Radiance è l’ultimo documentario di Shuhei Hatano, regista giapponese già premiato per opere come Origin of Shadow e I Remember.
Il cortometraggio è stato girato a partire dall’Aprile 2020, durante la pandemia. In maniera analoga ad autori quali Jonas Mekas, Hatano decide di filmare la sua vita di tutti i giorni, focalizzandosi, in particolare, su due soggetti, la natura e i suoi figli.
L’opera, presentata in concorso allo Yamagata International Documentary Film Festival 2023, è proiettata il 17 maggio presso la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
Trovi qui gli altri film proiettati alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
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Un ritratto composto da dettagli
Radiance si configura come un lavoro contemporaneamente avanguardistico ed estremamente semplice. Costituisce, infatti, una vera e propria lettera, esposta in prima persona da Shuhei Hatano, il quale si rivolge, oltre che allo spettatore, ad amici e parenti. Il film vuole essere il ritratto di un periodo della vita del suo autore realizzato negando una rappresentazione d’insieme e privilegiando l’estrema frammentazione. Il montaggio frenetico, infatti, mostra un rapido susseguirsi di immagini (spesso dettagli) non necessariamente collegate da un rapporto logico (se non la volontà di rappresentare principalmente la figlia e la natura).
La caratterizzazione di un lungo periodo di tempo avviene, quindi, attraverso una serie di inquadrature atemporali ma che, nella loro semplicità (o nella loro specificità) vanno a comporre un efficace forma di linguaggio. Questo permette allo spettatore di comprendere ed empatizzare con un aspetto dell’autore, sia questo reale o frutto dell’immagine di sé stesso proiettata dal primo sul secondo. Il risultato è un’opera quasi impressionista che, eliminando la necessità di una lettura analitica delle singole immagini, procede cercando di generare sensazioni di una maggiore purezza attraverso una rapida successione di esse.
Il tema del ricordo
Importate è anche la tematica della memoria. Se inizialmente l’autore afferma di aver iniziato a girare ogni giorno quasi per caso, nelle fasi più avanzate rivelerà invece la sua volontà di collezionare ricordi di quel periodo della sua vita. Ricordare, quindi, diventa quasi un atto accumulatorio. Ogni immagine è degna di essere conservata e non può essere, per nessun motivo, perduta. Questa ossessione per la memoria è giustificata da una forte volontà di raccontarsi tramite un ritratto della propria interiorità, dedicato ad amici e parenti.
Se a prima vista Radiance sembra limitarsi ad un racconto rinchiuso all’interno dei confini della soggettività dell’autore, è possibile osservare che, in realtà, questo tipo di rappresentazione frammentata sia, oltre che indicativa di un particolare ricordo, allusiva al concetto di memoria in generale. Il film di Shuhei Hatano, anche se certamente derivativo da opere simili, risulta un esperimento decisamente riuscito. Il suo efficace modo di documentare un periodo della vita del suo autore, infatti, riesce ad elevarsi, passando dal particolare all’universale.