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Demi Moore: il concepimento, l’assopimento e la resurrezione

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Demi Moore in The Substance

In occasione dell’atteso ritorno sul grande schermo di Demi Moore in The Substance, thriller splatter dai toni femministi che denuncia la morbosa pressione che la società affligge al corpo delle donne, e presentato dal regista francese Coralie Fargeat al Festival di Cannes, dedichiamo una retrospettiva alla carriera della powerhouse hollywoodiana. Un percorso che parla di resistenza e ferite amare, di incassi sbalorditivi e della ricerca dell’anonimato.

Il debutto di Demi Moore

Nata come Demetria Gene Guynes l’11 Novembre 1962 a Roswell, New Mexico, Demi Moore cresce in un contesto domestico travagliato. Vive l’adolescenza imprigionata in una situazione familiare instabile e traumi infantili, come il tentato suicidio della madre, la segneranno per il resto dei suoi giorni.

Chissà se recitare sia stato per lei una sorta di catarsi. Un modo sano per incanalare rabbia, tristezza, disappunto, timore e tutto quel corredo di emozioni che un set cinematografico richiede e stimola. O forse un palcoscenico per essere finalmente vista e ascoltata, un modo per rendersi protagonista della propria vita, anche se fittizia.

A differenza di tante aspiranti attrici la Moore non ha dovuto cercare tanto a lungo un pertugio in questo mondo di lustrini e porte chiuse. Il trampolino di lancio, infatti, non si fa attendere, con la soap opera cult General Hospital. Dal 1981 al 1983, l’emergente Demi Moore veste i panni della giornalista investigativa Jackie Templeton per poi finalmente godersi il suo esordio al cinema con ruoli non più marginali. 

Demi Moore sullo schermo

Parasite

Film horror di fantascienza americano del 1982 prodotto e diretto da Charles Band, è ambientato in un futuro distopico e post-apocalittico. Gli Stati Uniti sono conquistati da un’organizzazione criminale che, involontariamente, crea un parassita mortale incontrollabile e lo diffonde tra la popolazione. Il film ha ricevuto recensioni negative dalla critica cinematografica, che lo ha considerato un film di serie B mal scritto e con effetti speciali poco convincenti. 

Blame it on Rio

È un film romantico-comico del 1984 diretto da Stanley Donen e scritto da Charlie Peters e Larry Gelbart sulla base del film francese del 1977 Un moment d’égarement. Interpretato da un cast corale, tra cui Michael Caine, Joseph Bologna, Michelle Johnson, Valerie Harper, José Lewgoy oltre a Demi Moore, purtroppo anche questa pellicola non ha riscontrato il favore dei critici né quello degli spettatori.

About Last Night

Dopo aver sancito il suo nome nel genere coming-of-age, il successo commerciale che anticiperà l’ondata di supremazia dell’attrice negli anni ‘90 arriverà con About Last Night del 1986. Una commedia-drammatica, diretta da Edward Zwick, dove Demi Moore è affiancata da Rob Lowe nei panni degli yuppies di Chicago Debbie Sullivan e Danny Martin che si cimentano per la prima volta in una relazione seria. La sceneggiatura di Tim Kazurinsky e Denise DeClue è basata sull’opera teatrale di David Mamet del 1974, Sexual Perversity in Chicago.

La svolta di Ghost

Lodevole la freschezza e l’abile sceneggiatura nel trattare l’aldilà, Ghost è una lezione del regista Jerry Zucker su come infondere nuova vita a materiale cinematografico incentrato sul morituro. Nonostante la tradizionale chiave di lettura hollywoodiana dei rom-com degli anni ‘90 in fatto di spiriti ultraterreni, il fantasma di Sam Wheat rappresenta la voce fuori dal coro. Si ritrova bloccato in un mondo di terrori e dimensioni insondabili, di impotenza e disagio.

La trama

La prima esperienza dell’altro mondo per il protagonista è una visione da incubo della morte, in cui vede il cadavere della sua amata, Molly (Demi Moore), e non il suo. Successivamente, tendendo le braccia nel futile tentativo di avvolgerla in un abbraccio confortante, la vede camminare, ignara, attraverso di lui. Cercando di rubare un passaggio in metropolitana, scopre che altri fantasmi persistenti non formano certo una fratellanza. E uno, in particolare, si presenta come uno schizofrenico paranoico nella sua determinazione omicida a eliminare gli intrusi sul suo treno.

I vividi effetti speciali contribuiscono a questa allarmante sensazione di un mondo governato da regole del tutto aliene. Ma, soprattutto, il tono di tormento. Nonostante a tratti siano proprio gli effetti speciali che rendono il film una caricatura di se stesso. Figure sinistre si aggirano in profondità, misteriosamente intraviste attraverso un’oscurità torbida per poi risolversi. Boati e schianti lasciano il posto a un romantico tema musicale.

Tutti questi piccoli segni e presagi, quasi impercettibilmente intessuti nella trama della splendida sceneggiatura di Bruce Joel Rubin, in realtà non sono né qui né lì, se non per il fatto che forniscono una base solida e assolutamente persuasiva per la disperante scia di frustrazione impotente lasciata quando l’ondata di passione della giovane coppia viene crudelmente spenta prima che raggiunga il culmine. A questo punto il film mette a segno il suo colpo da maestro, introducendo Whoopi Goldberg come strumento fin troppo fallibile attraverso cui viene a compimento questo amour fou.

L’attrice con la sua comicità, attraversa le sponde dell’impazienza scettica per raggiungere le rive di una tenera complicità con gli amanti, apportando all’installazione l’emotività giusta spogliandosi di altre pretese.

Demi Moore: leggenda della cinematografia americana

Demi Moore si spoglia delle congetture legate al suo nome, si libera di centimetri e centimetri della sua folta chioma per incarnare il personaggio e non esserne solo un volto. Sullo schermo riesce a formulare col suo costar Patrick Swayze un’autenticità palpabile. La sua performance, così notevole da assicurarsi una nomina ai Golden Globes, non è fuori dalle righe bensì trova potere nell’implosione di una vulnerabilità minuziosa.

Nel 1990 Ghost si aggiudica il titolo di film di maggior incasso dell’anno sorpassando anche Pretty Woman e, Demi Moore, diviene sinonimo di celebrità.

Pellicola dopo pellicola, però,  purtroppo il fallimento non tarda a piombare scaraventandola giù dall’idilliaco trono che con fatica l’attrice era riuscita finalmente a conquistarsi. Sancisce così una lunga e temuta relazione con i critici e i Golden Raspberry Awards noti correntemente come i Razzie Awards (letteralmente “Premi lampone d’oro”), premi assegnati in una cerimonia annuale tenuta a Los Angeles per riconoscere gli attori, gli sceneggiatori, i registi, i film e le canzoni peggiori della stagione cinematografica precedente.

Un’eterna danza imprevedibile

Nothing But Trouble, rilasciato nel 1991, alla sua uscita, è stato ampiamente criticato, con critiche rivolte all’umorismo, alla sceneggiatura, al tono e alla regia. Racconta la storia di due yuppies e dei clienti di uno di loro che vengono portati in tribunale per aver oltrepassato uno stop nella bizzarra e finanziariamente fallita cittadina di Valkenvania, dominata da un giudice di 106 anni. 

La rivincita di Demi moore

Con A Few Good Men e un cast di prima qualità quali Tom Cruise, Jack Nicholson, Kiefer Sutherland, Kevin Bacon e Kevin Pollak, Demi  Moore si affida ad una trama lineare, ma per nulla timida. È il modo in cui i personaggi duettano con l’idea di onestà ed onore che ha colpito gli americani, tanto da riempire le sale cinematografiche, e fargli ottenere diverse candidature. Il film è ambientato a Cuba, in una base militare dei Marines guidata da un uomo severo e stoico trattenuto dalle vecchie pratiche. Si terrà lì il processo di due marines accusati di aver ucciso un loro compagno su ordine del loro superiore secondo il “codice rosso”, che consente in casi estremi di uccidere colui che non si comporti da buon militare, dettato dal loro superiore esaltato. Tre giovani avvocati cercheranno di far condannare il colonnello che ha impartito l’ordine. Una danza di colpe schive, doveri, consapevolezza e onore.

Per anni Demi Moore attraversa un’era nella quale deve conquistarsi i ruoli, contrastare lo scetticismo di Hollywood ed abituarsi a non essere la prima scelta. Laddove la popolarità sembra assalirla senza freni, i critici continuano il loro scrutinio condannando le sue performance. Così, un po’ spinta da motivazioni personali e un po’ rassegnata ai riflettori spenti, quel richiamo viscerale al set viene a mancare sempre di più, convincendola, anzi, quasi ad abbandonare

The Substance, quando l’arte imita la realtà

Una narrazione filmica che tramite la struttura dell’horror dipinge un’eversione al vizio del settore dell’intrattenimento. Così, come del resto della società, che emargina le donne mature in età.

“… era come se ci fosse una vergogna legata all’essere sensuali o all’avere desiderio, perché era legato solo allo scopo e non all’indipendenza. Quindi penso che, avendo acquisito una maggiore proprietà di noi stessi in questo modo, penso che lo stiamo anche vedendo riflesso.”

Il film è un potente quadro di avversità. Affronta i temi dell’odio verso se stessi e critica senza paura i brutali standard di bellezza imposti alle donne in quanto tali. Tutto, secondo la lente d’ingrandimento dell’inevitabilità dell’invecchiamento. Con le sue immagini grottesche e l’intenso sound design, The Substance promette di essere un’esperienza viscerale.

“Negli ultimi quattro anni circa, ho sentito che era una questione personale che volevo esplorare e vedere”. Era questo il luogo in cui avrei dovuto impiegare le mie energie? Quando si piantano i semi, si aspetta di vedere cosa cresce”.

Un tempo soprannominata “veleno del botteghinoDemi Moore è oggi una testimonianza di resilienza, dedizione e forza

“Come nel film, non importa quello che succede fuori di te, ma quello che succede dentro di te”, ha dichiarato Moore. “Affrontare l’invecchiamento, sentire il rifiuto e anche la ricerca di una conferma esterna. Ci sono aspetti che credo siano stati affrontati da tutti noi”.

Assistiamo all'immortalità dell'attrice. Tra critiche e premi ambiti Demi si reinventa.

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