Ora disponibile su Prime Video il nuovo film di Michael Winterbottom, regista britannico dalla lunga esperienza e dalla grande maturità artistica (Benvenuti a Sarajevo, The road to Guantanamo).
Soprattutto, ha già avuto modo di cimentarsi in opere dove il confronto con la guerra, o meglio guerriglia, diventa materia utile all’elaborazione storica così come all’assimilazione di un processo politico che ancora fatichiamo a comprendere. Shoshana, film biografico presentato in anteprima al Toronto film festival, ci parla esattamente di questo, pur faticando – o deviando – nella problematicità di assemblare brandelli di passato troppo lontani, dolorosi ma soprattutto controversi, che lo avrebbero reso celebre al di là delle sue qualità artistiche o l’assenza di queste, ma per le polemiche che avrebbe generato.
Si concentra invece – terreno certo meno impervio che mostra però come la fissità e l’elusione del rischio siano pericolosi per le sorti del dinamismo narrativo – sugli intrecci romantici di una coppia anglo-israeliana.
Harry Melling e Douglas Booth in una scena del film
Trama
Seguiamo la vera storia, anche se ampiamente romanzata, di Shoshana Borochov, donna di origine ebraica figlia di Ber Borochov, russo ebreo fondatore del movimento zionista socialista. Anni ’30, Palestina: mentre la polizia inglese cerca di mantenere l’ordine tra la popolazione ebraica e quella araba, l’ufficiale britannico Tom Wilkin si innamora di Shoshanna, mentre assieme ai suoi colleghi segue le tracce del militante sionista Avraham Stern, fondatore dell’organizzazione eversiva Irgun. Stern però si accorge presto di Wilkin, iniziando a considerarlo presto una minaccia.
Sesso è potere
Winterbottom adotta un metodo osservativo rispetto agli eventi sociali che caratterizzano il periodo storico, senza mai indagarne le ragioni o anche solo sperare di trovare una possibile lettura dell’intricato tessuto comunitario di una zona del Medio Oriente già così ferocemente dilaniata dagli scontri etnico-culturali. Le cause del conflitto israelo-palestinese, che pure sono così vicine, rimangono una cornice esotica, ornata di un immaginario occidentale che riassume le caratteristiche stereotipiche del mondo arabo. Manca il coraggio di parteciparvi, di approfondire gli elementi costitutivi di un mondo vivo, brulicante di conflitti e tensioni, per questo tragico quanto affascinante oggetto antropologico.
Nell’adottare quindi un approccio diplomatico – che non manca comunque di mantenere il ritmo alto quanto di tessere trame ed intrecci funzionali alle dinamiche del genere – la scelta ricade sull’instaurazione di rapporti interpersonali che generano faide, feroci risentimenti, brutalità, eppure tenerezza. Il rapporto tra Shoshanna, protagonista suo malgrado della Storia, e l’ufficiale Wilkin è l’oasi felice – quindi utopica e dall’avvento irreale – che si staglia audace in una zolla di terra sporca di sangue.
Irina Starshenbaum in una scena del film ‘Shoshana’
Il cine-occhio si è distratto
Nelle maglie del sentimento però s’infiltra rapida l’incertezza che pone quesiti sulla fragilità della loro esistenza comune: l’orizzonte di un amore libero dalla contingenza, un amore che non si deve individuare come tregua nella lotta ma semplice giacere, pare tramontare presto. Shoshana è il grido di un orribile destino: quello dei popoli che si feriscono mortalmente per contendersi gli orli del mondo. Ognuno dei quali rende poi martiri i suoi fratelli che sì, ora giacciono. E per i martiri bisogna morire, per loro e nel loro nome, perpetrando la logica di una contesa la cui risoluzione si mostra irraggiungibile. Peccato che Winterbottom non ci mostri troppo di troppo complesso, preferendo rifugiarsi nella consolatoria narrazione di un noir poliziesco dalle tinte sentimentali. Ottimamente realizzato, precisamente ricostruito nelle sue specifiche topografiche, ed altrettanto ben recitato.
Ma quello che forse avremmo voluto vedere è la prova dimostrata di quella strana, apparentemente incomprensibile equazione secondo la quale l’odio genera odio: la storia si ripete nel segno dell’incomprensione, della vendetta e della deresponsabilizzazione delle autorità apparentemente costituite.