The Penitent di Luca Barbareschi, con la sceneggiatura di David Mamet e gli interpreti Catherine McCormak, Adam James e Adrian Lester, dal 30 maggio sta facendo il giro delle sale cinematografiche. A settembre 2023 si è aggiudicato un importante riconoscimento: il Premio “Sorriso Diverso Venezia Award“ come Miglior Film Italiano. Si tratta infatti di un Premio collaterale ufficiale della 80esima Mostra internazionale d’arte cinematografica per le opere di interesse sociale che valorizzano la diversità e tutelano le fragilità delle persone.
Barbareschi-Mamet
Barbareschi, con la sua casa di produzione Eliseo Entertainment, e con la rigorosa penna di David Mamet, che è stato uno dei primi in Italia a portare in scena e tradurre le sceneggiature, delinea sullo schermo un controverso capitolo di cronaca ispirato ad una storia vera.
“Ci siamo conosciuti quando avevo 19 anni, lui 29 anni, metteva in scena American Buffalo […] In quegli anni ho portato in Italia i migliori autori sconosciuti. Tutto nasce dalla mia passione per la scrittura. Penso, che tutto nasca dalla scrittura e Mamet è un genio della scrittura. È come Mozart”.
Il loro sodalizio torna più forte che mai in quest’opera, dopo anni di reciproco sostegno e collaborazione. Tanto che Luca paragona David ad Auguste Rodin, scultore che prende il marmo e continua a ripassare, finché poi decide che la forma è quella. In quanto regista non si può che rispettarla in tutto.
The Penitent: la trama
“Il mio film parla anche dell’uso della comunicazione del tutto folle. Parliamo di uno psicanalista ebreo e siccome l’assassino è ispanico e gay diventa una vittima. La comunicazione funziona in maniera speculativa, non importa vero o falso. Ma quando la maldicenza è perpetrata attraverso la comunicazione, si perde legittimità”.
New York. Uno psichiatra vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento ed instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che scatenano una reazione a catena esplosiva. La gogna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale nel professionista che si trincera dietro al giuramento di Ippocrate per difendersi dalle interrogazioni, dalle pressioni e dai tradimenti di tutti alla ricerca della verità.
(Fonte Eliseo Entertainment)
La scrittura
L’idea è nata da un caso reale, il caso Tarasoff , riscritto completamente da D. Mamet che ne crea la sceneggiatura.
“Non è stato facile. Ho dovuto imparare a memoria 160 pagine, il mio ruolo e quelli degli altri. Ma a quelle si aggiungono le trecento di sottotesto.”
In The Penitent, Luca Barbareschi non si limita all’uso della macchina da presa (sebbene abbia dichiarato che gli sarebbe piaciuto rivestire solo il ruolo di regista, ma David Mamet è riuscito, insistendo, a fargli cambiare idea!) ma impersonifica anche il protagonista, lo psichiatra ebreo Dott. Hirsh. Questa è una storia che ha tre grandi protagonisti, racconta Luca Barbareschi:
“La responsabilità della carta stampata, la responsabilità dei giudici e la responsabilità di quello che accade all’interno del gruppo familiare quando uno viene devastato dal sistema giudiziario e da quello delle telecomunicazioni.”
Barbareschi, nell’utilizzo della macchina da presa, ha saputo coniugare il ritmo “da palcoscenico” della sceneggiatura ad un ritmo cinematografico calibrato e intimo. Ogni dialogo si ritaglia un suo spazio temporale all’interno del filo drammaturgico. Meglio mettersi comodi e non aspettarsi ritmi serrati da action thriller. Qui vive protagonista l’introspezione, i lunghi dialoghi e il dramma.
“Se un dramma non parla della condizione umana, tanto vale guardare Topolino e Minnie”
Così afferma Mamet in riferimento alla natura umana che modella le società e forse anche in riferimento a quelle che sono le tematiche che permeano la sua scrittura costellata di dialoghi accesi in cui anche tagliare una ripetizione, un “what?” di meno, fa perdere il senso del suo significato. Come spiega Barbareschi:
“Mamet non crea dei dialoghi puramente letterari esplicativi. Quelle che sembrano interazioni apparentemente banali nascondono in realtà un tessuto formbidabile.”
Gli attori
Catherine McCormak interpreta la tormentata moglie di Hirsh, Kath, perennemente sul baratro. Le dichiarazioni della stampa sul marito, per lei inspiegabili, la fagocitano nell’isolamento e nella preoccupazione. Ma Kath restituisce anche determinazione. Non esita infatti a porre domande dirette e scomode, tentando disperatamente di capire perché suo marito sia arrivato a subire un tale linciaggio mediatico. Il suo tentativo di comprensione però avrà vita breve, avrà bisogno di farsi forza con i consigli dell’amico avvocato, Richard, per spingere il marito a ragionare e fare la cosa giusta.
Richard, l’avvocato del Dottor Hirsh interpretato da Adam James, dal canto suo dispensa consigli freddi e lucidi a Carlos (Luca Barbareschi), esercitando l’arte dell’addestramento dell’imputato con schietta professionalità. Tuttavia non sempre appare limpido il suo vero pensiero sul Dott. Hirsh. Ma gli insegnamenti di comunicazione processuale impartiti non riusciranno comunque a preservare lo psichiatra ebreo dall’inquisizione del Pubblico Ministero, interpretato da Adrian Lester, spietatamente professionale e glaciale.
Tutta la tensione dell’interrogatorio buca lo schermo grazie alla performance magistrale di Barbareschi e Lester. Un ping-pong serrato di domande incalzanti dove le fatidiche risposte brevi “si” e “no” preposte a questo terzo grado, sfoceranno in un labirinto a porte chiuse di giustificazioni e spiegazioni religiose.
Il ragazzo che mette in atto la sparatoria nella scuola (l’ex paziente), interpretato da Fabrizio Ciavoni, rimane misteriosamente avvolto nei flashback del Dottor Hirsh e nelle immagini dei notiziari e schermi di New York. Cosa lo ha spinto a commettere tale atto non è dato sapersi. Solo i quaderni di appunti del Dottore hanno forse una risposta, appunti protetti dal giuramento di Ippocrate ma che la Giustizia potrebbe richiedere in nome della legge.
Un cast certamente di alto livello, scelto oculatamente da Loredana Scaramella.
La fotografia
Michele D’Attanasio (direttore della fotografia anche in Lo chiamavano Jeeg Robot, Veloce come il vento, Freaks Out, Il Sol dell’Avvenire e tanti altri) Barbareschi lo definisce “un genio”. Con l’utilizzo delle spin lens, ha creato delle sfocature e storpiature delle figure, quasi a voler restituire la stessa confusione che il protagonista sente dentro di sé, impotente di fronte a quanto sta capitando nella sua sfera professionale e privata. Infatti le inquadrature, indagatrici sui personaggi, permettono allo spettatore di avvicinarsi al loro stato d’animo e alla loro psicologia.
Un credo
“Io ho dedicato questo film a Jonathan Sacks, che è stato il rabbino di Oxford dove ho studiato per più di vent’anni.”
Così afferma Barbareschi, da credente praticante di ebraismo. In quest’epoca della cancel culture, del politically correct e di un ritorno all’antisemitismo, in cui abbiamo sempre bisogno di carne fresca e nuove vittime, Mamet ha voluto riportare al centro del ciclone una vicenda umana tramite la subdola arma dell’attacco mediatico. Non rivolto ad una persona qualsiasi, bensì ad uno psichiatra ebreo. La sua fede sarà un cardine importante nella risoluzione del film. Eppure…
Entrare nelle vibes…
Per immergersi meglio nel clima del film o se, avendolo già visto al cinema volete recupernarne le atmosfere sonore, ecco qui la soundtrack scritta e composta da Andrea Bonini e Riccardo di Paola.