Stardust Memories è il decimo film di Woody Allen, da lui scritto e diretto e prodotto dalla United Artists e Charles H. Joffe. Alla fotografia, Gordon Willis, che aveva lavorato con Allen già in Annie Hall, Interiors e Manhattan. Nel cast, oltre allo stesso Allen nel ruolo del protagonista, Charlotte Rampling, Jessica Harper, Tony Roberts, e una giovane Sharon Stone al suo debutto sul grande schermo.
IL TRAILER – Stardust Memories
Il regista e il pubblico – Stardust Memories
Nel corso degli anni, una delle critiche maggiori a Stardust Memories e quindi al suo autore, risiede nel non essere riconoscente verso lo spettatore. Il cinema americano vive di pubblico, lo coccola, accontenta le sue aspettative, cerca di rassicurarlo rispetto a ciò che vuole vedere. E qui Allen compie un’altra decostruzione della forma filmica intesa come facile fruizione. Se in Annie Hall l’interpellazione dialogava con lo spettatore mettendolo nel piano paritario tra autore e chi paga il biglietto, in Stardust MemoriesWoody Allen critica il pubblico.
Ma non una fetta generale di chi va in sala; critica proprio il suo pubblico. Lo spettatore medio che vuole ridere di banali gags slapstick, quel fruitore cinematografico che non la smette di blaterare, di sghignazzare a battute di cui non afferra il senso. Il linguaggio della messa in quadro aiuta specificatamente a sottolineare il dissidio tra Allen e il suo pubblico. Il protagonista, Sandy Bates, uno dei più grandi registi comici americani, è costretto a partecipare malvolentieri a una rassegna dei suoi film per il week-end presso l’hotel Stardust.
Il cinema come anti-intrattenimento – Stardust Memories
Qui l’alter-ego di Allen è travolto dall’amore ossessivo dei suoi fan. Professori universitari che vogliono farsi produrre le proprie sceneggiature, ipotetiche comparse, stalker che si intrufolano nel suo letto. Tutti vengono ripresi guardando in camera, primi piani che sono schiacciati o angolati. Allen tenta, riuscendoci, di riportarci la visione dello spettatore di quel preciso periodo della sua carriera. Un pubblico deformato, ingordo della comicità spicciola, sempre assetato di cinema come intrattenimento. Ma negli anni Ottanta per Woody Allen il suo cinema non è intrattenimento. È psicoanalisi sulla sua vita, approfondimento sul malessere esistenziale, amore per il neorealismo e il magico realismo del passato.
Così Stardust Memories, in una delle principali letture del film, si trasforma in una derisione umiliante del pubblico di Allen. Lo si nota in quella sorta di conferenza stampa con il pubblico da cui provengono frasi divenute ormai must e che impreziosiscono il notevole frasario di Woody Allen. E Sandy fa qualcosa di più che far ridere i suoi fans adulatori. Dall’alto del palco guarda i loro volti ridere sguaiatamente, applaudire prima di aver detto la battuta. E, come Giove, frappone la distanza tra il suo ego e quello del suo pubblico.
Il film nel film
Alla fine degli anni Ottanta, Allen aveva il mondo ai suoi piedi. Annie Hall, il cambiamento verso la commedia d’autore, Manhattan la consacrazione come autore. Nel mezzo Interiors, un’opera che, non solo delineava il suo amore per Ingmar Bergman, ma la volontà di essere un regista fintamente americano e un director vivamente europeo. Stardust Memories è influenzato dalla volontà di Allen di far riecheggiare nel cinema i suoi miti. Il decimo film può identificarsi come il suo 8½, talmente intriso di distorsioni e similitudini con Federico Fellini. La scena iniziale del film riproduce la sequenza iniziale di Guido Anselmi del celebre cult italiano.
Bates e Anselmi sono chiusi nello spazio chiuso della propria polvere di stelle, l’uno sul treno, l’altro in macchina. Entrambi, nei silenzi e nei sorrisi della folla, riassumono l’esistenza del regista in crisi, monomito di Fellini e pallino di Allen nella maggior parte della sua produzione. Sandy e Guido usano le terme e l’hotel Stardust come pausa dall’industria del cinema, indecisi su cosa sia la forma filmica e quanto la categoria di regista debba essere separata da quella di autore. Bates come Anselmi, nel mondo straordinario della propria sospensione, riflette sulla crisi della propria identità.
L’8½ di Woody Allen
Per Allen, però, al netto della sua negazione, Stardust Memories rappresenta un film autobiografico non sulle relazioni sentimentali, ma sulla sua relazione col cinema. Il film rende fragile il decoupage classico per costruire diversi montaggi, quello della attrazioni molto usato nella prima parte, e quello alternato che gioca di molto con il cinema-ricordo.
Sandy Bates usa i personaggi femminili come microcosmo della sua commedia romantica. La complicata e anima gemella Dorrie (Charlotte Rampling) del passato, si unisce, come avviene ad Anselmi, in un intreccio che culmina con la quasi compagna Isobel e l’intellettuale problematica Daisy. Questi piccoli tasselli emotivi del presente e del passato attivano l’immagine ricordo di Sandy. Che è creata a somiglianza del suo creatore. Narcisa, egocentricamente spumeggiante, ma pur fragile nella crisi di Allen col suo pubblico. Il punto di Stardust Memories sembra essere questo. Dare qualcosa di nuovo, di più personale. Convincersi che il pubblico vuole vedere il privato e la perdita dell’ispirazione per trovarla nel disagio.
L’immagine ricordo e l’immagine spettatore
Non è un caso che Allen nella forma dialogata agisce prima in fuori campo e poi subentra aggiungendosi all’interlocutore. Fa parlare in camera i personaggi e poi li raggiunge. È un’attesa quella del cineasta americano. Di ricerca di una visione filmica, indecisa come nella realtà di Allen tra commedia e tragedia. Divertire il pubblico o farlo patire.
In questo atto di sfida nei confronti dello spettatore il regista di Annie Hall regala un film nel film. Una grande proiezione a cui assistiamo per tutta la durata di Stardust Memories. E prima che il film termini e la sala del cinema accenda i riflettori sulla fine della finzione, è emblematico l’ennesimo schiaffo di Allen al suo pubblico. “Seriamente credo che questo sia un bel finale”, così si rivolge Sandy a Isobel per baciarla e chiudere il film. Il finale con cui tra le righe Allen accontenta il suo pubblico. Non in grado di riflettere sul dramma di un autore in crisi ed evidenziando le abitudini dello spettatore medio. Incapace di vedere oltre il Woody Allen comico.
Svuotare la commedia
In Manhattan Allen riesce in maniera sublime a fondere l’intreccio con quello che la critica Elena Dagrada chiama il giorno e la notte. In una perfetta fusione di generi. Stardust Memories invece subisce questo enorme distacco. È un film europeo nella sua drammaturgia, ma è anche e soprattutto un film di Woody Allen. Ogni battuta, legame con i personaggi, digressione temporale e personale, sono diretti a una commedia umoristica sul solito prototipo alleniano in crisi di nervi. La scrittura però di Allen qui non riesce a fondere per nulla i due registri.
La sua comicità rimane separata dalla sua tragicommedia esistenziale, con una separazione involontaria tra un film che fa ridere e uno che diventa solo un documento spocchioso su se stesso. Altezzosità che Allen ha sempre avuto nei precedenti film. Qui però compare in una dose massiccia di tracotanza e supponenza.
In Stardust Memories, Woody Allen è un anti-regista che non crede nel suo pubblico, ma è ossessionato dalla presa su di esso, senza traumi. Il film è in linea con la presunzione dell’autore verso lo spettatore. Due entità che dovrebbero collaborare e non farsi la guerra.