Nel 1951, lo scrittore Dylan Thomas si recò in Iran per scrivere un film propagandistico per l’azienda anglo-iraniana Oil company. Con la regia di Nariman Massoumi, che ha ottenuto la vittoria nella categoria Best short documentary al Camarthen Bay Film Festival, Pouring water on troubled oil ha preso vita dall’unione di immagini reali dei luoghi trattati e da un voice-over degli scritti di Thomas, che racconta il proprio viaggio in Iran.
La visione del film è stata resa possibile grazie al festival torinese Cinemambiente.
Pouring water on troubled oil: il viaggio in diverse realtà iraniane
Come mostrano le parole di Thomas nelle prime sequenze di Pouring water on troubled oil, il compito dello scrittore era letteralmente “versare acqua sul petrolio ribollente”: mostrare al mondo una realtà iraniana annacquata, censurata, distorta. Ma lo sguardo di uno scrittore si insinua nelle pieghe del mondo, è analitico e al contempo poetico. E l’occhio di Thomas diventa per noi un occhio rivelatore, soprattutto perché si scontra con varie realtà.
Scopre la città di Abadan, la cui sacralità del territorio selvaggio è stata trasfigurata dalle costruzioni delle attività petrolifere, apportando alla città un’aurea spettrale da non-luogo. Si immerge nella misticità e nel caos dei bazaar di Teheran, per poi imbattersi nell’ala dei bambini di un ospedale, e in dei bambini mendicanti. Thomas è particolarmente affascinato dall’infantilità persiana, che possiede qualcosa di grezzo e brillante allo stesso tempo. Descrive infatti i bambini come “sporchi, affamati, belli con i loro sorrisi e i grandi occhi ardenti e i capelli selvaggi”. La sua fascinazione verso di essi è probabilmente dovuta al fatto che la loro ambivalenza è la medesima del Paese che abitano, così differente dalla superficialità che coglie nei colonizzatori inglesi.
La scelta di Thomas di non scrivere la sceneggiatura
Thomas, nel suo peregrinaggio, empatizza fortemente con la disperazione dei lavoratori iraniani, che
“faticano per soli tre qeran al giorno, in condizioni pericolosissime che spezzano loro il cuore”.
Si rifiuta, per questo, di favorire l’accettazione pubblica della dittatura britannica, non scrivendo la sceneggiatura del film propagandistico. Ed è per questo che noi, decenni dopo, ci immergiamo nelle sue parole, guardando all’Iran come a una sorta di mostro di vetro, inquietante e bellissimo nella propria meastosità. Rimane impressa, ad esempio, la descrizione dello scrittore della raffineria di Abadan:
“Di notte, la raffineria di Abadan è bellissima. Anime perdute, violente, fluttuano e scricchiolano in una bolla e in un baccano al calor verde. Nuvole ectoplastiche color pulce divengono torride sulle caldaie, e tutto a un tratto il cielo è infuocato come un secco cespuglio blu.”