non si mangia strumentalmente, ma in maniera attiva, in maniera coscientemente protagonista. Si mangia per misurare il tempo che passa, il trambusto delle epoche che scorrono addosso ad Hong Kong e ai suoi abitanti.

Fast Food e bollitrici per il riso

Ma si mangia anche e soprattutto per avere davanti agli occhi il termometro dei cambiamenti culturali di una nazione, il suo progredire ed il suo aprirsi ai cambiamenti più tangibili che invadono l’intimo della propria quotidianità.

In the mood for love (2000) uno dei film più noti del regista, prima di mutare nella storia di un amore tormentoso, era stato pensato come un film sul cibo, doveva raccontare di come l’avvento del fast food e del bollitore del riso impattassero sulla vita della comunità Cinese di Hong Kong.

In Fallen Angels Woong Chi-Ming(Leon Lai) si reca diverse volte in un fastfood. La vita degli asiatici è cambiata. I lenti cambiamenti descritti In the mood for love, che si svolge negli anni 60’, hanno attecchito. La vita ora è dinamica, scleroticamente accelerata, quasi invivibile, i personaggi si aggirano per le strade di Hong Kong come schegge impazzite. Amano più in fretta, soffrono più in fretta, mangiano più in fretta.

Il cibo come strumento di cura

Il cibo non è solo misura del tempo, è spazio relazionale percorribile ed esplorabile. Molte delle scene più emozionalmente intense si svolgono attorno ad una tavola imbandita, i capi del tavolo sono i poli catalizzatori di due posizioni umane a volte inconciliabili, a volte ricongiungibili. Pezzi di relazioni si ricompongono e si sfaldano nell’intervallo di un pranzo o di una cena.

Ma il cibo è soprattutto veicolo di affetto, mezzo mediante cui ci si prende cura dell’altro, celando nel cerimoniale della sua preparazione verità che nessun personaggio oserebbe mai esprimere a voce.

Una zuppa calda è l’agente catalizzatore dell’amore di Lai Yiu Fai verso il fidanzato. Particolareggiati nei suoi fumi e nell’aroma delle verdure ci sono migliaia di sfumature dell’amore che il protagonista prova per lui e che però fatica terribilmente a palesarsi agli occhi di Po Wing. Scontrandosi con l’ostilità geometrica del linguaggio parlato, impreciso, inadeguato. Costellato di potenziali trappole che rischiano di far naufragare nell’intervallo fra una parola e l’altra il rapporto fra i due.

Delle succulente bistecche vengono passate in padella dal padre di Zeiwu, i due cucinano legati da una prossemica della prossimità, della vicinanza intima. E l’uomo, fino ad allora mostrato come burbero e scontroso, ride mentre viene filmato dal figlio. Il suo amore paterno infine si dischiude e il legame fra i due sfrigola come l’olio nella padella.

La zuppa di sesamo è il piatto che Su Li Zhen prepara per Chow quando è malato, anche qui si tratta dell’esplicitare un non detto, di tramutare in carnale una relazione fin lì rimasta Platonica. Quasi come se quella pietanza fosse l’estensione protesica del corpo della donna, il calore del suo corpo che viene infuso all’amato provvedendone al nutrimento.

Il cibo che l’agente 663 acquista in fallen angels dipinge la parabola di una relazione, è metafora del suo amore, condizionato dalla non scelta, prono davanti all’abitudine. E lei infine se ne andrà: aveva voglia di sperimentare un sapore nuovo.

Fumo e pioggia nei film di Wong Kar Wai

Se i personaggi di Won Kar Wai spesso e volentieri impugnano le bacchette, con altrettanta frequenza hanno infilata, fra l’indice e il medio, una sigaretta. Il tabagismo è infatti una costante dei tormentati personaggi del regista Honkonghese.

La naturale estensione del mozzicone di sigaretta sono i fumi che esso emana, attori inanimati di molte delle scene più memorabili del regista.

Il fumo si spande e occupa vuoto, si contorce in volute intricante, prosegue in panneggi cadenzati simili a quelli di un tessuto.

La sigaretta ha una sua semiotica e una sua simbologia. Tratteggia in maniera inscindibile l’estetica dei personaggi: fumare è cool, rende pop e riconoscibile. Il boccheggiare fra un tiro e l’altro romanticizza momenti altrimenti dimenticabili, si accaparra con protagonismo poetiche sequenze in slow motion.

Discostandoci dalla semiotica della sigaretta, dalla sua iconicità e dall’atto di fumare in sé, ci imbattiamo nelle situazioni, nei pretesti che il fumare, unito ad un altro fondamentale attore inanimato, crea.

Il sodalizio fra fumo e pioggia permette ai personaggi di ottenere una finestra entro cui manifestare le proprie passioni, entro cui rendere manifeste le proprie macchinazioni interiori.

In In the mood for love la pioggia costringe a più riprese Zhen e Chow a rimanere vicini, a consumare assieme il dolore dell’abbandono. A condividere pezzi di sé che bruciano al ritmo dei mozziconi inceneriti che si depositano al suolo.

La scusa di una sigaretta permette lo srotolarsi delle intenzioni profonde di Po Wing con il suo amato. Basta la vicinanza dei due, il suo occhieggiare, lo sguardo intenso illuminato dalle ceneri delle estremità delle due sigarette che si toccano, infondendosi reciprocamente calore.

La notte nel cinema di Wong Kar Wai

In Fallen angels una delle rarissime scene in cui vediamo Ming e la sua aiutante è proprio all’inizio, ripresi dal basso mentre rivolti verso la camera, come in un confessionale, fumano. Sempre nella stessa pellicola, Zeiwu, nell’istantanea più famosa della filmografia del regista, tiene stretta fra i denti una sigaretta, mentre a bordo della sua moto sfreccia in un sottopassaggio. Lasciando alle sue spalle una lama di luce cremisi sfarfallante, fugace e incerta, come il futuro verso cui sta sfrecciando.

Le notti di Hong Kong avvolgono la narrazione. In quasi tutti i film la metropoli asiatica ci viene mostrata come luminosa anche se avvolta dalle tenebre. Affollata, caotica, multiculturale, costantemente battuta da piogge torrenziali che battezzano i personaggi, che la accolgono, oppure corrono ai ripari.

Il cinema di Wong Kar Wai è prettamente notturno e le scene ambientate alla luce del sole sono rare.  Fallen angels, ad esempio, è interamente girato durante la notte perché le creature che animano questo film sono anime notturne. Angeli della notte che vagano con le loro disperazioni urbane immerse in un reef di luci al neon.

La coabitazione in Wong Kar Wai

La coabitazione è un altro filo che lega i corpi della costellazione filmica del regista.

La quiete iniziale viene rotta, alterata dalla costrizione di condividere lo stesso alloggio, lo stesso tetto, lo stesso contenitore che mette alla prova le relazioni. Che le fa deflagrare irrimediabilmente o le sublima elevandole.

Nella sua opera prima, As tears goes by, Wah, chiuso nel suo splendido isolamento, accoglie la cugina, Laura, in casa sua, schiude a lei ciò che impariamo essere non solo uno spazio fisico ma anche spirituale, oltremodo intimo. La convivenza seppur inizialmente complessa, si tramuterà in un amore passionale destinato però a cadere vittima delle crudeli circostanze.

L’esatto opposto avviene in Happy Together. L’amore fra Lai e il fidanzato Po Wing alla prova si corrode facendo affiorare il peggio dei due, la gelosia e la possessività di Lai e il parassitismo di Wing. E inutile è nascondersi dietro la falsa promessa di un nuovo inizio, nient’altro che una scusa sotto cui nascondere tutti gli insostenibili problemi della loro relazione.

Il condominio in cui abitano Chow e Zhen di In the mood for love è popolato da una pluralità di personaggi allegri e gioviali. E il complesso su cui si staglia il dramma amoroso dei due è antitetico, vitale, movimentato, vissuto.

Il regista è campione perfetto di una eventuale sperimentazione degli effetti della globalizzazione sulla vita del cinese medio, in bilico fra la modernità e la sua tradizione millenaria, incarnata dalle interminabili partite a majong dei condomini.

La Casa come estensione dell’anima dei protagonisti

Ma l’abitazione è soprattutto un’estensione dell’anima dei protagonisti. La casa soffre e muta con loro, ne riflette gli stati d’animo e le fragilità interiori. Osservarla è come sbirciare nell’anima di ognuno di loro.

In Hong Kong Express la casa di 663 piange con lui, lo segue nella sua parabola agonica, lo appesantisce con i ricordi della sua relazione passata.

663 si confronta con sé stesso, colloquia con la sua anima e interagisce attivamente con le sue estensioni, che sono gli oggetti che lo circondando. Che vive giorno dopo giorno, che popolano la sua quotidianità.

E quando Faye si innamora di lui è lì che si intrufola. Popola il suo quotidiano senza che lui lo sappia, rimpiazza le saponette, cambia gli asciugamani, rassetta la sua intera esistenza. Fa piazza pulita del vecchio per lasciare spazio al nuovo: lei stessa.

Coincidenze mancate

Fino ad ora abbiamo parlato di diversi temi riguardanti il cinema di Wong Kar Wai, continuando però ad ignorare il mastodontico elefante nella stanza, il motore imprescindibile del mondo del regista: l’amore.

L’amore è l’orchestrante di ogni trama, domina e guida i protagonisti nelle loro peripezie. Li spinge all’impensabile, li beatifica e li trascina sul fondo.

L’amore di Wong Kar Wai per quanto bruciante e intenso possa essere, è però un amore agonico, a tratti corrosivo, che si nutre di poche parole. I dialoghi fra gli amanti sono infatti ridotti all’osso, essenziali ma significativi, come se la comunicazione fra loro fosse in atto ad un livello superiore. Impossibile da veicolare con le parole, rigettando totalmente ampollose dichiarazioni o manifestazioni plateali.

Si tratta di un amore fatto di sguardi rapidi, a volte anche sfuggenti, di rarissimi baci, di speranze tradite, di addii dolorosissimi e soprattutto di coincidenze mancate.

Il Demiurgo maligno

Il tempismo è il vero demiurgo della narrazione e gioca costantemente contro i personaggi. Gli incontri decisivi che potrebbero cambiare la storia di una vita infatti non si concretizzano quasi mai, le anime desideranti dei protagonisti, in completa balia delle loro passioni, sono costrette a sfiorarsi eternamente senza mai realmente entrare in contatto. Nell’etere che le divide basterebbe captare anche solo un flebile segnale, l’ombra di un messaggio. Ma questo anche quando giunge risulta inudibile, indecifrabile, incomprensibile al suo destinatario, costringendo i due amanti a continuare il loro drammatico vagabondaggio.

In In the mood for love Chow scorge la presenza dell’amata in un mozzicone di sigaretta. Pochi minuti e i due si sarebbero ritrovati faccia a faccia nella stessa stanza, ma l’assenza nei film del regista Hongkonghese sembra essere più rilevante della presenza. Si percepisce di più l’aurea di chi non ci viene mostrato piuttosto di chi è costantemente inquadrato davanti ai nostri occhi.

In Happy Together il commovente audio messaggio che Lai registra per Fang risulta inudibile, l’ennesimo tentativo di ricongiungimento fallito, tradito dalla meschinità del tempismo. Acerrimo nemico di chiunque nell’universo narrativo di Wong Kar Wai abbia l’ardore di amare.

Stessa cosa succede in Hong Kong Express. Il biglietto aereo che Faie trascrive su un fazzoletto è perfettamente leggibile, salvo per la destinazione, impedendo a 663 di capire dove lei si sia recata. Solo il finale sembra concordare un temporaneo armistizio fra la narrazione e i protagonisti, con i due che, per una circostanza fortuita, riescono infine ad incontrarsi.

Coniugi fantasma

Concentrandoci sulla rilevanza dell’assenza, introduciamo un’altra categoria fondamentale nell’economia dei rapporti umani del regista: il coniuge fantasma.

L’innamoramento per Wong Kar Wai è un gioco di esposizione e di adombramenti, di avanzate e di ritirate esercitato però nel contesto di una apertura e di una libertà assolute.

Le relazioni non sono esclusive, c’è sempre qualcun altro pronto a filtrare nei meccanismi di una relazione e metterla in discussione. Spesso in maniera repentina, senza che a noi spettatori venga mostrato alcunché, lasciandoci increduli.

Questi coniugi fantasmi, queste variabili impazzite che squarciano irrimediabilmente il flusso narrativo non vengono mai mostrati. Sono spettri incorporei ma dal peso specifico importantissimo, capaci di ammantare la narrazione senza mai palesarsi.

Proprio in virtù di questa minaccia nascosta e senza volto si innesca un inusuale gioco delle parti, in cui gli amanti si fingono chi non sono, imitando la persona che ha preso il loro posto o a cui si sono sostituite, proiettando sé stessi sull’immagine combaciante di qualcun altro.

In the mood for love si crea un autentico culto del coniuge fantasma, un gioco doloroso che anziché sminuire l’assenza dell’altro la sublima, la rende realtà.

Fax, telefoni, juke box e videocamere

Ma quello che realmente conta in queste storie che si incrociano, che si intersecano tra loro, è la comunicazione, ormai  “deviata”. I corpi dialogano mediante l’incorporeo, il non biologico. I loro messaggi arrivano attraverso un fax, il telefono, il juke-box, oppure tramite una videocamera. Strumenti la cui l’asettica imparzialità di una macchina dovrebbero prevalere, ed invece mediante un rovesciamento totale questi strumenti divengono portatori di un’umanità comunicativa inedita.

Pensiamo alla canzone nel juke-box che Killer lascia ad Agent (“Forget Him”), per comunicargli il suo abbandono. Oppure alle sequenze girate con la videocamera da Ho, che riprende il padre, prima scocciato dal gioco del figlio e poi, di notte, sorpreso a commuoversi di fronte a quelle buffe immagini. Immagini che avranno tutt’altro “sapore” emozionale al momento della morte del padre di Ho. Allora, immediatamente, diventano documento, memoria. Qualcosa che ci apparteneva e che oggi non c’è più.
Il messaggio registrato da Lai non è neppure udibile. Eppure grida, sbraita e si fa comprensibile nella sua incomunicabilità, così come il biglietto illeggibile di Hong Kong Express o la lettera del marito invisibile di Zhen di In the mood for love.

Conclusioni

Il cinema di Wong Kar Wai è tante cose, ma soprattutto è l’inseguimento di un sogno perduto. La camera è una lente di ingrandimento che ci rende vicini ai personaggi visivamente, ma che ci fa percepire la loro distanza corporea, il distacco della loro anima, innavvicinabile, imprendibile.

La regia di Wai è un gioco di angoli e spigolature. Una regia che gioca sulla geometria ma che non è rigorosamente geometrica. Anzi, è frenetica, movimentata, il prolungamento tecnico del flusso narrativo che tramuta in immagine.

Memorabile la scena di combattimento in As Tears goes by, durante la quale Wang uccide con una mannaia uno dei tirapiedi del boss rivale. E il tutto ripreso magistralmente nell’economia di un caos ordinato, di un unico sfarfallio di immagini frammiste a luci. Una sensazionale stroboscopia di bagliori e di suoni assordanti.

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