Sono tante le tecniche e le strategie che si possono mettere in atto per elaborare un lutto traumatico: David Cronenberg, il regista canadese che ha superato gli 80 anni, autore di film come Crash (Prix Spécial della Giuria a Cannes nel 1996), Spider, A History of Violence, Crimes of the Future (selezionati in Concorso a Cannes nel 2002, 2005, 2022), trovandosi in questa situazione per la scomparsa della moglie, ha deciso di fare un film intitolato The Shrouds (I Sudari), selezionato in Concorso a Cannes 77.
“Ho scritto questo film mentre stavo vivendo il contraccolpo della morte di mia moglie, scomparsa sette anni fa – racconta Cronenberg – Questo dramma mi ha toccato molto profondamente e quella che doveva essere un’esplorazione tecnica è diventata, a poco a poco, un’esplorazione emotiva e personale”.
Ateo convinto, Cronenberg nel film realizza il suo alter ego in Karsh, il protagonista del film interpretato da Vincent Cassel (truccato in modo perfetto per assomigliare al regista), un noto uomo d’affari cinquantenne, il quale, inconsolabile per la morte dell’amatissima moglie Becca inventa un sistema rivoluzionario e controverso, denominato GraveTech, che consente ai vivi di connettersi ai propri cari morti e seguire, per via telematica, il destino del loro corpo nella tomba.
Di questa idea, da bravo imprenditore, Karsh ne fa un business e costruisce anche un cimitero ad hoc, con annesso ristorante di lusso, per tutti coloro che condividano la sua visione voyeristica e acquistino le sue tombe.
Il sudario, da cui il titolo del film, è qui una sorta di ‘velo’, di copertura protettiva, che nasconde e racchiude il corpo prima della sepoltura. “Nella maggior parte dei riti funebri – afferma il regista – ciò che conta è negare la realtà della morte, di fatto nascondendo i corpi. Io invece ho fatto il contrario: le mie protezioni digitali vogliono rivelare invece che nascondere.”
In altre parole si può osservare passo dopo passo la decomposizione del corpo, guardare lo scheletro e parlarci perché, come racconta Karsh ad un’amica, questo fa sentire meno solo chi resta, dà l’idea di una connessione con un corpo ed una persona, sia pure in disfacimento.
Inconsolabili di tutto il mondo, unitevi in Gravetech
Il film inizia in modo molto coinvolgente e misterioso, in una delle atmosfere cui ci ha abituati Cronenberg, di realtà parallele, colori forti, satinati, sempre con un occhio a un mondo altro, tra sogni e vita reale.
In questo caso si tratta di un mondo post-mortem ma non ultraterreno, sempre legato al corpo, alla fisicità, sia pur nel suo lento dissolversi, con un’estetica quasi fantascientifica, che lascia presagire un prosieguo altrettanto conturbante.
“Molte sono le cose che ci aiutano a evadere dalla realtà del corpo umano – prosegue Cronenberg – che per me, ateo che non crede a una vita ultraterrena e allo spirito che vive separatamente dal corpo, è un’evasione dalla realtà della condizione umana”.
Il film vira presto al thriller, poiché una notte alcune tombe del cimitero tecnologico, compresa quella di sua moglie, vengono vandalizzate e Karsh si attiva allora per trovare i colpevoli: l’ipotesi del complotto russo-cinese (o l’ossessione che ne esista uno), viene presa in esame, date le potenzialità tecnologiche offerte da GraveTech.
Nella seconda parte, in questa confusa e forse pretestuosa ricerca dei sacrileghi, aiutato dal cognato (l’attore australiano Guy Pearce), esperto informatico cui Karsh ha affidato l’aspetto digitale dell’azienda, il film si perde e non riesce a ritrovarsi né a mantenere quella prima impressione così promettente, nonostante gli ottimi interpreti e la perfetta confezione estetica.
Finché la morte non ci riunisca
In The Shrouds compaiono due importanti personaggi femminili, una è la sorella della moglie morta (la stessa Diane Kruger che, in tutto il suo splendore, interpreta le due donne), con la quale Karsh instaura uno strano legame, l’altra è un’amica poi amante collegata al mondo della politica che aiuta il protagonista ad indagare su chi potrebbe aver commesso l’atto vandalico: forse gli ecologisti islandesi o i cinesi, o più probabilmente qualcuno molto più vicino a lui, qualcuno di famiglia…
Ma il cuore del film sono certamente, oltre all’idea dei sudari digitali, i sogni e le visioni che il protagonista ha della moglie morta di cancro al seno, che gli compare appena uscita dalla sala chirurgica, fasciata sul petto dopo l’operazione di mastectomia, e Karsh/Cronenberg le parla con dolcezza cercando, al di là del dolore, di trametterle il suo immutato amore.
“Al di là di qualsiasi considerazione cinematografica sul body horror, quello che conta è l’estetica – sottolinea il regista – Karsh quando sogna dice a sua moglie: ‘sei ancora sessualmente attraente, ti voglio ancora, sei ancora bella: posso adattare la mia estetica a qualsiasi cosa sia diventato il tuo corpo perché ti amo e saremo legati per sempre’. Questo era quello che volevo dire“.
Certamente un atto d’amore, questo film, con una cifra stilistica personalissima e dark, come si conviene a Cronenberg, ma anche un modo per esorcizzare la sofferenza della perdita, dell’assenza, dell’abbandono.
“Alcune cose dette nei dialoghi del film sono vere – racconta il regista – ad esempio che, quando mia moglie venne sepolta, volevo essere nella bara con lei. Non potevo immaginare di abbandonarla. Naturalmente, nel mondo reale questo non è possibile. Ma questo è stato il primo momento di ispirazione, perché oggi l’unico modo in cui puoi essere nella bara è usando la tecnologia“.