Quello de Il Pianeta delle Scimmie è senza dubbio uno dei franchise più longevi e di successo della storia di Hollywood, potendo contare all’attivo otto film, una serie televisiva e una collana di fumetti.
La serie prende ispirazione dall’opera dello scrittore Francese Pierre Boulle Il Pianeta delle scimmie, pubblicato nel 1963. Nella sua opera Boulle, attingendo a capolavori della narrativa come I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, e a teorie scientifiche, la teoria dell’evoluzione di Darwin e la legge della relatività, confeziona un racconto da lui stesso definito di “fantasia sociale”, una realtà parallela in cui sul pianeta Soror sono le scimmie ad aver raggiunto il maggiore grado evolutivo, costruendo una società complessa e governando incontrastate sul pianeta.
Il romanzo di Boulle ironizza sulla presunzione del genere umano, da sempre convinto della propria superiorità sugli altri esseri viventi e della sua esclusività in quanto essere raziocinante dotato di intelligenza. Tale prospettiva si rovescia nel mondo descritto dall’autore francese, dove le scimmie schiavizzano e trattano alla stregua di animali gli esseri umani, un tempo padroni del pianeta, fautori della loro stessa rovina.
I primi cinque film (1968-1973)
Il Pianeta delle scimmie (1968)
Nel 1972, l’equipaggio di una navicella impegnata in una missione spaziale della durata di 7 mesi, che per effetto della legge di relatività equivalgono a 700 anni sul pianeta terra, si appresta a rientrare alla base. Un’anomalia spazio-temporale si abbatte però sulla nave facendola precipitare su uno sconosciuto pianeta alieno 1000 anni in ritardo sulla data inizialmente prevista.
I tre membri dell’equipaggio superstiti, Dodge, Landon e Taylor, il protagonista interpretato da Charlton Heston, iniziano a esplorare la superficie del pianeta.
Il mondo alieno su cui i protagonisti sono ammarati pare essere inospitale e inadatto alla vita. Tuttavia, durante la loro esplorazione si imbattono in alcune piante e in un’oasi.
I tre si imbattono in alcuni nativi del pianeta, homo sapiens allo stato primitivo e incapaci di proferire parola. Giunti in un campo coltivato a gran turco, i selvaggi diventano preda di una violenta caccia all’uomo da parte di un gruppo di scimmie antropomorfe a dorso di cavallo, dotate di armi da fuoco.
Presi come prigionieri, Taylor e compagni vengono condotti nella città delle scimmie, qui scoprono l’esistenza di una società avanzata e tecnologicamente progredita (le scimmie dispongono infatti di polvere da sparo e di notevoli conoscenze in campo medico).
“Un mondo in cui le scimmie comandando e gli umani sono trattati come bestie”
Taylor è trattato dalle scimmie come un animale, tenuto in cattività in una stretta gabbia e vestito di stracci, vittima dei pregiudizi razziali delle scimmie abituate a vedere gli esseri umani come animali inferiori, privi della capacità di parlare e dalle scarse capacità intellettive.
Gli esseri umani vengono impiegati come schiavi nei cantieri, come animali domestici e cavie da laboratorio, la loro vita è considerata insignificante e di scarso valore. E ne è triste esempio la sfortunata sorte riservata a Dodge e Landon: uno impagliato ed esposto in un museo, l’altro lobotomizzato e privato della sua natura umana.
L’unica a dimostrare empatia per Taylor è la scienziata Zira, una scimpanzè dedita allo studio degli esseri umani, capace fin da subito di scorgere in lui tracce di una intelligenza superiore. Sarà proprio lei infatti ad aiutarlo nella sua rocambolesca fuga.
Taylor, ora latitante, tenterà la fuga verso la zona proibita, una terra in cui le scimmie non osano avventurarsi a causa dei precetti religiosi contenuti nel libro sacro della loro religione, un testo scritto da un misterioso Orango vissuto secoli prima chiamato “il legislatore”.
Qui Taylor accompagnato da Nova, una donna nativa del pianeta, Zira e il suo compagno Cornelius, un giovane archeologo, rinverranno le tracce di una natica civiltà umana tecnologicamente superiore a quella delle scimmie, portando alla sconcertante rivelazione finale.
Una volta che Taylor si allontana a cavallo assieme a Nova si imbatte nei resti della Statua della Libertà.
Taylor non si è mai trovato su un pianeta alieno, la sua nave è precipitata sulla terra mille anni nel futuro. L’uomo si è estinto con le sue stesse mani, della società che Taylor conosce non rimane ormai più nulla.
“Maledetti! Maledetti per l’eternità! Tutti!”
La Filosofia de “Il Pianeta delle Scimmie”
Questo primo capitolo della saga conserva senza dubbio la carica satirica del romanzo di Boulle sollevando inoltre numerosi temi interessanti che meritano un approfondimento ulteriore.
Il film uscito nelle sale nel 1968, anno segnato da una ondata globale di manifestazioni studentesche e dalla tensione bipolare della guerra fredda, risente fortemente del clima culturale e sociale in cui è stato girato.
La società scimmiesca descritta nel film è scientificamente e culturalmente progredita ma irrimediabilmente divisa in caste di natura etnica e razziale.
La tensione sociale fra le diverse caste è evidente, con i Gorilla rappresentati come guerrieri ottusi e sanguinari, interessati solo a dare la caccia agli umani e gli oranghi descritti come oscurantisti detentori di un culto religioso i cui dogmi affondano le loro radici nelle parole di un fantomatico profeta vissuto millenni prima.
Sarà infine l’ardore giovanile e rivoluzionario di Cornelius e Zira a trionfare sull’invizzito conservatorismo degli oranghi, osservatori integerrimi delle antiquate norme religiose scritte dal legislatore, permettendo infine alla verità di venire a galla.
La faziosità della comunità religiosa, incarnata dagli oranghi, è messa più volte in luce, sia dalla messa in scena che dal valore simbolico di alcune scene.
Quando viene indetto il tribunale d’inchiesta contro di Taylor i tre oranghi che fanno parte della giuria ricordano chiaramente le tre scimmie della tradizione cinese con gli occhi, le orecchie e la bocca coperta ovvero Mizaru, Kikazaru e Iwazaru.
Esse sono l’impersonificazione del male, archetipi di una malvagità meschina, sotterranea, ignava, che preferisce girarsi dall’altra parte davanti ai problemi, preferendo l’inazione all’iniziativa, priva di uno qualsiasi spirito critico in merito alle scelte, spesso sbagliate, che più volte, come specie, abbiamo preso.
Il messaggio animalista e lo spettro della fine del mondo
L’intelligenza non deve essere data per scontata come una prerogativa umana, la razionalità, ritenuta per secoli tratto caratterizzante della nostra specie e motivo di superiorità sugli altri esseri viventi del pianeta in questo universo narrativo non ci appartiene più, l’uomo è regredito fino ad essere poco più che una bestia.
L’ingiusto e “disumano” trattamento riservato ai nostri simili per tutto il film ci viene sbattuto a più riprese davanti agli occhi, salvo poi capire che tale prospettiva rovesciata in realtà si rivolge a noi in prima persona.
Il concetto di umano subisce una traslazione, una reinterpretazione che ci accompagnerà per tutta la saga. Il capovolgimento di senso impresso dalla narrazione ci fa inconsapevolmente fraternizzare con le stesse scimmie, vittime di un trattamento equivalentemente disumano nella realtà, vividamente impresso nei nostri occhi dalle sventure di Taylor e compagni.
Continuando sulla linea della riflessione sul genere umano vediamo come la paura della sua fine emerga con forza dirompente sul finale.
La forma iconografica, ormai divenuta cliché a causa di tutti i film in cui è stata presa in prestito, del simbolo in pezzi (il relitto della Statua della Libertà) gettato in anni in cui il mondo sperimenta da vicino la possibilità di un conflitto da “fine del mondo” non può che rivolgersi direttamente agli spettatori di quel preciso momento della nostra storia, bisbigliandoci all’orecchio: “guarda di cosa siamo capaci”.
“L’altra faccia del pianeta del pianeta delle scimmie” (1970)
L’intero Franchise si poggia sul primo film, i capitoli seguenti sia dal punto di vista commerciale che artistico non saranno capaci di eguagliare il loro predecessore.
Se nel primo capitolo abbiamo lasciato Taylor e Nova davanti al poco che rimane della Statua della Libertà ora li ritroviamo intenti a esplorare le lande desertiche della zona proibita, qui, imbattutosi in un bizzarro fenomeno metereologico, consistente in lampi e una fitta cortina di fuoco, vediamo sparire misteriosamente Taylor, quasi risucchiato nelle profondità di una montagna, lasciando Nova da sola nel mezzo del nulla.
Il sopraggiungere di un’altra navicella, anch’essa vittima della stessa anomalia che aveva colpito Taylor porterà sul pianeta Brent, il quale condotto alla città delle scimmie da Nova verrà coinvolto suo malgrado nella lotta di potere fra i bellicosi gorilla, guidati dal generale Ursus e una comunità di umani mutanti che popola il sottosuolo di New York.
Il Culto della Bomba
In una delle scene più memorabili della pellicola Brent e Taylor assistono ad una messa sui generis, i mutanti , riuniti, celebrano un rito in cui ad essere adorato è l’ordigno atomico, posto al centro dell’altare e decantato dai cori degli astanti come sacro garante di pace. La bomba è il sottile cordone ombelicale che collega questi pseudo-umani al loro passato, al periodo pre-bomba, inquietante totem annunciante la fine del mondo ma allo stesso tempo rassicurante monolite che ricorda loro il tempo prima dell’apocalisse atomica.
La messa prende le sembianze di un grottesco musical il cui climax si tocca quando i fedeli si tolgono le maschere che avevano indossato segretamente fino a quel momento, scoprendo i loro volti orribilmente sfregiati, martoriati dalle radiazioni di una copia di ciò che con tanto zelo venerano.
Il paradosso di una società pacifica, l’unica difesa contro le scimmie sono infatti proiezioni mentali, instillate mediante la manipolazione psichica nelle loro vittime, custode della più terribile protesi del militarismo estremo, la “doosmday bomb”, la “bomba della fine del mondo”, che realizzerà in atto lo scopo del suo concepimento alla fine del film. Il commento dei due astronauti è sublime, in bilico fra l’orrore e l’ammirazione: “l’abbiamo fatto davvero“.
Nel contesto di un mondo sulla soglia del baratro nucleare questo film prova a prefigurarsi il peggiore degli scenari possibili per il genere umano, immaginando cosa accadrebbe se la nostra civiltà avanzasse come unico lascito cimeli polverosi, scheletri di città, inquietanti bombe, scivolando nei recessi più dimenticabili della storia.
Fuga dal Pianeta delle Scimmie e 1991:Conquista della terra
Il mondo finisce, ma non tutti periscono nella terribile esplosione, nei due capitoli seguenti “Fuga dal pianeta delle scimmie” e “1991: Conquista della terra”, seguiamo prima le vicende di Zira e Cornelius, sopravvissuti all’esplosione scappando a bordo della nave di Taylor e giungendo sul pianeta terra e poi del figlio Cesare, nato sotto il giogo della schiavitù, leader della ribellione delle scimmie che metterà fine all’egemonia umana sul pianeta.
Si tratta di due pellicole prive dello slancio innovatore dei due primi capitoli della saga, in particolar modo “fuga dal pianeta delle scimmie” tenta di integrare i personaggi dei due Scimpanzè Zira e Cornelius in una ambientazione umana privando però il film della suggestività delle immaginifiche cornici dei suoi predecessori, rendendo il tutto piatto e privo di autentici guizzi, confezionando inoltre una linea comica che per tempistiche e scrittura non ingrana.
Anche “1991 : conquista della terra”, racconto di formazione in cui viene introdotto il personaggio di Cesare, non brilla particolarmente risultando spesso ripetitivo e ricalcando su cliché già sdoganati all’epoca dell’uscita del film.
Anno 2670: Ultimo Atto
Il capitolo conclusivo di questo ciclo cinematografico si apre con Cesare nella piena maturità fisica e di leadership, impegnato nel coltivare il sogno di una nuova nazione di uomini e scimmie unite pacificamente, anche se non tutto è semplice come sembra. Il disegno utopico di Cesare scricchiola, i ricordi della schiavitù umana sono troppo recenti, difficili da cancellare, la sua carismatica leadership fatica a trattenere la smania guerresca di Aldo e dei suoi gorilla, convinti della supremazia delle scimmie sugli umani. La convivenza si fa asfissiante fino a deflagrare in un conflitto intestino, che porterà Aldo a tentare un colpo di stato. A minacciare la creazione di Cesare ci si mette anche un gruppo di superstiti umani, sopravvissuti sotto le macerie di New York, determinati a riprendere la terra emersa e a riconquistare il pianeta che ritengono spettare di diritto al genere umano.
La forza del No
L’avverbio “no” in questo film assume una rilevanza del tutto particolare, non si tratta solo di una mera negazione ma della forza di riuscire ad opporsi, divenendo lo strumento verbale e simbolico con cui si nega la propria abnegazione ai potenti, con cui si rifiuta la più bieca sottomissione. Cesare ha la forza di dire No, questo lo eleva al rango di leader delle scimmie.
Il No è tabù nell’universo del pianeta delle scimmie, in particolare in questi due capitoli finali. Gli umani vogliono che le scimmie in cattività temano il no, che arrivino al punto di non contemplarlo neppure, obbedendo ciecamente ad ogni loro ordine. Per far ciò è necessario servirsi dell’intimidazione e della manipolazione per rimuovere dalla mente dei loro schiavi l’idea stessa di opposizione, la sua essenza più astratta e significante. Eliminando la possibilità anche solo di pensare la negazione si otterrà un esercito di automi, capaci solo didire “si”.
Si tratta di un tema che si allaccia a doppio filo a una pluralità di riferimenti storici, dai totalitarismi Europei della prima meta del secolo XX, fino agli scritti di George Orwell, in cui il linguaggio e la sua semplificazione diventano armi temibili tanto quanto le bombe.
Questo remake venne alla luce dopo una serie di rocambolesche vicissitudini produttive. L’idea di un possibile rifacimento girava già dagli anni 80’ quando Adam Rifkin propose alla 20th Century Fox di realizzare un nuovo film ambientato nell’universo narrativo della saga.
L’idea era quello di ambientare il racconto in un contesto che ricordasse l’epoca classica, con scimmie in costumi greci e romani. Nel corso di rielaborazioni successive venne anche proposto di ambientare il tutto in un epoca che assomigliasse al rinascimento italiano, con Roddy Mcdowall, l’attore che ha interpretato Cesare nella saga degli anni 70’, favorevole ad interpretare un primate che ricordasse nelle sembianze Leonardo Da Vinci, il progetto sarebbe stato affidato a Peter Jackson, che tuttavia decise alla fine di dedicarsi ad altro.
Nel 1999 la Fox affidò allo sceneggiatore William Broyles Jr. il totale controllo creativo del nuovo film , il copione interessò Tim Burton che accettò di dirigerlo. La pellicola che riprende in larga parte a storia del romanzo di Boulle e i film della saga precedente risulta essere graficamente convincente e a tratti maestosa, cadendo però sulla sceneggiatura, ritenuta dalla critica scadente.
Questo remake dà la possibilità di vedere le vicende narrate nella saga originale arricchite di un comparto visivo moderno e convincente , non riuscendo però nell’avere lo stesso mordente, cadendo in una scrittura a tratti semplicistica e priva di momenti realmente memorabili.
Si salva quella sottotraccia di Burtonismo che risalta nella bizzaria di alcune scene, nell’eccentricità di alcuni personaggi, nella resa grottesca e archetipica degli antagonisti. Il tutto supportato da un reparto trucco d’eccezione che riesce a rendere credibili le fattezze scimmiesche dietro cui si celano attori come Helena Bonham Carter e Tim Roth.
La Nuova Trilogia (2011-2018)
L’alba del pianeta delle scimmie (2011)
«Tutto questo è parte di una mitologia e deve essere visto come tale. Non è la continuazione degli altri film; è una storia originale. Deve soddisfare le persone a cui piacquero quei film. L’obiettivo è infatti raggiungere e attirare quei fan esattamente come è successo per Batman Begins.”
(Rupert Wyatt)
L’alba del pianeta delle scimmie prende sulle spalle l’onere di introdurre la nuova trilogia, di iniziare la costruzione del personaggio di Cesare, interpretato grazie alla tecnologia del motion capture da Andy Serkis, e di generare l’humus narrativo da cui germoglieranno gli altri due film della trilogia. (e non solo, vista la nuova trilogia in arrivo)
Il film segue le vicende del giovane scimpanzé Cesare, nato in un laboratorio e cresciuto da Will Rodman, ricercatore della Gen-Sys interpretato da James Franco.
Will è alla disperata ricerca di una cura per l’Alzheimer che gli permetta di curare il padre malato, impegnandosi anima e corpo nella realizzazione di un possibile antidoto, il quale viene sperimentato sulle scimmie del laboratorio.
Da un esemplare di scimpanzè femmina, soprannominata “Occhi Luminosi”, nasce Cesare, il quale ha ereditato congenitamente gli effetti del siero che Will ha somministrato alla madre.
La cura che Will ha sviluppato ha effetti incredibilmente positivi su Cesare, il quale non avendo malattie pregresse sperimenta un esponenziale incremento cognitivo.
Proprio questa sua intelligenza fuori dal comune è la sua croce e delizia, il giovane scimpanzè viene cresciuto con amore da Wil e dal Padre, nel frattempo rinsavito grazie agli effetti della cura, ma è tormentato, fin troppo consapevole di ciò che accade attorno a lui, dubbioso circa la sua natura e dimidiato dalla ricerca della sua vera identità.
Il film mescola il privato di Will, impegnato nella ricerca della cura per il padre, con la crisi d’identità di Cesare, facendo sì che le fragilità dei due co-protagonisti si invadano vicendevolmente, abbattendo i confini della narrazione.
La parabola di Cesare
La magnifica scrittura di Cesare e la sua magistrale interpretazione da parte di Serkis prendono infine il sopravvento, confinando Will ad un ruolo da comprimario, rendendo lo scimpanzé protagonista totale delle vicende.
Cesare è un leader sensibile, toccante la scena in cui il primate si accorge della recrudescenza della malattia del padre di Will incapace di impugnare a dovere la forchetta, ma all’occorrenza spietato, intelligente ma spinto dalle circostanze verso un rancore profondo che lo logora.
A causa di una crisi del padre di Will, provocata dalla malattia, Cesare nel tentativo di difenderlo dalle prepotenze del vicino di casa viene strappato alla sua famiglia e alla sua casa, confinato in una struttura-prigione in cui le scimmie sono abusate dal personale umano.
Cesare grazie ad un piano ingegnoso riesce ad architettare la sua fuga, rubando alcune fiale del Alz 112 dall’abitazione di Will e somministrandolo ai suoi compagni di prigionia.
L’incremento dell’intelligenza delle scimmie non può che portare alla rivoluzione, la loro evoluzione segna la rottura delle catene in cui gli umani le hanno costrette.
Il focus dell’empatia dello spettatore si muove al passo della narrazione, se prima siamo vicino a Will e al suo dramma familiare ci facciamo poi rapire dalla lotta delle scimmie per l’uguaglianza e la libertà.
L’alba del pianeta delle scimmie è la perfetta pietra angolare sui cui costruire i futuri capitoli della saga, ponendo le basi su cui edificare la complessa figura di Cesare destinata a personalizzare la trilogia attorno al suo straripante carisma.
Apes Revolution, il Pianeta delle scimmie (2014)
Con il secondo capitolo il regista Matt Reeves segna un completo cambio di prospettiva, una netta cesura narrativa e di genere rispetto al suo predecessore.
Apes revolution si appropria del genere action, rendendo il conflitto fra la colonia di Cesare e gli umani superstiti centrale trovando il suo culmine nella maestosa sequenza di guerra in cui le scimmie si impossessano della città degli umani.
Ma facciamo un passo indietro, l’Alz 112 precedentemente testato sul padre di Will ha effetti letali per gli esseri umani, risultando essere l’equivalente di un virus, il quale rapidamente si diffonde in tutto il mondo mietendo miliardi di vittime.
Gli esseri umani sopravvissuti al virus, i quali hanno sviluppato una sorta di immunità di gregge, si riuniscono in piccole comunità tentando di ricostruire la civiltà.
Devono però fare i conti con la colonia di scimmie di Cesare che abita a pochi chilometri da loro, in prossimità di una grande diga che serve agli umani per garantirsi energia elettrica.
Proprio la diga è l’elemento scatenante della contesa fra umani e scimmie, portando ad un conflitto che rispolvererà antichi rancori mai sopiti.
Scimmia non uccide scimmia
Il principio cardine dell’etica scimmiesca, il primo comandamento del testo del legislatore, la regola aurea che guida Cesare in tutti i film del Franchise.
Le scimmie alla prova dei fatti sono più umane di noi? La risposta è in parte sì, hanno costruito una società non priva di difetti, come abbiamo visto nel corso dei film più volte la rigida divisione castale finirà col cedere portando a conflitti intestini.
Ma d’altra parte disprezzano profondamente l’uomo a causa della disinvoltura con cui si fa la guerra, per via della naturale propensione degli umani di uccidere altri umani, un errore che le scimmie si guardano bene dal commettere, nonostante ciò avvenga a più riprese.
Ciò che è evidente da tutti i film è come la vita delle scimmie per le scimmie abbia immenso valore, di quanto l’uccisione di un simile sia una colpa incancellabile, Ursus col figlio di Cesare in 2670 ultimo atto e Koba in Ape revolution, e della naturalità di sentirsi uniti nonostante le differenze.
Ogni volta che una scimmia agisce, anche se nella veste di antagonista, lo fa per il bene collettivo e non per far prevalere la propria fazione a discapito di un’altra, lo fa dunque in virtù di ciò che ritiene la migliore delle decisioni possibili per l’intera specie.
Cesare, leader dei due mondi, capace di una profonda comprensione di entrambe le specie si pone come ponte, come punto di contatto, come cucitura che rimargini le ferite provocate dalla diffidenza, professando la convivenza pacifica e la reciproca comprensione.
Capitolo conclusivo della trilogia chiude la parabola di crescita di Cesare, che qui vediamo invecchiato e più che mai fragile.
La pellicola, che mescola stilemi di generi differenti, è un po’ di tutto, un po’ War movie, un po’ road movie, un po’ action, mescolando scene di battaglia campali a sequenze che ricordano molto “the last of us” , con Cesare e compagi impegnati nell’esplorazione di desolanti scenari post-apocalittici.
La colonia delle scimmie è minacciata da un colonnello dell’esercito americano (Woody Harrelson), la cui venuta era stata annunciata nel finale del capitolo precedente. L’uccisione dei suoi familiari metterà a dura prova i principi di Cesare rischiando di farlo precipitare nella voragine del risentimento e della vendetta.
La resa dei conti finale fra Cesare e il colonnello è inscenata magistralmente anche se le dinamiche fra i personaggi e alcune scelte di messa in scena risultano essere prevedibili e già viste.
La figura dello scimpanzè Cesare subisce una ulteriore trasformazione, assumendo in più punti un atteggiamento cristologico, sacrale, arrivando al punto di sacrificarsi per il bene della sua gente.
Cesare come un antico patriarca ebraico guida il suo popolo verso la tanto agognata terra promessa, mettendo fine alla travagliata storia della sua colonia e gettando le fondamenta per una nuova epoca di pace.
Il citazionismo con la saga originale è evidente, l’esercito personale del colonnello è effigiato dell’alfa e dell’omega, come i telepati de” l’altra faccia del pianeta delle scimmie”, la bambina che Cesare soccorre è ribattezzata Nova e altre piccole citazioni che strizzano l’occhio agli spettatori particolarmente affezionati.
La storia di un popolo
Questa trilogia tratta senza dubbio dell’origine di un popolo, partendo dalla sua nascita, seguendone la liberazione dalla schiavitù, il conflitto per la sua sopravvivenza e il suo pacifico prosperare. I tre film seguono le tappe salienti che porteranno all’ascesa e all’affermazione della civiltà scimmiesca e il diametralmente opposto destino di quella umana, la quale raggiunta la vecchiaia si avvia a spegnersi lentamente, tentando inutilmente di ritardare la sua definitiva scomparsa.
La fine del genere umano non deriva dalla contesa con le scimmie ma è figlia di problematiche endogene, tanto antiche quanto la nostra storia, mettendo a nudo fragilità che, alla resa dei conti, dimostrano quanto poco siamo umani.
In conclusione, il pianeta delle scimmie è una epica saga che dura da quasi sessant’anni, svariando su una moltitudine di temi e generi differenti, incantando con spettacolari scene action e commuovendo con sequenze intime e toccanti descrivendo magistralmente la storia di un popolo e del suo grande leader.