Presentato in anteprima italiana al Biografilm Festival 2024,The Sweet East è l’atteso esordio alla regia del direttore della fotografia statunitense Sean Price Williams.
Il film, proiettato in anteprima mondiale al Festival di Cannes nel 2023, vanta un cast di nomi eccezionali, dalla protagonista Talia Ryder – presente in sala all’anteprima – alle giovani star Ayo Edebiri e Jacob Elordi. The Sweet East arriverà nelle sale italiane dal 12 Dicembre con la distribuzione di I Wonder Pictures.
Lilian (Talia Ryder), liceale dell’ultimo anno della Carolina del Sud, mentre è in gita scolastica a Washington D.C si ritrova separata dai suoi compagni in seguito a una sparatoria in un bar. Da qui inizia un viaggio psichedelico e ai limiti dell’assurdo, in cui Lilian attraversa l’America incontrando i personaggi più diversi e vivendo gli eventi più surreali. Tra anarchici punk e suprematisti bianchi fino a una coppia di registi neri che cercano di sfondare nel cinema indipendente, il viaggio di Lilian è una vera e propria scoperta dell’America. Una scoperta che non solo passa fisicamente attraverso i luoghi, ma soprattutto attraverso le persone che Lilian incontra, maschere di ideali e volti di sottoculture degli Stati Uniti contemporanei.
Scritto all’alba dell’elezione a Presidente di Donald Trump nel 2017, The Sweet East cerca di costruire un grande ritratto satirico del Paese nella forma di una lunga metafora. La caratterizzazione dei vari personaggi con cui la protagonista interagisce durante il suo viaggio rientra proprio in questo solco: emblematico, in questo senso, Lawrence (Simon Rex), un professore di storia e simpatizzante nazista che offre ospitalità a Lilian senza mai nascondere troppo velatamente la sua attrazione nei confronti della giovane.
La protagonista: riappropriazione dell’agency o sua negazione?
Nonostante i pericoli delle situazioni in cui si ritrova, la protagonista si muove tra luoghi e persone come la visitatrice di uno zoo. Il suo sguardo, curioso e apparentemente ingenuo, si sposta da una figura all’altra senza giudizio e conservando sempre una sincera fascinazione. Sono proprio la curiosità e il tentativo di diventare padrona di se stessa – come rivendica una delle prime scene in cui canta guardandosi riflessa allo specchio – a muovere Lilian nel suo viaggio picaresco e surreale. Nonostante possa apparire ingenua e in qualche modo passiva alle circostanze, Lilian riesce sempre a cavarsela e a riprendere il suo cammino con una maggiore consapevolezza di sé.
Ma l’operazione di The Sweet East funziona fino a un certo punto: la metafora che è il film stesso finisce per assorbire tutti gli intellettualismi astratti. Anche i personaggi finiscono per essere smontati da questa operazione, a partire dalla protagonista che, senza un’interpretazione vivace ed eccezionale come quella di Talia Ryder, finirebbe per non essere altro che una sagoma. Eloquente la scena in cui Lilian canta guardando il suo riflesso nello specchio, che dovrebbe essere la chiave di lettura del suo personaggio: una scena che risulta essere smentita dall’evolversi della narrazione, in cui l’agency di cui la giovane dovrebbe farsi padrona sfuma di fronte al contatto con la società, con gli uomini che, durante il viaggio, tentano di sedurla. Paradossalmente Lilian, che dovrebbe essere il centro attivo di The Sweet East, finisce per esserne soggetto passivo e guardato quasi voyeuristicamente.
The Sweet East: una metafora non troppo riuscita
Esordio alla regia del direttore della fotografia del cinema indie Sean Price Williams, The Sweet East é un’operazione curatissima dal punto di vista visivo. Mescolando vari tipi di filmati – dal mini-DV alla pellicola super 16mm – il film rimanda all’estetica dei film a basso costo e indipendenti, riprendendone anche lo sguardo attento con cui osservano la realtà socio-culturale statunitense. Il viaggio di Lilian attraverso di essa é scandito da un montaggio intelligente, capace di ricreare l’assurdità e la psichedelia delle situazioni in cui lei spesso si ritrova. Tuttavia, la sceneggiatura del critico cinematografico Nick Pinkerton, volutamente verbosa e autoriflessiva, finisce spesso per perdere il filo del quadro complessivo e della metafora alla base di tutto il film.
Per quanto cerchi di prendersi esplicitamente in giro – come nei personaggi dei due registi neri di film indie (gli eccezionali Ayo Edebiri e Jeremy O. Harris) – The Sweet East mostra nella sceneggiatura fin troppa consapevolezza di sé, rischiando di cadere in un’operazione chiusa nella sua autoreferenzialità. È un problema molto evidente fin dalla caratterizzazione della sua protagonista, ridotta quasi a puro oggetto da essere guardato nel suo viaggiare in opposizione a un personaggio come quello di Lawrence, il suprematista bianco, che risulta essere il meglio scritto del film.
The Sweet East si dimostra quindi essere un’operazione interessante e che sicuramente farà parlare di sé, ma che spesso sembra dimenticarsi di essere una satira e che rischia di perdere il senso di fondo di quanto vuole dimostrare. Il film offre comunque uno sguardo critico interessante sugli Stati Uniti – e sul mondo occidentale – contemporanei ma, come i suoi problemi di fondo rivelano, risulta anche come parte integrante della realtà che cerca di criticare.
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