Iwonderfull

‘Frammenti di un percorso amoroso’: il cinema come memoria (di sé)

La regista francese Chloé Barreau cita Roland Barthes e firma un documentario dove il video-diario si affianca alle interviste frontali

Published

on

Dopo essere passato in Notti Veneziane alle Giornate degli Autori 2023 approda su IWONDERFULL (sul sito iwonderfull.it e sul suo canale IWONDERFULL Prime Video Channel) il film della regista francese Chloé Barreau, Frammenti di un percorso amoroso. Un documentario anomalo, tra home movie e cinema sperimentale, dove l’amore e le sue declinazioni si mischiano al peso della memoria in un gioco di specchi in cui l’io si segmenta in tante storie diverse. Una intima, spiazzante e originale riflessione su come ci vediamo e come, soprattutto, ci vedono gli altri.

‘Frammenti di un percorso amoroso’: la trama

Chloé è un’eterna innamorata. Se di se stessa, dei suoi amanti o solamente dell’idea dell’amore è difficile dirlo. Quello che è certo, però, è che è proprio questo amore ad averla spinta a filmare, per quasi trent’anni, la sua vita sentimentale, dalle prime storie adolescenziali alle relazioni più mature e tormentate. Un materiale enorme che la regista decide di sistematizzare integrandolo con una serie di interviste fatte ad hoc a tutti i suoi ex (tra loro anche l’attrice Anna Mouglalis e la regista Rebecca Zlotowski).

È l’inizio di un percorso di confessioni a cuore aperto, rimpianti e risentimenti, in cui la protagonista e la sua immagine sfuggono continuamente. Un’autobiografia anomala, imperfetta e per certi versi paradossale (un documentario fortemente soggettivo dove il soggetto, però, è quasi sempre fuori dall’inquadratura) che è anche una lunga e ininterrotta storia d’amore.

Vedere ed essere visti

“Non so se voglio amare o essere amata. Forse è la stessa cosa”. A parlare, in una delle sue rarissime incursioni davanti alla macchina da presa, è la stessa Chloé Barreau, ancora adolescente. Una confessione che ci introduce nel suo personalissimo video-diario amoroso e che potrebbe valere per l’amore così come per l’atto stesso del guardare. Facendo, cioè, del vedere e dell’essere visti il perno stesso attorno al quale gira la vera essenza del film.

Ma chi guarda chi in questo home movie dove l’autobiografia si confonde con la seduta terapeutica e il documentario si perde dentro un’opera narcisistica e ai limiti del masochismo? Che Chloé sia “vista”, infatti, attraverso gli occhi dei suoi amanti e che, proprio attraverso il loro sguardo, le loro storie, la loro memoria, cerchi di ricomporre un’immagine per quanto possibile “oggettiva” di sé, è indubbio. Ma è altrettanto vero come, attraverso questa operazione di riscoperta, confronto e collage, la regista divenga a sua volta la memoria dei suoi stessi amanti, colei che, guardandoli attraverso l’inseparabile macchina da presa, finisce col fissarli definitivamente nel tempo.

Tra memoria privata e collettiva

Un vedersi a vicenda, dunque. Un darsi la vita reciproco attraverso lo sguardo che nel film di Barreau prende la forma di un (auto)ritratto atipico. Una riflessione sull’amore, sulla memoria (“a chi appartengono i nostri ricordi?”) e sulla definitiva imprendibilità dell’io che da particolare riesce a farsi universale.

Il risultato è così un esperimento che, prima ancora che confessione intima o consolazione agrodolce, è un inno al dispositivo cinematografico stesso. Alla sua capacità di raccontare e raccontarsi, di raccogliere confessioni e farsi memoria collettiva. Fino a riscoprire, in quel vedersi a vicenda, in quell’essere testimonianza e memoria reciproca, la traccia stessa del nostro passaggio. Quella consapevolezza di non essere stati dimenticati da chi, almeno per un momento, ci ha amato e che ci permette di dire: “tutto questo è esistito”.

Exit mobile version